lunedì 22 gennaio 2024

La storia migliore di Carl Barks compie 75 anni (... e non solo!)

Chi segue fedelmente questo blog sa bene che non sono solito fare recensioni o esprimermi in merito alla qualità narrativa e artistica delle storie che menziono o commento, ma oggi farò una sorta di eccezione. Infatti, tra esattamente un mese, saranno passati 75 anni dalla prima pubblicazione della storia che lo stesso Carl Barks ha in diverse occasioni definito una delle sue migliori, se non la migliore: Lost in the Andes!, ovvero Paperino e il mistero degli Incas (Barks, 1949). Semmai ci fosse stato bisogno di un'occasione particolare per rileggersi una tale perla fumettistica, ho ritenuto di non sprecarla e ho deciso di ripercorrere assieme a voi quanto accaduto alla famiglia più peculiare di Paperopoli, riportando qualche mia impressione a riguardo. Inoltre, ne approfitto per ricordare anche i due seguiti di questa avventura, dato che anche essi compiranno cifra tonda nei prossimi mesi.


Ebbene, la vicenda si apre con Paperino impiegato come quarto aiutante custode al museo di scienze naturali. Il suo compito è quello di spolverare alcune vecchie pietre provenienti dalle antiche rovine degli Incas in Perù, ma qualcosa non va secondo i piani. Una pietra quadrata, infatti, sfugge dalle mani del nostro eroe e si frantuma a terra, rivelandosi un uovo.

Un uovo quadrato!

Paperino lo comunica al suo sovrintendente e la scoperta sconvolge il mondo scientifico, attirando l'interesse di importanti commercianti di uova e allevatori di polli. La documentazione relativa alla collezione di quelle "pietre" è, però, andata perduta nell'incendio di Chicago e, quindi, non rimane altro da fare se non allestire una nuova spedizione in Perù. A capo dell'impresa, il professor Arcibaldo Gentiloni Arraffa (Artefact McArchives), seguito dal suo primo assistente Sventola (Tomsbury), il secondo assistente Caraffa (Wormsley), il terzo assistente Paperino e i suoi nipotini. Il professore desidera una omelette, ma, essendosi dimenticati di caricare le uova, i tre paperini si vedono costretti a ricorrere a quelle quadrate che stanno trasportando. L'omelette, assaggiata da tutti gli assistenti prima di giungere al professore, provoca a loro una strana malattia, chiamata "tetragogeocoliquadrite acuta" ("acute ptomaine ptosis of the ptummy"), che prevede che i dotti gastrici si attorciglino in nodi quadrati. Attraccati in un porto sulla costa del Perù, il professore e i suoi assistenti hanno perso interesse nella spedizione e l'onere viene affidato ai Paperi. A questo punto, mi permetto una piccola digressione: fin dalla loro prima apparizione in questa storia, Qui Quo e Qua vengono richiamati dallo zio (e dal medico di bordo!) perché continuano a gonfiare gomme da masticare... questo dettaglio tornerà utile in seguito. 

Le gomme da masticare

La spedizione sulle Ande dura diversi giorni e i Paperi incontrano alcuni abitanti delle montagne prima di raggiungere la destinazione. Tra questi, solo un anziano cacciatore di vigogne crede alla storia delle uova quadrate perché le aveva viste da ragazzo, credendole pietre. Infatti, racconta che, molto prima che nascesse, suo padre stava cacciando le vigogne quando ha visto un uomo sbucare dalla nebbia barcollando, quasi morto per la fame e per il freddo. L'uomo era americano e il padre non poteva comprendere le sue ultime parole, ma aveva notato il folle sguardo nei suoi occhi. Lo straniero non aveva addosso documenti o altro, soltanto stracci e un poncho riempito con quelle pietre quadrate. Tutto ciò era accaduto vicino alla regione delle nebbie e Paperino chiede indicazioni al cacciatore su dove si trovi, per poterla raggiungere. La nebbia è fortissima e non permette ai Paperi di vedere nulla. Giungono dinnanzi a un muro e passano attraverso un buco lasciato da una roccia caduta, ma scivolano e scivolano ancora lungo un pendio erboso, la nebbia si dirada e la temperatura si fa più calda, finché arrivano a un muretto dal quale possono ammirare sorpresi un mondo perduto sotto la nebbia.

Il mondo perduto

I Paperi discendono verso la civiltà e scoprono un luogo dove ogni cosa è quadrata e i cui abitanti parlano in inglese con un forte accento del sud. Vengono invitati a cena dove tutto è presto spiegato. Tempo fa, esattamente tra il 1863 e il 1868, gli abitanti della valle sono stati visitati dal loro unico ospite, l'americano Sentimento Cuorcontento (Rhutt Betlah), professore della scuola di inglese di Birmingham. A tavola, vengono servite tre portate costituite unicamente da uova, sebbene cucinate in maniera differente. Alla fine del banchetto di benvenuto, gli eroi si allontanano sperando di trovare altro tipo di cibo, ma scoprono che le uova sono l'unica pietanza conosciuta dai nativi.


Inizia, così, una caccia alle galline che producono le uova quadrate e i quattro protagonisti si recano nella valle delle uova, dove ogni mattina sembrano comparire magicamente sul terreno. Grazie a una gomma da masticare gonfiata e appiccicata su una grande roccia quadrata, i paperini scoprono che le rocce sono in realtà galline accovacciate. Per aver trovato le elusive galline quadrate, i nostri vengono nominati segretari dell'agricoltura del luogo, che il professore di Birmingham aveva chiamato "Testaquadra" (in lingua originale, il nome dato dal professore sarebbe "Plain Awful", un gioco di parole pressoché intraducibile che, alla lettera, suonerebbe come "Semplicemente Orribile", mentre "Plain" significa anche "pianura"). La cerimonia viene, però, interrotta quando Qui Quo e Qua, per replicare ciò che è successo dinnanzi alla folla, gonfiano l'ennessima gomma, infrangendo l'unica legge di Testaquadra: produrre un oggetto rotondo.

Rotondo!

In virtù dei grandi meriti dei segretari, il presidente concede loro cinque giorni di sospensione della sentenza e promette di revocare loro la pena (un futuro di fatica e sudore nelle cave di pietra) se riusciranno a gonfiare delle bolle quadrate. Il tempo passa e i tentativi dei paperini sembrano essere inutili, fino a quando non vedono alcuni neonati pulcini quadrati e viene loro un'intuizione. Insegnano ai pulcini a masticare le gomme e, arrivato il giorno del giudizio, li nascondono sotto i loro vestiti per celare la vera provenienza delle bolle quadrate. I Paperi sono liberi, ma i giorni continuano a trascorrere senza che riescano a trovare una maniera di lasciare Testaquadra. Ecco che i nipotini decidono di visitare un edificio che ancora non avevano esplorato: il museo. Qui, i nostri trovano uno "strumento magico" donato dal professore di Birmingham al presidente: una bussola. Il presidente concede ai Paperi la bussola se questi insegnano al popolo qualcosa per essere più allegri. "Insegneremo loro a ballare le nostre danze popolari!" ("square dancing"), esclamano Qui Quo e Qua, e il patto è sugellato. Riescono, infine, a uscire dalla nebbia e a fare ritorno in America con due esemplari di polli quadrati e convocano un conclave di scienziati per poterli studiare. 

Il conclave di scienziati

Sembra essere una grande scoperta, gli scienziati già si figurano di poter allevare una specie di super pollame e sono tutti in estasi e fermento. Purtroppo, con grande disappunto e umiliazione di Paperino, si scopre che entrambi gli esemplari sono galli e i sogni scientifici si dissolvono presto. Niente più allevamenti, niente più uova quadrate. L'avventura di Barks è ricca di pathos e segue una struttura lineare, con elementi che vengono disseminati e ripresi nel corso dello sciogliersi dell'intreccio. Il mistero, le gag, il pericolo... è tutto calibrato ed equilibrato in modo tale che nulla sovrasti e risulti troppo pesante. La combinazione è perfetta e non sorprende che lo stesso autore ricordi la storia con vero compiacimento: "My best story, technically, is probably the square egg one", rivela a Malcolm Willits, Don e Maggie Thompson nel 1962 e, quando Erik Svane, nel 1994, gli chiede se abbia una storia preferita, l'autore di Merrill risponde: "I have a number of favorite stories, but I guess I would say the story of the square eggs".

"Avevano così poco di tutto, eppure erano il popolo più felice che abbiamo mai conosciuto!"

Cinquantacinque anni dopo, la storia di Barks viene ripresa esattamente dal punto in cui era stata lasciata, dall'autore finlandese Kari Korhonen, all'interno di una tavola intitolata Vaativa maku (Korhonen/Vicar, 2004), pubblicata in un libro di cucina a tema disneyano, pubblicato dall'editore Sanoma. Questa tavola è stata ristampata solamente in Olanda, in un numero celebrativo del settimanale Donald Duck che mescolava storie d'epoca e tavole create ad hoc, inserite in un ideale flusso cronologico. Per completezza (e, ovviamente, maggiore comprensione), ho tradotto la tavola in italiano e mi accingo a riportarla di seguito.


Tenendo in considerazione la pubblicazione di origine, la gag è tutto sommato simpatica e i disegni di Vicar, abile emulo barksiano, non fanno altro che renderle giustizia. Tuttavia, come molti di voi sapranno bene, non si tratta dell'unico seguito dell'avventura originale e, anzi, ne esiste un altro ben più conosciuto e diffuso, scritto e disegnato nientemeno che da Don Rosa, Paperino e il ritorno a Testaquadra (Rosa, 1989), sedicesima storia Disney del cartoonist di Louisville, nonché suo primo seguito diretto di una avventura barksiana. Prima di proseguire, però, ritengo che sia utile un po' di contesto: è il 1988 e Bruce Hamilton, fondatore della Gladstone Publishing, chiede a Don Rosa di scrivere e disegnare un sequel per Paperino e il mistero degli Incas. La ragione? La compagnia madre della Gladstone, la Another Rainbow Publishing (fondata dallo stesso Hamilton, assieme a Russ Cochran, nel 1981) stava producendo delle litografie dei quadri dipinti in quel periodo da Carl Barks e uno dei prossimi soggetti sarebbe stato, appunto, Return to Plain Awful, essenzialmente una scena della storia originale, con in aggiunta Zio Paperone e un vessillo delle Giovani Marmotte.

Il dipinto che ha dato il là al sequel firmato da Don Rosa

Riassumendo: un po' di tempo è passato dal viaggio dei Paperi e i galli si stanno ammalando a vista d'occhio, perciò Qui Quo e Qua, in veste di Giovani Marmotte, chiedono a Zio Paperone di finanziare una nuova spedizione in Perù, temendo per il peggioramento della salute degli animali. Inaspettatamente, Paperone accetta, con l'intenzione di farsi concedere i diritti di esportazione per il commercio delle uova quadrate, e si porta dietro un miliardo di dollari in contanti. La voce si sparge rapidamente e Cuordipietra Famedoro si mette in viaggio per soffiare l'affare al rivale. Giunti sulle Ande, il miliardario sudafricano entra subito in contatto con il cacciatore di vigogne, che lo conduce all'accampamento dei nostri, a cui ruba i due galli. Passano alcuni giorni e la famiglia dei Paperi raggiunge il muretto da cui si può ammirare la valle segreta.

Il ritorno al mondo perduto

Paperino e nipoti procedono a preparare lo zio per entrare nella città. Gli enunciano l'unica legge del luogo e gli spiegano che i testaquadrati (Awfultonians) sono proprio come gli americani, che l'unica persona ad aver mai visitato il luogo è stato il professor Rhutt Betler dall'Alabama e che l'intera società è modellata sulla vecchia ospitalità del sud. Quello che i Paperi non possono immaginare è che qualcosa è cambiato dalla loro ultima visita. E qualcosa di importante! Infatti, se prima la società era modellata sull'ospitalità del sud e i testaquadrati parlavano con accento di quelle parti, ora parlano e vestono tutti come Paperino (e vanno pazzi per le amache!). Come notano i tre paperini, Testaquadra è talmente isolata che ogni visitatore dal mondo esterno causa profondi cambi sociologici e i suoi abitanti seguono pedissequamente ogni nuova idea o moda, indipendentemente da quale sia.

La musica è cambiata a Testaquadra

I nativi accolgono a braccia aperte i loro vecchi amici e Zio Paperone, che si appresta a tenere un pubblico discorso per convincerli dell'importanza del denaro. Inavvertitamente, nell'elencare i suoi possedimenti, estrae dalla tasca il filo di spago a cui è legata la sua Numero Uno. Sacrilegio! La scena della prima storia si ripete, Paperone ha commesso l'unico crimine imperdonabile ed è condannato a rimanere nelle cave di pietra per sempre. Mentre i Paperi tentano di fuggire, Cuordipietra cade dal precipizio tenendo i galli al guinzaglio e plana sopra il rivale. La situazione non può che peggiorare: la Numero Uno viene inghiottita da una gallina e Paperone viene imprigionato. L'unico modo per liberarlo è portare al presidente un gelato con la gazzosa. Famedoro e i Paperi stipulano un patto: si recheranno assieme a cercare il gelato e torneranno per liberare lo zio. 

L'incubo di Zio Paperone

Dopo alcune peripezie, riescono ad andare e tornare con il gelato, ma il miliardario non mantiene la parola data e, per sbeffeggiare il rivale in catene, gli scaglia contro un uovo. Per rimediare al tradimento, Paperino e nipoti fabbricano un gelato con ingredienti di fortuna e lo portano allo zio. Sorpresa: nell'uovo lanciato da Cuordipietra era contenuta la monetina portafortuna. Ora, Paperone si sente invincibile, spezza (metaforicamente e letteralmente) le catene e raggiunge il rivale con il suo gelato in mano. Ma, giunti alla volta della città, i due si rendono conto che tutto è nuovamente cambiato. Ora la personalità degli abitanti è basata proprio su di loro, i negozi vendono (vendono?) bastoni, cilindri, ghette e il presidente (ora presidente del consiglio di amministrazione) si è fatto costruire un enorme deposito e non è più interessato al gelato con la gazzosa.

Una nuova città

La nuova richiesta per la liberazione di Paperone è ora denaro, per poter riempire il nuovo deposito/museo. Il papero più ricco del mondo consegna, così, il miliardo di dollari che si era portato appresso e il presidente, con estremo stupore dei presenti, taglia le banconote in due con un'accetta, rendendole quadrate e causando lo svenimento dei due rivali. La storia si conclude così, la nuova società è solo in apparenza basata su Paperone e Cuordipietra, ma i nativi lo prendono come un gioco, imitandoli superficialmente, senza condividerne (e nemmeno comprenderne) realmente i valori e i significati. I sei paperi si allontanano da Testaquadra, forse per sempre, lasciandola in preda a questa nuova moda. Comunque, prima di partire, Qui consegna a un gruppo di nativi un manuale delle Giovani Marmotte e il loro vessillo, con la speranza che riescano a mantenere uno spirito puro e incontaminato. 

L'ingenuo gesto del buon selvaggio è inaccettabile per il capitalista occidentale

Il racconto di Don Rosa prosegue in maniera interessante quanto già narrato da Barks e lo fa in modo credibile. Nonostante ciò, il lettore più esigente potrà notare che alcuni dettagli non sono spiegati a fondo: come mai il cacciatore di vigogne pare vederci, mentre nella storia originale afferma di non poter vedere nulla senza i suoi occhiali? Come fanno i nativi a cucinare dei chicken burger se nella storia originale i polli quadrati non erano commestibili neppure dopo essere stati bolliti per un giorno e mezzo? Perché Paperino e nipoti si premuniscono di togliere ogni bottone dai loro vestiti, mentre nella storia originale li mantenevano? I cappellini di Qui Quo e Qua non hanno una forma rotonda? Perché Cuordipietra non viene accusato quando, alla fine della storia, estrae una monetina rotonda di fronte al presidente? La spiegazione per alcune di tali questioni potrebbe essere che Rosa ha forzato (coscientemente o meno) l'interpretazione della legge. Di fatto, in Barks, era considerato crimine solamente produrre oggetti rotondi, non indossarli o utilizzarli. Motivo per cui le bolle dei nipotini sono state incriminate, mentre i bottoni della giubba di Paperino o la bussola (che era rotonda) no. Ma, forse, mi sto scervellando troppo su questioni minori che non vanno a inficiare il significato complessivo. Per contro, l'affermazione che Zio Paperone porterebbe spesso con sé il suo primo decino come portafortuna, che qualcuno potrebbe ritenere incoerente, non mi disturba affatto, in quanto trova almeno un precedente nell'opera barksiana, in Paperino reporter degli abissi (Barks, 1963).

Il decino portafortuna

A ogni modo, quest'anno segna il novantesimo anniversario dell'esordio di Donald Duck (e vi prometto che ne riparleremo), il settantacinquesimo de Il mistero degli Incas, il trentacinquesimo de Il ritorno a Testaquadra e il ventesimo della tavola nordeuropea che ho appositamente tradotto e pubblicato per la prima volta in italiano. Capirete bene che non mi potevo esimere dallo scriverne qualcosa a riguardo, ricordando e celebrando questi personaggi e le bellissime avventure che hanno vissuto. Cento di queste storie, quindi, ma anche mille, diecimila e oltre!

© Disney per le immagini pubblicate.

sabato 13 gennaio 2024

Si parla de Il Corsaro (Stabile/Ferracina, 2024) assieme al suo autore

Torno a scrivere di Topolino (il settimanale, non il personaggio) in occasione della pubblicazione di una nuova e bella storia: Il Corsaro (Stabile/Ferracina, 2024). L'insolito protagonista di questo racconto è Malcolm de' Paperoni. Per chi avesse bisogno di una rinfrescata: questo personaggio esordisce in Paperino e il tesoro della regina (Barks, 1956), in cui lo scopriamo essere stato nientemeno che Zio Paperone in una vita precedente. Ebbene, Matey McDuck, questo il nome suggerito dall'Uomo dei Paperi, era un luogotenente della marina britannica sulla nave da guerra Falcone Reale (Falcon Rover), capitanata da John Sparviero (Loyal Hawk). Purtroppo, a quanto risulta dai documenti, il Falcone Reale è stato affondato, con tutto il suo equipaggio, dai galeoni spagnoli, in data 9 dicembre 1564. Il nome di battesimo, Malcolm, è stato aggiunto in seguito da Don Rosa, che lo mostra anche in Il nuovo proprietario del castello de' Paperoni (Rosa, 1993), quinto capitolo della sua Saga, all'interno del tribunale dei de' Paperoni 

Il luogotenente de' Paperoni e Paperinocchio Codacorta

Sarà Vito Stabile a resuscitare (quasi letteralmente!) Malcolm in occasione del settantesimo anniversario della prima apparizione di Zio Paperone, in Zio Paperone e la corona dei desideri (Stabile/Perina, 2017). E, ora, a distanza di sei anni e poco più, il marinaio britannico torna sulle pagine del settimanale, in una storia che ne esplora le origini, mostrandolo ancora ragazzo, nella contea di Featherton, Inghilterra. Per l'occasione, ho deciso di presentare questo lavoro attraverso un botta e risposta con il suo autore.

SC: Simone Cavazzuti
VS: Vito Stabile

SC: La premessa de Il Corsaro (ragazzo che si allontana dai genitori e dall'attività di famiglia per seguire la ricerca della propria passione e di sé stesso) potrebbe richiamare alla mente l'incipit della saga del giovane Cornelius, narrata da Alessandro Sisti. Anche se, a ben vedere, il conflitto generazionale è presente nei fumetti Disney fin dai suoi albori, basti pensare alle storie di Barks degli anni '40 (in cui Paperino aveva spesso di che discutere con i nipotini) o anche, più in generale, al rapporto tra Paperino e suo zio Paperone. Quale pensi sia la chiave per inserire questo tropo in modo da valorizzare l'idea di base, senza banalizzare il racconto o farlo risultare qualcosa di già visto?

VSPremesso che la sceneggiatura è stata consegnata prima che uscisse il primo episodio di Cornelius, e che quindi alcuni collegamenti sono solo casuali, come tu dici, si tratta di tematiche classiche presenti in centinaia di racconti di formazione che vogliono mostrare proprio dei personaggi giovani alle prese con il desiderio di emancipazione e rivalsa. Nel mio caso, ho pensato che il conflitto genitori-figli fosse un tema generalmente poco presente nel fumetto Disney (dove abbondano parenti “meno stretti”, come zii e cugini), e legarlo a un componente del Clan de' Paperoni mi è parsa fin da subito un'idea stimolante. Non so se sono riuscito a renderlo originale o meno, quel che ti posso dire in maniera più oggettiva è che si tratta di qualcosa che non leggiamo tutte le settimane su Topolino... ed è già un buon punto di partenza, secondo me!

I genitori di Malcolm non condividono la sua visione

SC: Nella storia, sono presenti vignette, sequenze e tavole in cui il dialogo è assente o, comunque, molto rarefatto (esempi alle pagine 11, 16, 22, 27, 29-30, 34, 44, 50, 62). Si tratta di attimi che, grazie agli ottimi disegni (di Mario Ferracina) e colori (di Emanuele Virzì), riescono a trasmettere emozioni e sensazioni vivide al lettore, senza il bisogno di parole. La regia si fa più intimista, riflessiva, e rimanda a un certo tipo di esperienza riscontrabile in prodotti audiovisivi, quali film e serie tv. Quanto pensi sia importante aggiornare il linguaggio del fumetto integrandolo con grammatiche proprie di altri media? Ritieni che esista un limite a questo tipo di sperimentazione o ti auspichi che gli autori contemporanei lascino andare certi freni conservatori?

VS: Per questa storia ho ritenuto fosse necessario, per certi versi doveroso, adottare una struttura di questo tipo. Non ritengo che tavole mute ed espedienti simili si adattino a ogni tipo di racconto e penso sia comunque giusto non abusarne in linea generale, ma ci sono occasioni  come nelle vicende de Il Corsaro  dove la narrazione preferisco avvenga in maniera più rilassata e intimista, nelle quali si ha modo di prendere fiato per dare spazio a suggestioni ed emozioni. Anche questo vuol dire raccontare per immagini, dopotutto.

Va anche detto che io penso che il fumetto non debba mai fossilizzarsi troppo, e che basta aprire un manga qualsiasi fra i più letti per trovare gabbie inusuali, regie dinamiche, vignette d'effetto a tutta pagina. Trovo giusto che un lettore odierno apra Topolino e non debba imbattersi sempre e solo nella gabbia a sei vignette con due balloon a vignetta, perché bisogna ricordarsi che quello che per uno sceneggiatore può essere “corretto”, per un lettore può voler dire solo banale e noioso. Per certi versi, vado molto fiero della splash page (disegnata splendidamente da Mario) con Malcolm che corre entusiasta verso la libertà dopo aver preso la decisione di mollarsi tutto alle spalle: per me la scena non avrebbe mai funzionato allo stesso modo, se raccontata in maniera convenzionale.

Le parole non sono necessarie

SC: A pagina 15, il giovane Malcolm, osservato dai ritratti degli antenati, dichiara di sentirsi fuori posto e si sente la vergogna della famiglia: Un de' Paperoni a cui non interessa il profitto! Dove si è mai visto? Ti ritrovi nelle sue parole pessimiste e sconfortate? Credi che esistano delle qualità proprie insite nella natura dei de' Paperoni o si tratta, piuttosto, di caratteristiche incidentali che trascendono dall'esperienza individuale di ogni soggetto?

VS: Non penso che esistano persone “fatte in un certo modo”, e i McDuck non fanno eccezione. Però esistono le aspettative, il senso di appartenenza, “l'onore” di portare un certo nome e quando ti chiami de' Paperoni non puoi proprio far finta di nulla. Malcolm sente il peso di questo nome e lo vediamo come personaggio in conflitto: da un lato il dispiacere di non essere visto come un membro onorevole del Clan, dall'altro il desiderio di infischiarsene di tutto questo e seguire i propri obiettivi. Alla fine della storia, volevo evidenziare proprio questo aspetto: lui si vede come grande corsaro, che è il suo sogno, ma pensa che un giorno sarà l'orgoglio dei de' Paperoni, per sottolineare ancora quel desiderio di approvazione genitoriale che non l'ha abbandonato.

I turbamenti esistenziali non hanno epoca

SC: I comprimari di Malcolm mi paiono originali e promettenti: Elaine Vanderbeak — cartografa di bordo —, Basilio Cinnamon (un orso!) — cuoco —, Sawyer Scuttle — timoniere —, Henry Greenbottle — capitano — e, infine, l'enigmatico Joe Smith. Quali sono le influenze che ti hanno ispirato i loro caratteri e nomi?

VS: Un po' di tutto. Per i collegamenti più diretti: Elaine è un chiaro omaggio fin dal nome a Elaine Marley di Monkey Island, mentre Sawyer viene dal mio personaggio del cuore di LOST (la mia serie d'avventura preferita). Non c'è stato ancora modo di approfondire i personaggi dal punto di vista caratteriale, ma posso dire che nessuno di loro è stato pensato a caso. Ne approfitto per ringraziare anche pubblicamente Mario Ferracina per la splendida caratterizzazione visiva della ciurma. Il mio preferito è l'orso Basilio, che ricorda celebri icone come Baloo e Little John. Graficamente, un vero personaggio Disney.

Il misterioso Joe Smith

SC: Idealmente, quanto/fino-a-che-periodo ti piacerebbe raccontare di questi personaggi?

VS: Il Corsaro è un racconto di formazione, quindi mi piacerebbe seguire Malcolm per tutto il suo percorso di crescita, fino all'epoca elisabettiana mostrataci in Paperino e il tesoro della regina di Carl Barks. Mi stimola l'idea di vedere cosa lo porterà a diventare un vero Paperone del Cinquecento, perché ho idea che non si tratterà di un cammino facile e senza inciampi. Vedremo!

SC: Si tratta di un'operazione isolata o ti interesserebbe ripercorrere le gesta di altri personaggi “dimenticati” o poco esplorati?

VS: Non saprei, di certo ritengo che bisognerebbe esserci un'idea valida da giustificare l'operazione. In questo caso, parliamo dell'avo dei Paperi più interessante (a mio parere), proprio per via del suo legame strettissimo con Paperone, ma certamente non ho il feticcio dei personaggi poco esplorati “perché sì”. Se ci riproverò, sarà soltanto perché avrò trovato un'idea davvero intrigante da cucire attorno al personaggio.

Il riflesso rivelatore

SC: E, infine, per i lettori appassionati di genealogia papera: come si chiamano i genitori di Malcolm?

VS: Mamma e Papà. Per me era fondamentale identificarli in questa storia esclusivamente come figure genitoriali con le quali il protagonista è in contrasto. Sono genitori severi e poco comprensivi, per certi versi “distanti”, e Malcolm li vede soltanto in questo modo. E così il lettore. Se e quando ci saranno le circostanze per approfondire il loro punto di vista, magari conosceremo anche i loro nomi.

© Disney per le immagini pubblicate.

martedì 2 gennaio 2024

L'Almanacco Topolino è in pericolo? Qualche considerazione a ruota libera


Durante la consueta live di fine anno sul canale YouTube The Fisbio Show, il direttore editoriale di Topolino in carica, Alex Bertani, ha confermato che l'Almanacco Topolino passerà dall'essere bimestrale a trimestrale. Una scelta, chiarisce Bertani, motivata dal fatto che "è un prodotto molto di nicchia" e che "fa un po' più fatica degli altri". Non poche le rimostranze degli utenti del forum Papersera, che hanno iniziato ad allarmarsi, subodorando una prossima chiusura dei battenti. Siccome, da principio, ho ritenuto questa testata una potenziale chicca, ho deciso di scriverne a riguardo, illustrando il progetto e le motivazioni che mi hanno spinto ad abbandonarne l'acquisto dopo pochi numeri.

Innanzitutto, un po' di contesto: il primo numero del nuovo Almanacco Topolino esce in edicola il 28 aprile 2021 come allegato a Topolino 3414, è curato da Luca Boschi (pilastro della divulgazione disneyana in Italia) e si rifà allo storico mensile che portava lo stesso nome (1957-1984), di cui recupera anche il logo. Come racconta lo stesso Boschi nel primo redazionale, "il nuovo Almanacco può essere idealmente suddiviso in tre componenti: i classici made in Italy che aprono e chiudono l'albo, a seguire un'antologia di storie contemporanee inedite straniere e infine avventure vintage di rara pubblicazione provenienti da fonti estere, soprattutto americane".

Per una sorta di rispetto e fiducia verso il curatore, nei confronti del quale ho sempre nutrito una forte stima (fortunatamente ricambiata), ho acquistato i primi quattro numeri del progetto, ma mi sono presto accorto che questa formula non mi si confaceva. In poche parole, avevo capito di non essere nel target del prodotto. Ma, allo stesso tempo, non riuscivo realmente a comprendere chi volesse essere il destinatario di questa opera. Cerco di spiegarmi.

Parto dalle "avventure vintage di rara pubblicazione": fondamentalmente, storie provenienti dai comic books americani degli anni Cinquanta e Sessanta. Se dicessi che non meritino di essere scoperte e tramandate, mentirei, ma noi, orfani delle pubblicazioni che lo stesso Boschi (assieme ad Alberto Becattini e Lidia Cannatella) curava, le conosciamo bene, queste storie. Le abbiamo lette proprio lì, su Zio Paperone, su I Maestri Disney, su Disney Anni D'Oro... E, quei mitici albi, irripetibili per contenuti editoriali e selezione delle storie, li conserviamo gelosamente. Se devo pensare all'Almanacco come a "un prodotto molto di nicchia", devo quindi immaginare una nicchia che non possieda le defunte testate citate. O, ancora peggio, una nicchia che non conosca le storie di Carl Barks, dal momento che sono state pubblicate su 8 numeri dei 17 editi al momento. Riconosco che il contributo del cartoonist dell'Oregon sia alla base del fumetto Disney, ma non riesco a immaginare un lettore non occasionale che non lo conosca a memoria e non lo possieda già in molteplice copia, considerando che si tratta dell'autore disneyano più ristampato di sempre (a ragione) e che ha più di una raccolta omnia a suo nome. Purtroppo, lo spazio dedicato a queste storie costituiva per me una sorta di "spreco", in quanto si trattava di doppioni che non mi era utile accumulare.

Lo stesso dicasi per "i classici made in Italy", alcuni già letti su collane come Le imperdibili. Mi dispiace, ma non ho trovato particolarmente coinvolgente la riproposizione di queste storie, se non per il gusto puramente evocativo di replicare la formula degli Almanacchi di una volta. Mi rendo conto che, essendo disposte su quattro strisce, non siano storie agilmente ristampabili altrove, come magari su I Grandi Classici, ma l'effetto nostalgia non ha avuto presa sul mio "cuore di pietra".

Veniamo, quindi, al centro della questione (e degli albi), quello che mi aveva invece incuriosito e su cui avrei puntato di più: le "storie contemporanee inedite straniere". Ogni anno, in Danimarca e in Olanda, vengono prodotte centinaia e centinaia di storie che rimangono inedite nel nostro paese. Qualcuna spunta ogni tanto su Topolino (guai, però, se i disegni non sono di Giorgio Cavazzano!), su Paperino o su Zio Paperone, ma ciò non è assolutamente sufficiente per avere un punto di vista sulla produzione internazionale, sulla maniera che hanno autori diversi di scrivere e disegnare. Ed è un peccato. Qui, Boschi, sulla scia delle esperienze passate, aveva avuto l'intuizione giusta. Portare in Italia una sensibilità differente, contestualizzandola e introducendola appropriatamente. Ben venga il Topolino in calzoncini rossi di Ferioli, le nipotine bionde di Paperina di Heymans, Paperino e Della da bambini di Geradts, il Panchito di Jippes e così via... Ma lo spazio dedicato a questa sezione meritava di essere almeno il doppio.

Tali riflessioni mi hanno portato, dopo soli quattro numeri, a interrompere l'acquisto della testata: non ho ritenuto sufficiente l'apporto di contenuti inediti e non mi è parso sensato continuare a comprare qualcosa che proponesse, per la maggior parte della foliazione, storie che già possiedo e già ho letto. Da qui, non mi sento di appartenere al target. Per quanto io possa apprezzare Kari Korhonen (ricordo di averlo intervistato per questo blog nel lontano 2010, ben prima che il suo nome circolasse in Italia tanto quanto negli ultimi anni), la pubblicazione dei suoi Diari di Paperone non è stata un incentivo abbastanza forte e la scelta di suddividerli in maniera così centellinata (non dimentichiamo che ogni numero distava due mesi da quello successivo!) mi è parsa subito funzionale solamente alla sopravvivenza il più a lungo possibile della testata e non tanto a una fidelizzazione del lettore, tenuto in sospeso per molto più tempo di quanto non fosse necessario. Per mio canto, ho preferito recuperare le storie nell'edizione francese, che le ha pubblicate in massa su due soli volumi del Picsou Magazine. Non mi sorprende che la notizia del cambio di cadenza avvenga proprio ora che si è giunti in pari con la pubblicazione dei Diari e della successiva serie di Korhonen, quasi a confermare quanto avevo supposto con malizia.

Purtroppo, nel maggio dello scorso anno, Luca Boschi è venuto a mancare e le redini dell'Almanacco sono state affidate a Davide Del Gusto, socio fondatore dell'Associazione Papersera. Nonostante gli editoriali siano firmati dal nuovo curatore già dal nono numero, non saprei ben dire quando il contributo e i suggerimenti di Boschi siano scomparsi del tutto, sicuro come sono che avesse un bel catalogo di storie pronte e selezionate da portare in edicola. L'unico albo "delgustiano" che ho acquistato è stato l'undicesimo (datato dicembre 2022), essendo stato incuriosito dall'inedita francese di Corteggiani e Marin. Altra produzione, quella francese, quasi integralmente sconosciuta dalle nostre parti. Il motivo per cui non ho proseguito la collezione è pressoché lo stesso già riportato sopra: Barks, le storie americane degli anni Cinquanta, le storie italiane... e, inoltre, si è aggiunta la ristampa delle storie omaggio a Barks, già viste nel volume Barks' Friends e, ancora, su Zio Paperone.

Chiudendo, mi piacerebbe capire se queste mie considerazioni siano condivise da qualcuno. Considerazioni che, comunque, non vogliono essere impietose nei confronti del lavoro dietro alla selezione e la cura di questa rivista, ma che riflettono semplicemente le motivazioni sottese al mio progressivo disinteresse nella stessa. Credo che l'Almanacco sia nelle intenzioni una signora testata, seria e approfondita, ma mi sembra rivolta a qualcuno che non abbia già letto simili prodotti, come quelli citati nel corso del post (di cui ho l'impressione che questo progetto costituisca una sorta di sintesi più che un'eredità), su cui si trovavano molte delle stesse storie. Il bello delle storiche pubblicazioni curate da Becattini, Boschi e Cannatella è che molto difficilmente si andavano a calpestare i piedi a vicenda, ma invece si integravano alla perfezione l'una con l'altra, invogliando il lettore a collezionarle tutte. Qui, per contro, mi pare che vi sia un insieme eterogeneo di proposte interessanti per un pubblico esigente e di storie che invece tale pubblico dovrebbe avere già viste, rivolte a un lettore ancora "inesperto". E, purtroppo, le seconde vincono numericamente.

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