Oggi è Halloween, la Notte delle Streghe. E, nei fumetti dei Paperi Disney, ne abbiamo viste parecchie, di streghe. Basti pensare a storie classiche come Paperino e l'albero di Natale (Barks, 1948) o Paperino e le forze occulte (Barks, 1952), per poi arrivare a Zio Paperone e la fattucchiera (Barks, 1961). Ed è proprio su questo personaggio (e sulla sua successiva caratterizzazione all'interno delle storie dei fratelli Barosso) che verte l'articolo di oggi, scritto da Giuseppe Benincasa. Buona Lettura!
AMELIA MADE IN ITALY
di Giuseppe Benincasa
Amelia la fattucchiera che ammalia (in
originale: Magica De Spell) è uno dei personaggi più iconici creati da Carl Barks, l’Uomo dei Paperi, e, anche grazie alle sue
origini partenopee, ha presto fatto colpo sui lettori (e sugli autori)
italiani. Infatti, la prima storia nostrana con Amelia risale al 1962,
cioè un anno dopo il suo debutto americano e sei mesi dopo l'avvento sulle pagine di Topolino.
Si tratta di Zio Paperone e la strega antistrega (Barosso, Barosso/Perego, 1962), che detiene anche i primati di
prima storia non barksiana col personaggio e di primo incontro con la
strega Nocciola (Witch Hazel), nata in animazione e fatta debuttare
nei fumetti proprio da Barks, in Paperino e le forze occulte (Barks, 1952). I
fratelli Abramo e Giampaolo Barosso sono gli autori dei testi e si
può dire che, da questo momento in poi, abbiano “adottato” il
personaggio, stabilendone col tempo alcune caratteristiche che si
sono poi imposte nella sua versione italiana. La trama
è presto detta: Zio Paperone si allea con Nocciola per difendersi da
Amelia, intenzionata — come al solito — a rubare il primo decino
guadagnato dal miliardario per trarne un amuleto che la renda ricca. È
degno di nota l'aspirapolvere
volante utilizzato dalla fattucchiera campana (in contrapposizione alla classica scopa volante, usata dalla
più anziana Nocciola), elemento che ritornerà in alcune storie
successive.
Nelle storie americane, la prima volta
in cui si vede Amelia a cavallo di una scopa risale alla
breve Paperina fattucchiera per un giorno (Gregory?/Strobl, 1964), mentre, nelle storie di Barks, la papera napoletana utilizza abitualmente un più prosaico
aeroplano, con l’unica eccezione di I tre nipotini e la battaglia in bottiglia (Barks/Strobl, 1971).
La scelta dell'aereo è in linea
con l'iniziale visione più realistica del personaggio, che, nelle
prime avventure, sembra quasi più un’illusionista che una vera strega, dal momento che si serve di bombe al fosforo e meccanismi elettrici nascosti per sparare raggi ipnotizzanti. È a partire da Zio Paperone novello Ulisse (Barks, 1962) che Amelia comincia a mostrare caratteristiche più prettamente magiche,
con il ritrovamento della bacchetta magica e delle
pozioni della Maga Circe. Comunque, questa prima caratterizzazione più terrena ha echi nella già citata Zio
Paperone e la strega antistrega:
nonostante Amelia sia indubbiamente una vera e propria strega (tanto
da essere accostata a Nocciola e alla strega di Biancaneve), la si vede utilizzare un microfono nascosto per spiare Paperone.
All’epoca, il potenziale del personaggio era ancora da esplorare e i Barosso
continuano a farlo nel 1963 in Zio Paperone e la duplice alleanza (Barosso, Barosso/Gatto, 1963), dove Amelia e i
Bassotti si alleano per la prima volta in assoluto con lo scopo di derubare il ricco papero. Qui e in Zio Paperone e la sorpresa pasquale (Barosso, Barosso/Carpi, 1963), i fratelli torinesi si divertono
a inserire delle parole in napoletano nelle formule magiche pronunciate:
“Funicolì, funicolà! Foto! Su, dite immantinente: dove
si trova tutta ‘sta gente?”;
“Iamme… iamme… è mio volere che si spalanchi tosto
il forziere!”
Giocare sulla
napoletanità della fattucchiera viene naturale agli autori italiani
e un altro esempio viene sempre da Zio Paperone e la
sorpresa pasquale: Amelia
accende un razzo su cui volare, esclamando: “Volevo
lanciarlo a Piedigrotta, questo bel petardone, ma pazienza!”
Zio Paperone e l’orribile ossessione (Barosso, Barosso/Carpi, 1964) segna un altro passaggio importante: il debutto del corvo di Amelia in una storia italiana. Qui, per la
prima volta, viene usato il nome Gennarino (Ratface). Da notare che, nelle prime traduzioni delle storie barksiane, il nome era omesso e la prima volta che “Gennarino” compare in una traduzione di una storia americana è in Amelia e l’iceberg-pepita (?/Strobl, 1965). I Barosso non si limitano, però, soltanto al nome: infatti, diversamente dalla versione
americana, il corvo non parla, rispettando la propria natura animale,
caratteristica rimasta nella tradizione italiana.
Si
gioca ancora sulla napoletanità, questa volta con citazioni a brani
classici della canzone napoletana: Gennarino, grazie a un
incantesimo, canta ‘O sole mio
e Funiculì funiculà;
sul finale, Amelia, finita vittima dello stesso incantesimo, intona
Marechiaro. È
da citare, inoltre, l’ironico impiego dei turisti intorno al Vesuvio, presenti in questa e altre storie, spesso spaesati e interessati alla
fattucchiera (per esempio, una turista teutonica, vedendo Amelia cantare,
afferma: “Oh, Italien! Ke terra ti marafiliose canzona!”)
Nel
1965, i Barosso introducono un'ulteriore novità in Zio Paperone e l’ampolla di Alabastro (Barosso, Barosso/Bordini, 1965): l’aglio come arma difensiva contro le streghe; da allora, elemento immancabile nella produzione italiana. Come dice qui
Amelia, l’aglio è “l’unica cosa che streghe, vampiri
e fattucchiere non possono sopportare!” Non deve essere un caso che, secondo una nota formula scaramantica napoletana (portata all'attenzione nazionale dalla televisione e il cinema), basterebbe l’aglio a non “far quagliare le fatture” (“Aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglio, corna, bicorna, capa r’alice e capa r’aglio”).
È, quindi, proprio grazie a due autori spesso poco ricordati che la fattucchiera che ammalia ha cominciato a
muovere i primi passi in Italia, sviluppando caratteristiche e
stilemi che continuano a essere utilizzati tutt’ora, a decenni di
distanza.
© Disney per le immagini pubblicate.
molto bello complimenti!
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