domenica 12 gennaio 2025

Indice ragionato degli articoli presenti sul blog

Sulla falsariga del precedente post, ho deciso di compilare un indice analitico degli articoli e delle ricerche pubblicati sul blog negli ultimi anni, suddiviso questa volta per oggetto preso in esame, in modo da avere una sorta di guida di lettura cronologica in base all'argomento interessato.




CICCIO



CUORDIPIETRA FAMEDORO








PAPERINO



giovedì 9 gennaio 2025

Indice delle chiacchierate presenti sul blog (e sul canale YouTube)

Per inaugurare il 2025, anno in cui il blog spegnerà metaforicamente quindici candeline, riporto in maniera ordinata e con i relativi collegamenti l'indice delle chiacchierate svolte nel corso degli anni e che è possibile recuperare sulle pagine di Eco del Mondo e sull'omonimo canale YouTube, suddivise per data di realizzazione.

2010

Michael T. Gilbert

2011

Rob Klein (a cura di Andrea Cara)

2012


2013

Daan Jippes (realizzata per la fanzine Rappet)

2014


2021


2022

Claretta Muci (video) 

2023

Vito Stabile (video) 
Carlo Panaro (video) 
Alex Bertani (video) 
Marco Gervasio (video) 
Roberto Gagnor (video) 
Francesco Vacca (video) 

2024

Batem
Sergio Badino (video) 
Massimo Fecchi (video) 

Vi sono poi autori che non ho mai formalmente intervistato, ma con i quali mi è capitato di confrontarmi nel corso delle mie ricerche, così come disegnatori che hanno collaborato con il blog in qualche maniera. Tra questi, ricordo con piacere John Lustig, William Van Horn, Paul Halas, Lucio Leoni, Francisco Rodriguez, Riccardo Pesce, Tim Artz, Diego Bernardo, Federico Butticè, Simona Capovilla, Paolo De Lorenzi e Adrien Miqueu. 

Il presente indice verrà costantemente aggiornato in modo da avere sempre la possibilità di accedere alle varie chiacchierate da un unico luogo di riferimento. Le interviste condotte per altri progetti non saranno incluse, ma mi riservo di dedicare loro uno spazio diverso in futuro.

sabato 21 dicembre 2024

Tirando le somme di questo 2024


Fare un bilancio di un anno in chiusura non è cosa semplice. Per quanto, con il passare delle stagioni, il tempo paia scorrere sempre più velocemente, dodici mesi non sono pochi e racchiudono diversi accadimenti: inizi, fini, evoluzioni, incontri, viaggi, letture più e meno piacevoli... Insomma, il rischio di tralasciare qualcosa è dietro l'angolo! Per quanto riguarda il blog che state leggendo, è stato sicuramente un anno differente dai precedenti: sono diminuite drasticamente le ricerche (soprattutto quelle genealogiche, che hanno costituito un importante tassello dalla riapertura avvenuta nel 2021) e si sono pubblicati post di natura un po' più personale, tra cui resoconti, riflessioni e interviste. Questo è avvenuto principalmente per due ragioni: la prima è che tali ricerche, tanto approfondite quanto dilatate nel tempo, sono bene o male da considerarsi esaurite (salvo preziosi aggiornamenti che, di tanto in tanto, vengono direttamente apportati negli articoli originali) e, pertanto, preferisco rimandare a quanto già scritto piuttosto che ripetermi; la seconda ragione, invece, è di natura prettamente fisiologica e riguarda il tempo a mia disposizione, che devo sapientemente bilanciare tra la gestione del blog e tutto il resto. D'altronde, come sapete, Eco del Mondo è da sempre una realtà curata da una singola persona e, come si può immaginare, le ricerche e gli approfondimenti necessari ad alcuni articoli possono richiedere mesi oppure addirittura anni e, come sopra, preferisco non pubblicare a tutti i costi post che siano inutili, ripetitivi o tirati via.

Il 2024 è stato un anno importante, l'anno in cui Paolino Paperino ha compiuto novant'anni. Un anniversario che non è passato in sordina e che è stato celebrato in ogni paese in cui i fumetti Disney vengono prodotti. Per l'occasione, persino i colleghi francesi del Picsou Magazine hanno realizzato una storia inedita di quattro tavole (disegnata dal buon Emmanuele Baccinelli), un fatto più unico che raro! Inoltre, Kari Korhonen ha svelato importanti retroscena sulla madre di Paperino, Ortensia, nella curiosa Mr. Adventure (Korhonen/Gattino, 2024), di cui non posso che auspicare un seguito; mentre in Italia abbiamo potuto leggere storie dal sapore vintage come Paperino e la banda del Lupo (Artibani/Pastrovicchio, 2024) o Paperino e l'ombroso (Nucci/Cavazzano, 2024), nonché la corale That's your life, Donald! (Savini/Mangiatordi, Surroz, Urbano, Ermetti, Ferracina, 2024), pubblicata su cinque numeri consecutivi del mensile Paperino. Ma le celebrazioni del papero con la giubba da marinaio non si sono limitate alla produzione fumettistica: D.I.Y. Duck (dir. Mark Henn, 2024), infatti, risulta essere il primo cortometraggio intitolato a Donald Duck realizzato dopo il 1961, esclusa la parentesi dei Mickey Mouseworks (1999-2001).

D'altronde, chiedendo a un campione di lettori quale sia il cast che si preferisce tra quello di Paperopoli e quello di Topolinia, è molto probabile ricevere maggiormente come risposta la prima opzione e gran parte del merito, ça va sans dire, va ascritto a Carl Barks. I suoi Paperi sono compendi viventi di emozioni, aspirazioni e difetti umani, sono credibili, si comportano come ci comportiamo noi, e ognuno ha il suo ruolo ben preciso all'interno della società e della narrazione. Fortunatamente, la lezione di Barks è stata studiata e recepita da uno stuolo di "eredi" che ne ha proseguito la tradizione, arricchendo sempre più il Cosmo Papero. Topolino, d'altro canto, ha avuto, ad avviso di chi scrive, qualche problema in più su questo versante. Certo, l'opera di Floyd Gottfredson è un capolavoro, è impossibile negarlo, ma il suo testimone è stato raccolto? Limitandoci al contesto del nostro paese, ci sono stati in passato alcuni autori in grado di scrivere ottime storie con protagonista Topolino e i suoi amici e di cogliere le varie sfaccettature di questi character, proponendo avvincenti situazioni. Limitandomi a citare pochi nomi con la speranza di non fare torto ad altri validi sceneggiatori, potrei ricordare in primis Romano Scarpa, ma anche Alessandro Sisti, Giorgio Pezzin, Francesco Artibani e Tito Faraci. In tempi più recenti, invece, è forse Casty l'autore che si è dimostrato più in grado di portare sulle pagine del settimanale il vero Mickey, e questo lo affermo pur notando la riproposizione di alcuni pattern e tematiche ricorrenti all'interno dei suoi testi. 


Non sorprende che, negli ultimi anni, le storie più rilevanti prodotte in Italia con Topolino siano racconti horror o sovrannaturali (il ciclo del Dottor Piuma, L'ora del terrore di Lord Hatequack, Gli EvaporatiCircus o la recentemente conclusa 500 piedi), storie in compagnia dei Paperi (DucktopiaTopolino e il pianeta ramingo, le tre storie di Marco Gervasio in cui collabora con Paperinik e l'evento natalizio dello scorso anno) oppure strascichi di saghe passate, come i seguiti de La Spada di Ghiaccio firmati da Marco Nucci e Cristian Canfailla. Questi numerosi esempi sembrerebbero quasi dimostrare una difficoltà da parte degli autori a scrivere storie regolari con il cast di Topolinia che non siano take alternativi o grandi imprese in cui accade tutto e il contrario di tutto. Peraltro, mi permetto umilmente di far notare che due delle storie più acclamate del periodo preso in considerazione, Gli Evaporati e 500 piedi, entrambe scritte da Bruno Enna e illustrate dall'abile emulo devitiano Davide Cesarello, risultano in qualche modo "debitrici" di altrettanti spunti provenienti dalla penna del già citato Casty, seppur poi gli sviluppi virino in direzioni altre: Topolino e Pippo Cittadini del nulla (Casty/Gervasio, 2006), in cui tutti gli abitanti di Topolinia eccetto i due protagonisti sembrano essere improvvisamente "svaniti nel nulla" (con tanto di mancanza di elettricità!), e Topolino e l'isola di Quandomai (Casty, 2010), in cui i nostri beniamini si trovano faccia a faccia con dei minacciosi uomini-insetto in grado di mutare forma e sostituirsi alle persone di cui assumono le sembianze... In ogni caso, per sollevare gli autori italiani da qualsiasi responsabilità, mi occorre far notare che non si tratta di una tendenza tutta nostrana. Se, infatti, nel solo 2004, l'editrice Egmont produceva ben 50 avventure intitolate a Mickey Mouse dalla lunghezza di 10 pagine o più, risultano solamente 7 quelle prodotte in totale tra il 2010 e il 2024 (di cui 3 in compagnia di Paperino, Zio Paperone o delle Giovani Marmotte), contro le circa 460 della stessa lunghezza e realizzate nello stesso periodo intitolate a Donald Duck. Dati che sono certo possano generare riflessioni che magari verranno affrontate in altre sedi.

Ma il 2024 è stato un anno importante per i fumetti Disney anche per un'altra ragione: l'inizio dell'inedita collaborazione tra Disney e Marvel. L'unione di questi due colossi del settore rappresenta un interessantissimo punto di svolta, che si è tradotto prima nell'ambiziosa avventura Zio Paperone e il decino dell'infinito (Aaron/Mottura, D'Ippolito, Pastrovicchio, Mangiatordi, Perissinotto, 2024) e poi in una serie di deliziosi What If...? in cui i personaggi di casa Disney vestono i panni dei supereroi Marvel. Si tratta di una inattesa produzione i cui sviluppi ed evoluzioni mi confesso sinceramente curioso di scoprire. Ah, e l'editrice statunitense Dynamite ha iniziato a produrre e pubblicare nuovi fumetti di DuckTales ambientati nella linea temporale della storica serie televisiva del 1987. Che altro dire se non che è stato un anno ricco di piacevoli sorprese!

È difficile prevedere cosa ci riserverà il 2025, un anno che segnerà i novantacinque anni dei fumetti Disney e gli ottantacinque anni di un'altra celebre abitante di Paperopoli, ma sono certo che questi anniversari non passeranno inosservati dai vari editori. Per quanto mi riguarda, sarà possibile leggere alcune mie collaborazioni sui periodici disneyani francesi nel corso dei prossimi mesi e dopo chissà... Di tanto in tanto, probabilmente, mi rivedrete spuntare su questi lidi e, a dire il vero, mi piacerebbe trovare il tempo e il modo di compiere le ricerche necessarie per potere scrivere la seconda parte del mio articolo sulla fattucchiera Amelia (a cui nel 2023 è stato dedicato un peculiare graphic novel), analizzando le differenze tra la caratterizzazione barksiana del personaggio e quella proposta nelle storie "da esportazione", scritte principalmente da Alpine Harper, Cecil Beard e George Davie. Prima o poi... Nel frattempo, credo sia giunta l'ora di concludere questo post augurandovi un piacevole periodo di festività! Quack!

Si ringrazia Adrien Miqueu per avere accompagnato le mie parole con simpatiche illustrazioni.

venerdì 8 novembre 2024

La mia esperienza a Lucca Comics & Games come inviato stampa

Quando ho creato il mio blog, avevo quattordici anni e mezzo e il web era un posto molto diverso da quello che possiamo vedere oggi. Giusto per dare qualche coordinata: i forum andavano ancora di moda, Facebook era il social più diffuso per mettersi in contatto con persone di tutto il mondo, Instagram e TikTok non esistevano, e le cosiddette "storie", ormai presenti su qualsiasi piattaforma, sarebbero state introdotte solamente anni dopo, con l'affermarsi di Snapchat. Da due anni e mezzo, avevo iniziato a seguire le varie pubblicazioni a fumetti disneyane che uscivano in edicola e frequentavo librerie, fumetterie e mercatini vari alla ricerca dei numeri più vecchi delle testate che preferivo. Nel marzo 2008, avevo anche partecipato alla mia primissima fiera di settore, Cartoomics, pagando un biglietto ridotto al prezzo di 4 euro. Erano decisamente altri tempi...


Come titolo per il mio angolino di internet, avevo scelto "Daily War Drum", in onore del quotidiano capitanato da Topolino nella mitica Topolino giornalista (Osborne/Gottfredson, 1935), e, come "logo", avevo preso a prestito la vignetta iniziale di Paperino nella Luna (Barks, 1948), nella quale, esattamente come nella storia a strisce di Topolino di tredici anni prima, Paperino lavorava come strillone. Ero giovane e affatto disilluso e mi piaceva sognare. A un certo punto, ho stampato un foglio su cui figurava il nome del blog accompagnato dall'immagine di Paperino strillone e il mio nome sotto. Armato di forbici, ho ritagliato il foglio affinché ne uscisse un rettangolino dalle dimensioni di un biglietto da visita e poi l'ho inserito in una apposita macchina plastificatrice che avevo comperato al discount e che penso di avere usato tre volte in vita mia. Ecco, ora avevo tra le mie mani un piccolo pezzo di plastica con sopra il mio nome. Mi immaginavo di utilizzarlo come tesserino di riconoscimento, come una sorta di pass. Va da sé, non è mai uscito dalle quattro mura della mia stanza.


Ma tutto questo accadeva più di quattordici anni fa! Nel frattempo, sono cambiate un po' di cose. Sono cresciuto, ho concluso il mio percorso di studi, mi sono disincantato, ma la passione per questi racconti a fumetti non è mai scomparsa, e ritengo che gli articoli pubblicati su l'Eco del Mondo lo possano testimoniare. Ovviamente, anche il mondo esterno a me è cambiato, il web, come si scriveva in apertura, ma anche il settore editoriale di riferimento. Nuovi autori, nuove pubblicazioni, nuovi editori... Ripenso con nostalgia a quel ragazzino che divorava i redazionali dei sommi Boschi e Becattini, studiandoseli fino all'ultima virgola. Le introduzioni alle storie, agli autori, le selezioni che proponevano. Si può dire che mi abbiano formato, almeno inizialmente. Poi, altre letture, altri studiosi e altri saggi hanno arricchito la mia conoscenza e il mio modo di concepire questo ambito. Con Alberto, oggi, siamo amici. Ci incontriamo alle fiere, ci sentiamo telefonicamente, ci scambiamo opinioni... Eppure, dentro di me, so che gli devo tantissimo per avermi introdotto a questo magico mondo, e ancora oggi faccio enorme tesoro di ogni suo racconto e di qualsiasi riga esca dalla sua penna. Ma non vorrei divagare... Il post si intitola "La mia esperienza a Lucca Comics & Games come inviato stampa" e sia mai che venga tacciato di servirmi dell'ignominiosa pratica del clickbait. Lucca Comics & Games, inutile scriverlo, è la manifestazione fumettistica più grande in Italia. Anche se nel tempo si è ibridata (qualcuno direbbe, forse, "annacquata"), integrando altre forme di intrattenimento, è indubbiamente un punto di riferimento forte per il settore. Ci sono gli editori, i lettori, si presentano le novità, si incontrano gli autori... Sono cinque giorni ricchi di eventi e possibilità. È la seconda volta che partecipo a questa fiera, e la prima volta come inviato stampa. Nello specifico, ho avuto la possibilità di recarmici rappresentando Picsou Magazine, un ottimo periodico disneyano francese. In un certo senso, dopo tutti questi anni, il mio sogno giovanile si è realizzato. Finalmente, portavo al collo un pass con sopra il mio nome e, per di più, per una rivista di fumetti Disney. Cosa avrei potuto desiderare di più?


Il sole? Stranamente, c'era anche quello. Così come lo scorso anno, i miei compagni di avventura sono stati il buon Valerio Paccagnella e altri tre utenti de La Tana del Sollazzo. In ogni caso, va tenuto presente che i momenti effettivi di comunione si traducevano fondamentalmente nei saporiti pasti fuori e nelle calorose serate in casa, mentre ognuno disponeva delle giornate liberamente, in base alle proprie preferenze. Per quanto riguarda la sistemazione, siamo stati anche fortunati. Non tanto per il prezzo, quello è alto ovunque durante le giornate della kermesse, ma quantomeno siamo riusciti a trovare un appartamento in pieno centro, a pochissimi minuti dai padiglioni principali. L'assenza del maltempo e dei vari disagi che, invece, avevano dominato la scorsa edizione è stata una bella sorpresa che non si può trascurare nello stilare un bilancio dell'esperienza.

[Fonte: La Tana del Sollazzo]

In ogni caso, il mio giudizio complessivo non può che essere positivo. Nonostante qualche intoppo iniziale, sono riuscito a fare ciò per cui sono andato, e questo non è poco. Tra un impegno e l'altro, ho persino potuto concedermi un po' di sano svago, come un aperitivo assieme al bravo autore Francesco Vacca (che mi ha fatto scoprire il tradizionale "peschino" lucchese) oppure presenziando alle prime cinematografiche di acclamate pellicole internazionali, come The Substance (dir. Coralie Fargeat, 2024) e Un'avventura spaziale — Un film dei Looney Tunes (dir. Peter Browngardt, 2024), conservandone un ricordo più che piacevole. 

[Fonte: pagina Facebook Un'avventura spaziale - Un film dei Looney Tunes]

Purtroppo, però, come già ho riportato nei primi capoversi, l'"età dell'innocenza" è bella che passata e, per quanto si possano amare i personaggi dei propri fumetti preferiti e le avventure che vivono, non si può fare a meno che notare i fili, chi li muove, e ciò può distrarre dalla fruizione delle opere, portandoti a riflettere su altre logiche, andando a inficiare il piacere sotteso a essa e rendendo il tutto un po' meno magico. Sotto questo punto di vista, invidio un po' il giovane Simone in grado di entusiasmarsi e divertirsi senza andare a incastrarsi in meccaniche produttive non necessariamente accattivanti. A ogni modo, non posso fare a meno che ringraziare i miei sodali per la piacevole compagnia e il tempo trascorso insieme e Picsou Magazine per l'opportunità, invitandovi a leggere un mio resoconto ben più "fumettoso" sul prossimo numero della rivista.

mercoledì 16 ottobre 2024

Integrazioni e riflessioni aggiuntive sulla genealogia gastoniana

Chi segue il blog con attenzione sa che vi ci può trovare i frutti di ricerche durature e non poco impegnative, che mi è possibile condurre grazie a una irrefrenabile curiosità naturale, a una collezione di fumetti sempre in espansione e a una rete di contatti con altri appassionati e autori delle pubblicazioni disneyane. Uno di questi approfondimenti, tra quelli più corposi e  a mio avviso  più interessanti, ha dato come risultato l'albero genealogico della famiglia Paperone (Gander), che si è guadagnato pure una propria pagina all'interno dell'enorme e utilissimo database INDUCKS.


Per quanto riguarda i vari ragionamenti che hanno condotto alle motivazioni dietro ai gradi di parentela presentati, rimando al post originale, in cui ogni singolo legame è raccontato con premura. Infatti, ciò su cui vorrei concentrare oggi la mia attenzione è il personaggio di Olivia Duck, zia di Gastone introdotta in I cieli di Farmtown (Nucci/Zanchi, 2023), di cui ho già scritto qui. Finora, Olivia non era stata integrata nel mio albero genealogico perché ritenuta probabilmente una zia da parte di madre... ma le cose stanno davvero così?

Come già riportavo, storicamente, la fortuna di Gastone sembrerebbe provenire dalla famiglia del padre, dai Gander. Testimonianze a favore di questa tesi sono riscontrabili nell'articolo “FINE FEATHERED FRIENDS: THE DISNEY DUCKS. Part two: Gyro Gearloose, an interview” (Nichols, 1985), nonché in storie come Paperino e il festival dei paperi (?/Strobl, 1955), Le GM e l'aspirante Marmotta (Gregory, 1981), la striscia giornaliera del 28 ottobre 1992 (Knighton, 1992) e Gastone e la luna storta (Faccini, 2014). In minorità numerica è, invece, la tesi che vorrebbe la buona stella di Gastone ereditata dalla madre Daphne, come mostrato in Paperino e lo scalognofugo triplo (Rosa, 1998).

Come si colloca zia Olivia in questo marasma? Ai tempi de I cieli di Farmtown, ipotizzavo che Olivia potesse fungere da sostituto per Daphne e che potesse essere sua sorella. Un'altra ipotesi avanzata, giustificata dalla breve interazione tra Olivia e Nonna Papera (che, in quel caso, avrebbe dovuto esserne la madre) mostrata nella storia, era che Olivia potesse essere la cognata di Nonna Papera e, dunque, prozia di Gastone... Ma tutto ciò veniva smentito senza pietà dal redazionale Primo premio... o primo piano?!” (Agrati, 2024), in cui la giornalista del settimanale non lasciava scampo a interpretazioni personali, scrivendo laconicamente: “Per parte di padre, anche la zia Olivia era nelle grazie della Dea Bendata”.

Zia Olivia interpretata da Stefano Intini

Certo, il cognome Duck non aiutava, ma Gastone ha un cugino chiamato così che non è imparentato con Paperino: Disraeli Duck. Ho controllato l'albero genealogico in cerca di un possibile collegamento tra Disraeli e Olivia, ma non ho avuto fortuna. Se anche fossero stati imparentati, si sarebbe trattato solamente di una parente acquisita di Gastone e, come tale, non avrebbe potuto avergli tramandato la fortuna. Passano alcuni mesi e una luce si prospetta all'orizzonte. Una nuova avventura con protagonista la zia di Gastone, Gastone e l'illustre fortunato (Nucci/Intini, 2024), forse ci siamo! In effetti, questa storia è piuttosto generosa in materia di alberi genealogici e ci mostra alcuni antenati da cui Olivia e Gastone hanno ereditato la loro proverbiale buona sorte.

In ordine cronologico:

ZANOBIO DUCK (compitato Zenobio solamente nella prima pagina della storia)  nato nel 17xx e vissuto in Spagna e in Olanda a metà del secolo.
BUTTERFLY DUCK  nipote di Zanobio.
ALGERNON DUCK (Agenore Duck” nella didascalia a pagina due in qualche modo collegato a Butterfly.
BASILIO DUCK  vissuto nell'Ottocento, in qualche modo collegato ad Algernon.
OLIVIA DUCK  ultima discendente di questa fortunata stirpe.
GASTONE  nipote di Olivia.

Butterfly e Algernon

Non è chiaro quante generazioni passino esattamente tra Zanobio e Olivia poiché l'autore omette le varie parentele, limitandosi a sottintendere che, comunque, vi siano altri parenti di cui non si fa menzione. A ogni modo, Zanobio risulta essere il primo parente noto” dei due paperopolesi nati con la camicia, prima del quale i documenti genealogici faticano a giungere. Ed è proprio per questa ragione che Gastone si mette a girare per il Nord Italia alla ricerca di antenati precedenti dopo aver notato un'incredibile somiglianza con il protagonista di un ritratto cinquecentesco. Prospero Anatrini, Bertrandino da Monza, Marcovaldo Asdrubale Anatrini, Ottimo Massimo, Medardo, Terralbo, Mariuccia, Pancrazio, Isidora, Genoveffa e Patrizino Tantebellecose sono i nomi di biondi paperi incredibilmente fortunati (e somiglianti a Gastone), vissuti in Italia tra il 1500 e il 1700, appena prima di Zanobio Duck. Bisognerebbe forse considerarli suoi antenati? La storia non lo rivela, anzi, a dire il vero, lo nega, ma questo non impedisce a Gastone di continuare a sospettarlo.

Zanobio Duck

Comunque stiano le cose, tali nuove informazioni non risolvono il problema della collocazione di Olivia sull'albero e ci troviamo, ancora una volta, punto e a capo. Le opzioni, a questo punto, sono due e opposte: o si ignora il nome “Olivia” e il grado di parentela proposto e si leggono le storie come se quel personaggio fosse effettivamente Daphne oppure si accetta che Olivia sia davvero zia paterna e si tramuta il suo cognome e quello dei vari antenati in Gander. Per quanto la prima scelta mi affascini (e credo che Olivia potrebbe tranquillamente essere la madre di Gastone in-universe), propenderei per la seconda, siccome, anche considerando l'albero genealogico che ho riportato a inizio articolo, degli antenati di Gastone da parte di padre si sa poco e, a ben vedere, non si hanno loro tracce prima dal 1700... Il caso è chiuso!

Gastone, come me, impegnato nelle ricerche genealogiche

© Disney per le immagini pubblicate.

mercoledì 2 ottobre 2024

Eco del Mondo allo Stripfestival Breda

Si è da poco concluso lo Stripfestival Breda, una manifestazione fumettistica olandese che vanta, oltre a stand per l'acquisto di volumi, conferenze e aree per i più piccoli, la presenza di diversi professionisti del settore, disponibili per scambiare chiacchiere con i lettori, firmare albi e realizzare disegni originali. Per l'occasione, un giovane inviato dell'Eco del Mondo, Owen, ha rivolto un paio di domande a due fumettisti e copertinisti delle pubblicazioni Disney dei Paesi Bassi: Jan-Roman Pikula e Maarten Gerritsen. Buona lettura!

Jan-Roman Pikula (a sinistra) e Maarten Gerritsen (a destra)

EdM: Eco del Mondo
JRP: Jan-Roman Pikula
MG: Maarten Gerritsen

EdM: Ciao, Jan-Roman! Qual è il tuo personaggio preferito?

JRP: Ciao! Personalmente, mi piace molto Paperone. Sì, amo Paperone.

Due copertine di Pikula in cui Paperone è protagonista assoluto

EdM: Quali sono gli artisti che più hanno ispirato il tuo stile?

JRP: Beh, Barks è ovviamente il primo da citare, ma forse è una risposta un po' scontata. Quando ho iniziato, pensavo che Rosa fosse molto bravo, ma ora ora non disegno per niente come lui. La sua peculiarità è che ci sono così tanti dettagli ovunque, e lo trovavo davvero figo. Poi, mi piace molto Mau Heymans per la sua "follia". Il suo Paperino vive in un mondo assurdo, in una sorta di mondo strano tipo Looney Tunes... e questo lo apprezzo tanto. Per rispondere alla tua domanda, sono influenzato un po' da chiunque... anche da Floyd Gottfredson, di cui sono un grandissimo fan. Per illustrare la serie Mickey Lost ‘t Op, prendo molta ispirazione da Gottfredson.

EdM: Ci sono anche molti camei di suoi personaggi in quella serie...

JRP: Sì, mi piace molto inserirli. Me ne piacciono davvero tanti, di quei vecchi personaggi, e penso che il modo in cui Gottfredson ritraeva quel mondo sia grandioso e ne metto un po' in ogni mio lavoro, anche nelle storie dei Paperi.

Due tavole della serie Mickey Lost ‘t Op (da notare a sinistra la quantità di camei di personaggi tratti dalle storie di Gottfredson e non solo, mentre a destra lo stile tipico degli anni Trenta)

EdM: Quando realizzi l'illustrazione per una copertina riferita a una storia, come nel caso della collana Donald Duck Extra, come scegli la scena da raffigurare?

JRP: In quei casi, cerco di scegliere una scena che sia visualmente divertente, in modo che ci sia qualcosa da mostrare, ma provo sempre a evitare il climax alla fine della storia. A volte, per esempio, c'è una grande esplosione, ma non mi piace metterla nella copertina perché altrimenti si saprebbe già cosa succederà nella storia. Perciò, provo a guardare nelle scene prima, un po' prima della metà del racconto, così, se c'è qualcosa di accattivante, come una strega che ha catturato qualcuno, mi piace usare quello. In definitiva, raffiguro la scena che ti fa pensare: "Come faranno a uscirne?"

Alcune coinvolgenti copertine di Pikula per Donald Duck Extra

EdM: Ciao, Maarten! Quali sono gli elementi che, per te, costituiscono una buona copertina?

MG: Ciao! Innanzitutto, una copertina deve ovviamente attirare l'attenzione, e questo perché deve riuscire a vendere la rivista. Ma credo che sia nella sua composizione che vada ricercato quello che chiedi, deve essere pulita e comprensibile.

Suggestive copertine di Gerritsen per il mensile Katrien Duck

EdM: Nel realizzare illustrazioni per copertine riferite a storie, come scegli la scena da ritrarre?

MG: Solitamente, leggo la storia e, il più delle volte, già mi viene un'idea, del tipo: "Oh, questa sarebbe una buona scena per una copertina!" Di solito, si tratta di una scena intensa, ma che non anticipi il finale. Potrebbe anche essere un'immagine costituita da diverse parti della storia piuttosto che una singola scena. Per esempio, si potrebbero mettere insieme una parte di una scena e una parte di un'altra scena, a patto che creino una bella ed emozionante immagine. In ogni caso, non deve rivelare la conclusione, ma intrigare e fare in modo che tu voglia leggere la storia.

Due copertine di Gerritsen per Donald Duck Extra costituite da diverse parti di una storia (la copertina a sinistra si riferisce addirittura a due diverse storie contemporaneamente!)

Per concludere, vi proponiamo due rapidi sketch di Paperino che gli artisti hanno realizzato per accompagnare questa interessante chiacchierata.


© Disney per le immagini pubblicate.
Si ringrazia Owen per avere raccolto le testimonianze riportate.

giovedì 29 agosto 2024

Sergio Asteriti more geometrico demonstrato (di Simone Voci)

La spiacevole notizia degli ultimi giorni è che Sergio Asteriti, una delle colonne portanti del fumetto disneyano in Italia (nonché ammirevole illustratore), è venuto a mancare, all'età di 94 anni. Per ricordare e commemorare il suo importante contributo a questo settore, ho deciso di ospitare sul blog un saggio inedito alquanto singolare che mi è stato proposto qualche tempo fa, in cui l'arte di Asteriti viene attentamente analizzata, decomposta e restituita in maniera meticolosa e senza dubbio originale, offrendo spunti di riflessione e chiavi di lettura certamente interessanti. Quanto segue è frutto di riflessioni e suggestioni del suo autore, che mi hanno colpito per la dedizione e la passione rivolte al disegnatore veneziano e alla sua arte, e sono sicuro che siano, almeno in parte, condivisibili. Senza ulteriori indugi, dunque, richiudendomi in un rispettoso silenzio, lascio la parola al corposo scritto di Simone Voci. Buona lettura!

SERGIO ASTERITI MORE GEOMETRICO DEMONSTRATO
di Simone Voci

Anzitutto, una confessione. Chi scrive ama Sergio Asteriti. Questo è abbastanza scontato. Chi mai scriverebbe un articoletto intero — e pure lunghetto — su un autore che non apprezza? Ecco. Il segno grafico del Veneziano ha attirato il sottoscritto fin dalla più tenera età, e continua a farlo ancora oggi.  Mi sono domandato il perché e da ciò ne è venuta una analisi, più o meno dettagliata, delle dinamiche interne dello stile asteritiano: di questa gioia barocca raggiunta tramite un inno al realismo e alla gommosa e bombata pesantezza delle forme.  Un'analisi che si pone come fine quello di "vivisezionare" le palpitanti meccaniche di questo particolarissimo stile e tracciarne un quadro — per così dire — more geometrico, ovvero teso a individuarne gli elementi portanti e la fisica delle loro interazioni e dei conseguenti effetti. Anche quegli elementi che, di solito, incontrano le critiche dei "detrattori" non saranno taciuti. Anzi, verranno messi ben in risalto e sarà mostrato perché questi siano una precisa scelta artistica voluta dall'autore e come essi siano sensati e necessari nell'insieme e negli equilibri del suo modo di disegnare.

Chi è Sergio Asteriti?

Un'ulteriore precisazione d'intenti: il presente scritto non vuole essere una biografia dello storico disegnatore. A tal proposito, ci basterà ricordare che esordisce nel 1963, sul n. 420 di Topolino, con Pippo e la vacanza culturale, sceneggiata da Giampaolo Barosso. Ha realizzato oltre 350 storie e, di queste, sono solo 7 quelle dedicate ai Paperi. Ai topi è rivolta, invece, anche Tip e Tap e lo straordinario mondo del Toc, ultima sua collaborazione con Topolino, scritta da Augusto Macchetto e pubblicata — nel 2017 — sul volume Topolino Classic Edition a lui intitolato. Inoltre, ha vinto anche il Premio Papersera nel 2008. Evento immortalato in video.


Questo, però, non dice quasi niente della poetica dell'artista, appena scomparso all'età di novantaquattro anni. Non dice nulla del mondo grafico asteritiano, dei suoi equilibri, delle sue interne meccaniche e di quanto esso sia stato una specie di contrazione, compressione, ma — al contempo — un rigonfiamento rispetto all'estetica gottfredsoniana e scarpiana (e vedremo perché).

La rivoluzione senza apparenti eredi

È nel disegno che Asteriti pone una personale rivoluzione. In breve: uno scombinamento totale della forza di gravità del mondo Disney, trasformato in un pianeta sul quale quest'ultima viene aumentata per infinite volte. Una rivoluzione silenziosa, chiaramente. Asteriti, infatti, viene (spesso) definito come un disegnatore dal tratto ricco, ma classico. Piacevolmente classico. C'è quasi qualcosa di diabolico nel fatto che un tale scardinamento venga percepito come un ritorno a "ciò che è stato" (anche se, come vedremo, in realtà e in un certo senso, è proprio così). Una rivoluzione garbata, forse nemmeno ragionata, ma venuta fuori da un amore sconfinato per Mickey Mouse e la sua epoca d'oro in calzoni corti, unito a un'elaborazione stilistica personale. Una rivoluzione, in ogni caso, nata come privatissima, senza potenziali eredi e che — invece — ha piantato dei semi duraturi. Da essi, sono nati (più o meno consapevolmente) alcuni eredi, ancorché mai totali. Ognuno di essi ha assorbito questo o quell'aspetto del Maestro, magari senza accorgersene. I più evidenti: Camboni e Mottura; i più scalmanati: Celoni e Lavoradori. Tutti successori — anche se in modo differente — dello sgangheramento barocco dei pesi e delle forme provocato da Asteriti. 

Mottura e Celoni hanno raccolto il "barocchismo" del grande fumettista veneziano: il primo sfociando in una sorta di rococò fatto di giocosi riccioli; il secondo portandolo alle sue più estreme ed espressionistiche conseguenze. Camboni, invece, ne ha raccolto alcuni gusti grafici, pur lavorandoli di fino. Un discorso a parte, infine, andrebbe fatto per Lavoradori: apparentemente, il meno asteritiano a livello estetico, ma — in realtà — colui che ne ha raccolto la lezione in modo più trasversale, compiendo una personale rivoluzione su quella base, sostituendo alle pesanti masse del Maestro un effetto carta o "lastra di metallo". Permane la gravità che schiaccia, che appiattisce i personaggi al suolo, che li gonfia, ma se in Asteriti essa si applica a corpi compatti (già pesanti e corposi di per sé), in Lavoradori — invece — viene a interagire con ambienti e figure accartocciabili, dotati di una pieghevolezza che, in prossimità della soverchiante forza, li costringe a modificarsi e distorcersi con facilità. 

Lavoradori presenta alcune somiglianze con Asteriti, ma modificandone — anche considerevolmente — i connotati: se quest'ultimo prevedeva solo un appesantimento costante verso il basso, l'opera lavoradoriana stabilisce una gravità a sbalzi, che sale e scende di livello. A un appesantimento si sostituisce un improvviso alleggerimento, poi il processo contrario e così via. I corpi lavoradoriani, come se fossero fatti di carta o metallo, si trovano schiacciati e poi stirati, in espansione e compressione (in modo simile a ciò che avviene nelle opere dello scultore César Baldaccini), seguendo i cambi della forza di gravità. E questo, più volte in una sola tavola. Ciò regala un dinamismo inedito rispetto a quello presente nei lavori asteritiani. 

Asteriti e gli asteroidi

I personaggi di Asteriti sono tutt'altro che "dinamici". Sono pesanti e compatti masse schiacciate da una poderosa forza che attrae verso il basso. Non si deformano in maniera dinamica, ma — anzi — rallentano nei movimenti, si premono a terra. Il peso sembra deformarne anche le scarpe, che divengono più grosse del normale, clownesche, quasi come se intralciassero i movimenti. La gravità curva le schiene, e i busti si proiettano in avanti, in una specie di tentativo di aggrapparsi a qualcosa, di trovare un sostegno, per trascinarsi a fatica. 

Le scarpe risultano parecchio importanti nella resa grafica complessiva. Tondeggianti, piuttosto che affusolate; grosse e bombate, gonfiate da uno schiacciamento proveniente dall'alto; di maggiorate dimensioni, anche per un fumetto Disney. Come se i corpi fossero simili a statuette instabili, pesanti, e perciò dotate di una base atta a non farle cadere. Ogni scarpone appare nelle fattezze d'un gravoso oggetto a cui è radicato il corpo di ciascun personaggio; che si tratti di un protagonista, d'un comprimario, d'un antagonista o di una mera comparsa, essi paiono (sempre) camminare con lentezza, per via dell'impedimento causato dalla zavorra. Anche Minni sembra indossare dei pesanti e ingombranti zoccoli, piuttosto che delle eleganti scarpe col tacco. Ogni personaggio è dotato di piedi "sproporzionati" (elemento che l'autore pesca dagli albori del Mickey Mouse dei cortometraggi), quasi che Asteriti voglia piantarli sul terreno, immobilizzarli, impedire loro di muoversi.


Un mondo, quello asteritiano, che esprime una sorta di costante mancanza d'equilibrio dalla quale solo la gravità e la pesantezza dei corpi (o delle calzature) possono salvare, ancorando verso il suolo, in modo che non si possa fluttuare, pericolosamente, per aria. Ogni personaggio è come un asteroide attratto dalla forza esercitata dalla massa abnorme d'un pianeta alieno. Essi sembrano pronti a schiantarsi, ma (assurdamente) iniziano a rallentare, sempre di più, fino ad appiattirsi al terreno, senza riportare alcun danno. Questa è la "grazia" che il disegnatore concede loro, perché possano entrare nel suo calderone magico. 

La cacofonia immobile

Altro elemento peculiare di questo autore è un voluto e realistico disordine. Una rinuncia a tavole essenziali e minimali, ma non realistiche. La gravità attrae e inchioda alla tavola molti "asteroidi". Sono vignette ricche di elementi, quelle di Asteriti, ma tale molteplicità è costretta a una apparente disarmonia, come se ogni cosa venisse obbligata ad atterrare sulla tavola, alla rinfusa. Molti oggetti, personaggi, particolari negli sfondi o sulle cose in scena, ma ognuno di essi segue la sua personale storia. Nel mondo asteritiano, Leibniz ha ragione e anche una banale pianta da ufficio è composta da foglie difformi l'una dall'altra; queste, inoltre, puntano (di solito) verso direzioni diverse per ciascuna, come se la luce cercata fosse differente per ognuna di esse. 

Asteriti decide di non costruire una tavola che sia un oggetto d'arredo o di design, in cui le cose o i personaggi giochino il ruolo di forme eleganti, accordate tra loro come in una scala armonica. Il realismo s'impone. Alla sinuosa sinfonia di Scarpa o del Gottfredson maturo, Asteriti preferisce la cacofonia della realtà, in cui ogni elemento segue i suoi propri tormenti, le sue proprie pieghe imposte dall'essere stati scaraventati nella vignetta. Un mondo che appare come fatto di cose sgualcite, usate. Le scarpe, le vesti, persino le tende, non sono pescate dal pennino e disposte in scena, come se si trattasse di una finzione teatrale in cui tutto è nuovo, mai realmente utilizzato o indossato. No. Tutto è vivo. Asteriti ci catapulta in un cosmo reale, in cui ogni oggetto è stato indossato per ore o per giorni (nel caso di vesti e calzature) e, quindi, risulta spiegazzato, costretto — dal tempo — a forme piene di grinze. Ho scritto che "tutto è vivo", ma dovrei correggermi e scrivere che "tutto è stato vivo". Perché — cosa molto importante — il mondo asteritiano ha i connotati di una diapositiva che ferma le cose e i personaggi, presentandoli (per l'eternità) con le pieghe assunte nel momento in cui la "foto" è stata scattata. 

Laddove Scarpa mira a un arrotondamento liscio, ben stirato, che esprima la costante dinamicità e il continuo serpeggiare delle forme in scena, Asteriti preferisce il rigonfiamento che immobilizza l'azione, con figure inamidate. Come se una tovaglia venisse lanciata in alto; questa si gonfia, per effetto dell'aria, e poi inizia a scendere. Il disegnatore le urla: "Altolà!" ed essa si arresta, per l'eternità, nell'atto dello sgonfiarsi. La forma è arrotondata, "cicciosa", ma — al tempo stesso — colma di pieghe causate dal contemporaneo afflosciarsi.


Un realismo che, paradossalmente, proprio nel suo inseguire la realtà, nel suo volerla fermare, inchiodare al foglio, finisce per rinunciare all'elemento del tempo. Esso è ciò che c'era e che ha prodotto le forme. Il disegnatore ne prende atto e accetta il dono che la successione temporale (ormai giunta a termine) gli ha fatto. Ne celebra le gesta, senza rappresentarlo. Anche qui, gioca il suo ruolo l'abnorme gravità asteritiana che — come impone la relatività generale — distorce il tessuto del tempo, rallentandolo, fino ad arrestarlo definitivamente e farlo morire. Sembra di essere nell'ultima surreale storia da lui ideata e disegnata: Tip e Tap e lo straordinario mondo del Toc. In essa, i due fratelli scoprono che, tra il "Tic" e il "Tac" dell'orologio, esiste una dimensione di mezzo: il "Toc". Ecco. Anche Asteriti ha scoperto un "Toc", in mezzo al ticchettio del tempo. Un'eternità fatta di grinze e pieghe. 

La "grinzosità" (seppur "arrotondata" e non tagliente), infatti, è un elemento spesso criticato dello stile di Sergio Asteriti, ma consegue dal realismo del disegnatore. Un realismo non cinematografico, ma da "copia dal vero" o da "natura morta". I personaggi e gli oggetti, gli ambienti stessi, sono trattati come tendaggi e frutti disposti — frettolosamente — su di un tavolino. Immobilizzati, senza alcuna volontà di simmetria o di composizione armoniosa. Asteriti vuole la realtà morta, perché quella viva — se disegnata — dovrebbe essere rappresentata in modo irreale, attraverso forme non veritiere, per fare un semplice piacere al dinamismo filmico e al minimalismo grafico. E il procedere asteritiano non lo ammette. Gli sembra una violenza nei confronti della verità, la quale deve essere colta così com'è, senza aggiustarle il colletto o il bavero. È come se Sergio Asteriti giocasse a "Un, due, tre, stella!". Si gira, senza preavviso, e tutto deve arrestarsi, in qualunque posizione si trovi, anche se questa dovesse risultare scomoda o — nel nostro caso — non sinuosamente dinamica e cinetica. Ovviamente, anche il già citato Scarpa aggiunge pieghe e spiegazzamenti, ma lo fa in modo più minimale, mirando a un tratto maggiormente "pulito", essenziale, e perciò capace di flettersi in movimento. Asteriti, al contrario, le pieghe le tratta come oggetti reali, le prende sul serio e le rappresenta in modo plastico e asimmetrico, dando un senso di realismo superiore. 

All'eccesso di gravità, dunque, s'accompagna un eccesso di realtà. Gli elementi in scena non sono solo pesanti come oggetti reali, ma sono anche fermati in tutta la loro sgraziata concretezza. La forza gravitazionale asteritiana costringe tutto quanto a immobilizzarsi, pure se non sistemato o sgualcito. Asteriti, in breve, non si dota di un immaginario ferro da stiro attraverso cui eliminare le pieghe, ma — anzi — lascia ogni cosa "raggrinzita" così come l'ha trovata. Gonfiare, iniziare a sgonfiare e fermare tutto, prima che il processo si sia completato. Cogliere il momento di mezzo tra i due punti, immobilizzare la dinamica: in questo sta la rinuncia consapevole al dinamismo. Un mondo fatto di grinze, di pieghe. Si parla di oggetti di stoffa spiegazzati. Una stoffa che appare trattata con l'amido, assumendo i connotati del marmo modellato per apparire come un tendaggio. Con Asteriti, siamo in pieno Barocco. 

La cacofonia dei molti mondi

Suggerivo — qualche paragrafo sopra — che, nelle vignette di Asteriti, ogni oggetto segue la sua propria storia. Le mura si lasciano trascinare dal flusso della propria privata narrazione, disinteressate al resto, riempiendosi di particolari e crepe che sembrano non notare nemmeno ciò che sta loro attorno. Anche una banale tenda viene disegnata come "assorta" nei suoi tormenti, nelle sue pieghe, nella sistemazione storta che il disegnatore le ha imposto per aumentare il realismo degli elementi in scena. Lo stesso accade con arnesi e tegole. I primi, non sono semplici rappresentazioni idealtipiche di uno strumento (che si tratti d'un martello o d'un innaffiatoio). Vengono dotati di storture, ombre, parti leggermente rovinate. Le seconde, vengono disegnate una diversa dall'altra; anche quando sono appena accennate con un veloce gesto grafico, ognuno di essi è tracciato in modo difforme. Nel mondo asteritiano, ogni oggetto — innanzitutto — è necessario che funzioni da solo. Addirittura gli alberi devono fare — prima di ogni cosa — gli "alberi, in quanto "alberi". Non gli alberi di una scena complessiva, bensì devono mantenere il proprio ruolo anche se estratti dalla vignetta e posti nel vuoto. Ed è per questo che Asteriti, se deve raffigurare le loro fronde, non lo fa (quasi mai) delineandone solo i contorni. Aggiunge, entro di essi e qua e là, alcune foglie, disegnate una a una, con cura, oppure qualche tratto sparso, sì minimale, ma ognuno differente dall'altro. Come se l'impeto del realismo vincesse ogni moto alla semplificazione. 


Gli elementi della vignetta vivono di una vita propria, particolare, privata, individuale. Questo intendevo quando mi riferivo a tende assorte nelle pieghe dei propri tormenti. Porte, aste di legno, vasi, cespugli, vestiti o tovaglie devono essere — potenzialmente — sfilabili dalla tavola e permanere, intatti, nella propria immobile credibilità. Un mondo assemblato, in cui ogni cosa viene disegnata in sé e per sé, offrendo una ricchezza di particolari, pieghe, incrinature, sgualcimenti. Un puzzle di vite singole e di storie isolate: ogni oggetto è una narrazione assorta in sé stessa e dimentica di ciò che la circonda. L'interdipendenza non è data dall'accordo armonioso tra le parti, ma dalla convivenza forzata, senza scambio di "buongiorni": elementi che si ignorano tra loro, costretti a soffrire lo stare in bilico e l'usura, ma in totale silenzio e in apparente solitudine.

Una cacofonia fatta di molti mondi, mai in reale collisione tra loro. Il disordine, ma senza schianti e urti. La tempesta della realtà e la potenziale, ma mai espressa, belligeranza delle cose molteplici, ognuna chiusa in sé medesima. Eppure, una forma di rapporto tra di esse esiste: quel rinchiudersi ognuna nel proprio privato bunker avviene — che lo si voglia o no — in una scena visivamente colta con un solo sguardo. È questa coesistenza ottica obbligata a portare a un'inevitabile relazione reciproca, ovvero quella rappresentata dall'intralcio vicendevole a un compiuto isolamento.

La sinfonia nella cacofonia

Asteriti è l'artista delle parti e non del tutto. Sbatte in faccia al lettore una cruda realtà: il tutto è fatto di parti ed esse sono — innanzitutto — sistemi isolati, mondi a parte, che s'intralciano a vicenda. Ma questo non significa che il disegnatore veneziano dimentichi l'intero, a favore del singolo particolare. Semplicemente, ci arriva in maniera tortuosa, diversa. La sinfonia sorge dalla cacofonia, non per annullare quest'ultima, ma, piuttosto, per rendere possibile un'armonia che sia (per quanto assurdamente) disarmonica. Il cosmo grafico asteritiano è pervaso da un equilibrio instabile donato da due caratteristiche già citate: 

1) Come enunciato poc'anzi, il fatto che ogni elemento sia costretto a coesistere in un solo sguardo fa sì che essi entrino in una relazione di tipo negativo: ogni cosa intralcia l'isolamento dell'altra, le grida "non sei sola!". Proprio il fatto che ogni oggetto tenti di isolarsi in sé stesso o, per meglio dire, provi a mettersi in risalto, attraverso una ricchezza di particolari inusuale, proprio questo impedisce a ciascuno degli elementi di apparire come realmente isolato: lo sguardo si posa sulla vignetta e nota un albero, poi una casa, poi una veste, poi un muro, e così via; viene catturato da questo o quel segno grafico e gli è impossibile fermarsi su uno solo di essi. Ognuno di questi pare dire: "Guardami! Ci sono unicamente io!", ma lo stesso fanno tutti gli altri e il lettore non sa cosa scegliere e dove arrestarsi. Il tentativo di isolamento è intralciato dallo stesso tentativo di isolamento: il porsi in isolata evidenza, in quanto condotto da ciascuno degli elementi in scena, intralcia quello di tutti gli altri. E anche questa, seppur negativa, è una forma di rapporto. 

2) La gravità che schiaccia tutto, indifferentemente; le case o le porte, gli animali parlanti come gli animali non parlanti. Tutto viene compresso verso il basso, curvato, a volte in modo più percettibile e — altre volte — in modo meno palese. Questa gravosa condizione comune regala alle scene una specie di rumore di fondo unitario, testimoniato dalla generalizzata curvatura. Ma non solo. Dà anche l'idea di una sorta di equilibrio sempre pronto a rompersi. Le figure asteritiane sembrano anelare a una stabilità individuale e totale irraggiungibile, ma che — nell'atto stesso di essere, perlomeno, tentata — regala al tutto una tensione che gli permette di reggersi in piedi, nonostante il peso. Le forme, premute al suolo, paiono muoversi controcorrente o controvento. L'impedimento gravitazionale regala loro una tormentosa ricerca di punti saldi che le accomuna, le rende parte di una medesima impressione generale. 

Il "tutto" esiste in Asteriti, ma si dà nella misura in cui contrasta con le "parti", nella misura in cui le costringe a una convivenza forzata e a una gravosa tortura comune. Non è la pace universale, ma un condominio di eremiti o prigionieri. 

Barocchismo e bomboniere bombate

Che descrizione tetra! Certo, messa così, il quadro del Nostro sembra essere quello d'un freddo realista, creatore di scene asfissianti, soffocanti, tragiche... Nulla di tutto questo! 

Asteriti, infatti, compie un vero e proprio miracolo. Questa costrizione all'immobilità senza tempo e a una comune gravità si ricopre di forme, sì spiegazzate, ma — come si diceva — rigonfie. Un rigonfiamento da bomboniera. Ecco l'opera alchemica asteritiana: unire la pesantezza e il realismo a una festa estetica fatta di bomboniere barocche, accompagnate da tratti spessi, pesanti quanto gli elementi di cui sono contorno, ma — proprio per questo — morbidi. Il disegnatore si diverte e gioca come un bambino e il prodigio sta proprio in questo: la gravità si trasforma in un elemento giocoso e festoso, fanciullesco. "Giocattoloso".

Ed è il connubio di questa con il realismo — la ricchezza dei particolari, delle figure in scena, il disordine voluto e l'immobilità da pittura di natura morta — a formare lo stile asteritiano nel suo complesso. Proprio il realismo (così adulto e serioso, all'apparenza), dal momento che aumenta i particolari da disegnare sulla tavola, accresce il numero delle occasioni, delle forme, cui applicare quella gommosa e giocosa pesantezza. Insomma: proprio dalla matura attenzione realista al particolare, sorge l'allegria bambina, fatta di un profluvio di figure tondeggianti e arricchite di dettagli dal contorno spesso e cartoonesco


Evoluzione dello stile

Bisogna dire che questo aspetto dei contorni spessi inizia palesarsi, sempre di più, attorno alla fine degli anni '80, per poi esplodere negli anni '90 e 2000. A molti non piaceva e non piace. Chi scrive, al contrario, lo apprezza molto e ritiene doveroso notare alcuni elementi di questa lenta (e decennale) trasformazione grafica. 

Negli anni '60 e '70 (e buona parte della prima metà degli anni '80), Asteriti ha la tendenza a inchiostrare le figure attraverso contorni di spessore pressoché uguale, senza troppe differenze tra le parti inchiostrate. Per capirci, Scarpa presenta una maggiore varietà di spessori, andando ad alleggerire il tratto o a inspessirlo, regalando tavole dall'aspetto meno visivamente pesante o corposo. Le tavole di Asteriti, al contrario, già in questi primi decenni, vedono una forte presenza del nero, cosa che regala loro una discreta pesantezza (di cui si è detto sopra): elemento che può essere amato (come dal sottoscritto) o no, a seconda dei gusti. 

Quale sia il motivo della scelta asteritiana, non è facile capirlo fino in fondo e si possono abbozzare almeno due piste: 

1) È tutt'altro che una semplice impresa quella di raccogliere materiale dell'Asteriti pre-Disneyano, ma è necessario guardare a esso, dato che il Nostro compie un'indipendente gavetta di quasi un decennio, prima di approdare sul Topo. Nelle riviste per cui lavora (di cui è possibile consultare appena qualche scorcio, sul web), si può notare un particolare interessante: contorni dal tratto che varia, ma di qualità ben più spessa rispetto a quello che era il canone del giornalino targato Disney. Chi scrive fa una serie di ipotesi: forse, Asteriti è stato "costretto", nel suo passaggio su Topolino, ad alleggerire il tratto che si portava dietro dalle riviste su cui aveva lavorato per quasi un decennio? E, forse, questo costretto alleggerimento è rimasto un elemento estraneo per l'autore, il quale non riusciva sempre ad applicare una variazione di tratti, proprio perché non abituato a lavorare con inchiostrature così sottili? Se si prende per buona tale pista, Asteriti avrebbe avuto un tratto poco vario proprio perché non abituato a lavorare con contorni troppo sottili. Questo gli avrebbe reso assai scomodo lo scendere troppo di spessore, ma — al tempo stesso — i canoni Disney imposti all'epoca gli avrebbero impedito di controbilanciare con spessori più grossi. E, da qui, l'effetto finale: poca varietà negli spessori. Poi, passati i decenni e — forse — acquisita una maggiore libertà professionale (magari, anche legata ai gusti estetici cambiati), ecco riapparire l'antico stile asteritiano delle riviste degli anni '50/60: un inspessimento generale del tratto e, così, una riacquista varietà di spessore. Questo è l'Asteriti fine anni '80 e anni '90. Tra gli anni 2000 e 2010, un'ulteriore trasformazione: diminuisce la varietà di spessore, ma rimane il tratto pesante. Come se Asteriti, abituato (ormai), da decenni, a un tratto senza variazione, fosse tornato a quella comoda soluzione, pur mantenendo l'altrettanto comodo spessore della sua formazione extra-disneyana. Un'ultima ipotesi conclude tale prima pista: forse, anche la ricerca della ricchezza di particolari e il realismo vengono da quelle esperienze di gavetta e dagli incontri con Faustinelli, Ongaro e Pratt? Da questa intervista, apprendiamo che Asteriti si riteneva non in grado di darsi al fumetto realistico: forse questa convinzione tradisce una sorta di desiderio che si esprimerà, negli anni a venire, nella ricerca di una commistione tra cartoonesco e realistico?

2) E arriviamo alla seconda pista (non per forza alternativa alla prima; potrebbero benissimo convivere e creare un quadro complessivo): l'elemento del tratto "grosso", unito alla poca varietà dello spessore, potrebbe essere una preferenza estetica del disegnatore, forse presa dai cortometraggi Disney con protagonista Mickey Mouse e da quel Gottfredson primissima maniera che sempre ha ispirato e appassionato il Nostro (il quale, sempre nella succitata intervista, ha a dire di avere il desiderio di tornare al Topolino scanzonato, e in calzoni corti, della sua infanzia e adolescenza). Infatti, specie nei primi cortometraggi, si era soliti utilizzare contorni spessi e uguali per gli elementi protagonisti e coprotagonisti in scena, per staccarli rispetto allo sfondo, reso con toni di grigi più sfumati. Lo stesso Gottfredson prima maniera, per quanto utilizzasse una discreta varietà di spessori, tendeva a una grandezza del tratto maggiore rispetto ai canoni successivi. Se si osserva una tavola del geniale autore, non si potranno non notare delle forti somiglianze con l'Asteriti del periodo extra-disneyano: contorni grossi, ma varietà di spessori. Cosa che potrebbe portare a ipotizzare un'ispirazione stilistica, poi rimasta negli anni, nonostante le "imposizioni" del nuovo canone a tratto più sottile. 

Scarpa e Asteriti: due diverse interpretazioni di Gottfredson

Se volessimo usare una metafora presa in prestito dalla storia dell'arte, dovremmo dire che Scarpa è stato classicista, mentre Asteriti barocco. Abbiamo già accennato alle differenze di stile tra i due nei precedenti paragrafi. Inutile ripetersi. C'è, però, un aspetto del loro stile che va indagato, anche se brevemente, e che mette ancora più in luce il classicismo del primo e il barocchismo del secondo. Entrambi, infatti, si rifanno a Gottfredson, sia implicitamente che esplicitamente. Eppure, presentano due stili tanto differenti. Quindi, la diversità di interpretazione dello stile del comune Maestro da cosa dipende, principalmente? Penso di avere una risposta, per quanto non definitiva. Essa viene dal diverso periodo (considerando l'intera produzione del grande autore e disegnatore americano) preso come ispirazione cardine: il primo Gottfredson per Asteriti e il Gottfredson maturo per Scarpa. 

La cosa è abbastanza evidente in quest'ultimo: il suo modo di disegnare ricalca (pur con delle ovvie variazioni) lo stile dell'ultimo Gottfredson delle continuity a strisce, quello degli anni ‘50. Per Asteriti, la questione è più complessa: non c'è un ricalco completo, ma una specie di reinterpretazione del primo Gottfredson attraverso lo stile della fase più matura. La fase primordiale rimane la principale ispirazione, ma è rivisitata attraverso le fasi degli anni successivi, quasi come necessario correttivo dovuto ai tempi. Pare di vedere una specie di linea temporale alternativa nella quale Gottfredson, anziché andare verso una progressiva razionalizzazione del segno, si sia spinto a maturare l'aspetto "gommoso" dei suoi primi disegni. Certo, viene perso l'aspetto filiforme ed esile dei personaggi ed essi guadagnano massa come nel Gottfredson anni ‘50, ma conservando la gommosità. 


Da qui, ecco il perché della gommosità pesante o della pesantezza gommosa (così barocca, affascinante, e così diversa dalla linearità di Scarpa). Che sia questo il motivo di quel gioco gravitazionale asteritiano di cui ho scritto diffusamente? Forse. In effetti, è probabile che il dover buttare lo sguardo su due così differenti periodi gottfredsoniani abbia spinto necessariamente il Nostro a "esagerare" con le masse dei personaggi, in modo da non cadere in un effetto troppo old style

Ma, chiaramente, si tratta solo di una ipotesi che non vuole esaurire lo spazio del dibattito.

Una narrazione gravitazionale

Giungiamo, finalmente, a un ultimo punto della questione Asteriti: il rapporto tra il suo inconfondibile stile e la narrazione nelle vignette; la relazione, insomma, tra disegno e sceneggiatura. Il Nostro, infatti, utilizza quella pesantezza più volte citata per far recitare i personaggi in scena: la gravità, spesso, li piega in avanti, proiettando braccia e mani in varie direzioni, producendo una gestualità molto forte e che serve per narrare gli stati d'animo dei personaggi. 

In realtà, qualcosa di simile lo si può trovare anche nella rappresentazione che Scarpa fa di Mickey e Minnie: entrambi risultano deformarsi e schiacciarsi — quasi come in Asteriti — verso il basso e gesticolare di conseguenza. Questo deve essere un retaggio della comune scuola gottfredsoniana e dei primi cortometraggi con protagonista Topolino, ma una differenza distingue i corti dalle strisce di Gottfredson: mentre nei primi vediamo che questo fenomeno dello schiacciamento — in pieno stile espressionista, quasi come un fossile del cinema muto — riguarda tutti i personaggi in scena, è con Gottfredson che le cose cambiano. A deformarsi verso il basso, comprimersi ecc. sono, in particolare, i personaggi maggiormente antropomorfi (Topolino, Minni, Pippo, principalmente). Quelli più umani, invece, tendono a presentare pose più dritte e anatomicamente realistiche. Pare quasi che Gottfredson abbia pensato il mondo Disney in maniera differente rispetto a come esso era stato concepito nei cortometraggi: Topolino, Pippo e co. vengono concepiti quali elementi cartooneschi inseriti in un mondo, tutto sommato, realistico. Elementi estranei e, per tale motivo, capaci di produrre un effetto comico per via del moderato contrasto rispetto all'ambiente. In Scarpa questo rapporto si mantiene. 

Asteriti, invece, torna alla concezione pre-Gottfredson, recuperando la deformazione generalizzata dei cortometraggi e tornando, quindi, a un espressionismo tipico della transizione dal muto al sonoro nel cinema. Ogni personaggio in scena, infatti, è costretto a recitare, per via di una gravità soverchiante che piega ognuno di essi, quasi contro la loro volontà, verso il basso, costringendoli a tentare di trovare spazio per gli arti in altre direzioni, come se il soffitto stesse piombando loro in testa ed essi si ritrovassero schiacciati, in un gesticolare che ha più l'aspetto di una necessità che di una effettiva scelta di chi gesticola. Uno spazio che sembra esser ridotto anche dalla ricchezza degli elementi di contorno in scena, i quali paiono obbligare i personaggi a scappare dalla vignetta, a cercare una via di uscita. Tale ricchezza, d'altra parte, è connotata da un'espressiva tattilità, quasi che si riuscisse a toccare quelle masse, quei corpi, a sentirne la solidità, forse proprio per via delle loro reazioni a un'immaginaria forza di gravità generale; reazioni che mettono alla prova la loro matericità e regalano un'idea più precisa di quale debba essere la loro consistenza. 

Questa espressività tutta fisica e tutta gravitazionale interagisce con la sceneggiatura mettendo in risalto ciò che accade o viene detto, funzionando da fisicissimo punto esclamativo o materica sottolineatura. Cosa molto azzeccata in un medium i cui fruitori — in maggioranza — si posizionano in un'età preadolescenziale. Asteriti è un maestro dell'interazione tra espressioni facciali e gesticolazione corporea, ma in un modo ben preciso: le prime sono moderate, per quanto molto azzeccate. Una semplicissima variazione nel tratto o nella forma degli occhi, infatti, basta e avanza, dato che viene immediatamente soccorsa da una gesticolazione — invece — radicalmente accentuata. La non dinamicità da fermo-immagine (di cui si scriveva sopra) convive con una dinamica prodotta da una ricchezza di espressioni e gesti, per quanto realisticamente immobilizzati a mo' di natura morta. Realismo da diapositiva e cartoonesco convivono perfettamente nello stile del Nostro. 


Un calibrato gioco di elementi che permette (provare per credere!) di seguire le storie anche senza leggerne i dialoghi. Questi ultimi pare quasi che vengano integralmente riprodotti dal segno grafico: non semplicemente aiutati dai disegni, ma totalmente reinterpretati, resi in china e forme. Ci si trova davanti, dunque, a due elementi (disegno e sceneggiatura) che convivono non nel completarsi a vicenda in modo organico, ma nel loro essere l'uno la copia dell'altra. Due gemelli. Convivenza, insomma, nella perfetta uguaglianza. Una scommessa audace, quella di Asteriti, dato che in una soluzione del genere potrebbe palesarsi il rischio di una ridondanza che riesce perfettamente a evitare, sapendo esattamente quanto spingere nell'espressività grafica e quando fermarsi. 

Conclusione

Che dire ancora? È stato un lungo viaggio dentro la china e il pennino di questo incredibile autore. Personalmente, si è trattato di un percorso istruttivo, perché mi ha costretto a pensare ai "perchè" e "per come" del suo stile, oltre che ai "come mai" della mia fascinazione verso di esso. Questi ultimi non li ho, chiaramente, inclusi nel corpo degli scorsi paragrafi, ma credo di poterli riassumere qui, poiché sono abbastanza convinto che siano condivisi da molti: il suo stile richiama epoche che generano immediata nostalgia. Lo si collega, istantaneamente, a quella che è stata l'epoca d'oro della produzione Disney italiana.

Certo, ho riferito (all'inizio di questo scritto) che esiste qualcosa di diabolico nel fatto che uno scalmanato rivoluzionario come Asteriti — il quale ha rivoluzionato tutto, non solo andando avanti, ma anche tornando indietro, fino al pre-Gottfredson, pure se sempre a modo proprio, seguendo vie inedite — sia percepito come un classico che più classico non si può. Ma un motivo c'è. Anzi, due. Il primo è che, effettivamente, Asteriti (come abbiamo visto) coi classici ci gioca parecchio, addirittura recuperando dinamiche da cortometraggio in bianco e nero. E il secondo è molto semplice: questo autore ha fatto, letteralmente, la storia del fumetto Disney in Italia, costituendo una linea alternativa, dissidente se si vuole, rispetto a quella "vincente" di Scarpa. Sempre con garbo, senza sgomitare, tanto da stupirsi di essere ricordato e amato da così tanti "bambini" ormai cresciuti (come alla premiazione del Papersera). 

© Disney per le immagini pubblicate.
L'Eco del Mondo non ha in alcuna maniera partecipato al concepimento o alla stesura dell'articolo pubblicato se non nella fase finale di revisione e editing. Ogni tesi e ipotesi avanzata è, pertanto, da considerarsi frutto di riflessioni personali ed esclusive dell'autore e il testo viene qui proposto per il suo valore di approfondimento e spunto per futuri dibattiti.