martedì 21 dicembre 2021

Una chiacchierata con... Carlo Chendi (2014)

La mia corrispondenza elettronica con Carlo Chendi iniziò, credo, nel 2010. All’epoca, gli scrivevo chiedendo informazioni riguardanti sue vecchie storie, dettagli, ispirazioni, e lui mi rispondeva sempre rapidamente, raccontandomi tutti i retroscena e parlando con grande passione dei suoi lavori. Ricordo che, discorrendo della storia Topolino contro il “magnifico snello” (Chendi/Rebuffi, 1976), che io avevo letto su un numero de I Grandi Classici Disney, Chendi aveva memoria solo di alcuni dettagli (come i nomi dei pianeti, che giocavano su luoghi reali di sua conoscenza) e non della storia nella sua interezza, e mi manifestò il desiderio di rileggerla. Così, quando ci incontrammo nell’aprile dell’anno seguente, durante una cena nella sua Rapallo in occasione della consegna a Don Rosa del Premio Papersera, regalai a Carlo la mia copia de I Grandi Classici (con la copertina mancante) e lui ne sembrava veramente entusiasta; nella fotografia, lo si può vedere mentre sfoglia l’albo raccontando ai commensali quella storia misteriosa. Nella stessa occasione, Chendi mi fece dono di un libro da lui edito su Carl Barks in occasione dell'edizione della Mostra Internazionale dei Cartoonists dedicatagli a Rapallo nel 2005, e di una copia di tutte le lettere inviategli da Barks tra il 1967 e la fine degli anni ’90; un omaggio molto apprezzato da cui traspare tutto il suo amore per il mondo dei comics.

Carlo sfoglia le pagine de Il magnifico snello e io alle sue spalle (Rapallo, aprile 2011)

Incontrai nuovamente Carlo due volte: nel 2014 e nel 2017, e in entrambe le occasioni mi accolse molto amichevolmente nella sua casa/studio a Rapallo. Fu proprio nell’estate del 2014 che ebbi modo di fargli questa intervista (mai pubblicata*) per il mio blog l’Eco del Mondo (all’epoca Daily War Drum). Mi presentai a casa sua con due confezioni di lamponi, che gli regalai; spero non ne fosse allergico, a me piacciono molto!

SC = Simone Cavazzuti
CH = Carlo Chendi

SC: Lei ha lavorato con alcuni dei più grandi artisti italiani, come Bottaro, Scarpa, Cavazzano, Carpi… In alcuni casi, si è sviluppato un rapporto di amicizia oltre a quello di natura prettamente collaborativa?

CH: Sì, in particolare con Bottaro, con il quale ho iniziato questa professione. Abbiamo cominciato praticamente insieme: le mie prime storie le disegnava Bottaro, poi Bottaro aveva anche tanto da fare... poi il direttore gli passava storie anche di altri, allora io facevo altre storie per la Mondadori che il direttore passava ad altri disegnatori: a Scarpa, a Carpi, poi a Cavazzano quando ha cominciato a lavorare. Tra l’altro, delle prime cinque storie di Cavazzano quando ha iniziato a lavorare per la Disney, quattro sono sceneggiature mie. E con Cavazzano siamo rimasti molto molto amici, ci siamo visti la settimana scorsa. Anche con Bottaro, Scarpa e Carpi c’era un ottimo rapporto, un rapporto di collaborazione, ma anche di stima.

SC: Negli anni, ha preferito scrivere per qualche disegnatore piuttosto che altri?

CH: I primi tempi scrivevo per Bottaro perché abitava a Rapallo, al quinto piano sopra di me. Dopo Bottaro, ho lavorato con Cavazzano, assieme al quale ho creato i personaggi di OK Quack e Umperio Bogarto.

SC: Se non sbaglio, su I Grandi Classici, stanno ristampando alcune storie di OK Quack.

CH: Non lo so, perché non ho modo di vedere le ristampe. Da un po’ di anni non compro più niente; di solito me le mandano, ma non so più dove metterle. La Disney mi ha spedito i primi ventidue libri di Scarpa [ndr. L’Opera omnia di Romano Scarpa] e sono appoggiati lì per terra, non mi ci sta più niente da nessuna parte. Qualche volta mi dicono: “ti mandiamo questo”, e io dico: “no, perché non so dove metterli” [ride]. Uno che cura la composizione delle ristampe è Luca Boschi e ogni tanto mi comunica che ha scelto delle storie mie. Poi sono in contatto con Marcelo Alencar, che è il traduttore delle storie Disney per la Abril in Brasile, e anche lui mi ha mandato le mie storie pubblicate in Brasile... poi mi ha fatto un’intervista. Le storie mie Disney sono state pubblicate in ventiquattro paesi: negli Stati Uniti, la Russia, tutta l’Europa, e adesso anche in Cina.

Premio Copertina d'Argento (The Walt Disney Company Italia, 1994)

SC: Le è mai capitato che l’editore le modificasse i testi o le chiedesse di cambiare qualcosa all’interno delle sue storie?

CH: Direi di no. La redazione qualche volta poteva tagliare una frase se non ci stava materialmente nel fumetto. Io, poi, non mandavo mai le storie all’approvazione perché c’era un rapporto fiduciario con i direttori. Pensa che ho fatto una storia che per l’epoca, il 1960, era una novità, che è stata Paperino il paladino, dove tutti parlano in un italiano antico maccheronico. Era una cosa che non era concordata con il direttore. Quando Bottaro l’ha disegnata, abitualmente me la ridava che controllavo i dialoghi e nel vederla così mi è venuto in mente di studiare il linguaggio. Mi sono fatto una specie di dizionario, cercando di fare la caricatura dell’italiano antico ma che fosse capito dalla generazione dell’epoca. L’ho mandata al direttore senza dirgli niente e lui l’ha pubblicata senza dirmi niente, senza cambiare nulla. Quel tipo di linguaggio che avevo inventato, poi, Monicelli l’ha copiato per L’armata Brancaleone, uguale identico. Gentilini e Capelli, che sono stati i direttori per i quali ho lavorato di più, non mi hanno mai controllato o censurato niente, perché evidentemente c’era un rapporto di fiducia. Io penso che il vero editore, una volta che ha testato un autore e si rende conto che sa fare il proprio lavoro e lo sa fare bene, non abbia bisogno ogni volta di controllarlo o cambiare le cose che fa, altrimenti sarebbe meglio non farlo lavorare. Uno dei motivi, a mio avviso, della crisi del Topolino da quando è andato via Capelli è che i direttori che sono arrivati dopo hanno voluto intervenire nella creatività e l’hanno smorzata; Casty mi dice, ad esempio, delle difficoltà che ha qualche volta con questa redazione [ndr. la direttrice era Valentina De Poli] nel fargli approvare alcune storie, perché probabilmente non le capiscono. Il compito del redattore, a mio avviso, è quello di controllare che non ci siano sbagli di grammatica, di sintassi, coordinare le cose, ma non intervenire nella creatività.

SC: Una volta, lo stile di disegno era più eterogeneo: pensi a De Vita padre, Scala e altri artisti con uno stile particolare; mentre i nuovi disegnatori hanno uno stile più omologato e simile. Cosa ne pensa?

CH: Un po’ è dovuto alla redazione, che vuole un prodotto omogeneo, e un po’ è dovuto anche al fatto che gli artisti tendono ad accodarsi a stili già esistenti. Una volta, non era così: per esempio, Gentilini non è mai intervenuto sulle storie di De Vita padre, che aveva uno stile totalmente non disneyano, non è mai intervenuto sulle storie di Scala o di Perego. Li ha lasciati disegnare con il loro stile. E quando il Topolino usciva, tu lo sfogliavi e li conoscevi: questa storia è di Perego, questa è di Scarpa, questa è di De Vita padre. Adesso, il Topolino è tutto uguale. C’è una omogeneità che da un certo punto di vista può funzionare per la redazione, ma secondo me i lettori preferirebbero ancora trovare lo stile e la personalità degli artisti. L’omogeneità viene accettata mediamente da tutti, la differenza no. Ad alcuni magari non piacevano le storie di Perego, ma secondo me quello era un punto positivo proprio per sottolineare la creatività e la diversità che c’era nella produzione di questi fumetti.

Chendi nel suo studio (Rapallo, agosto 2014)

SC: Al momento sta lavorando a qualcosa?

CH: No [ride]. Sto facendo qualche altra sceneggiatura, ma non per la Disney. Perché io ero abituato con i vecchi direttori che si fidavano di me e ora confesso che mandare delle mie storie in redazione e poi sentirmi dire: “questo non va, cambia perché…”, preferisco di no. Sono stato abituato a lavorare per tutti gli editori senza mandare storie all’approvazione: ho lavorato per vent’anni per il Giornalino, ho lavorato per il Corriere dei Piccoli, il Corriere dei Ragazzi. Sia il direttore dell’uno che dell’altro non mi hanno mai chiesto di mandare delle storie all’approvazione, tutt’al più mi dicevano: “manda una storia di sei pagine, dieci, ma arrangiati”, invece con la Disney adesso… Poi, è una questione anche di rincoglionimento dovuto all’età [ride]: io credo che un redattore di venticinque/ventisei anni ne sappia meno di me e quindi non credo di avere niente da imparare da loro, forse loro avrebbero qualcosa da imparare da me.

SC: Si è affezionato a qualche personaggio?

CH: Soprattutto alla famiglia dei paperi, che sono quelli che ho usato di più... di Topolino ho fatto poche storie; gli altri personaggi a cui ero e sono molto affezionato sono Pippo e Nocciola. Tra l’altro, con Pippo ho fatto anche delle storie diverse con il corvetto che ha usato anche Scarpa [ndr. Gancio], Pippo lo sento come un mio personaggio. E poi Umperio Bogarto e OK Quack.

SC: Vuole dire qualcosa sul suo rapporto con Barks?

CH: Io ho imparato a fare le storie da Barks. Aveva una qualità innovativa nell’impostare le storie per i comics. La sua tecnica, l’umorismo e il modo in cui faceva recitare i personaggi erano veramente grandi e io ho imparato di lì. Non sapevo chi fosse, cercavo di conoscere il suo nome, ma praticamente non lo sapevano neanche alla Disney; perché Barks non lavorava per la Disney, lavorava per la Western Printing, che era tipo una Mondadori, cioè un editore licenziatario Disney. Poi, nel ’65, Alfredo Castelli, che si occupava di fumetti da appassionato prima di diventare un professionista, su una fanzine americana ha trovato l’indirizzo di Barks. Io gli ho scritto dicendo che ero un suo allievo, l’ho chiamato “Maestro”, e dal ’65 [ndr. in realtà dal ‘67] in avanti ci siamo scritti per più di vent’anni. Poi, nel ’93 mi pare [ndr. era il ‘94], lui è venuto in Europa, mi ha scritto dicendo: “passo dai vari paesi europei e vengo anche in Italia”, allora l’ho invitato a Rapallo e lui ha detto: “vengo volentieri”. Infatti, è venuto a Rapallo, siamo andati a mangiare al ristorante dei fumetti di U Giancu. È venuto perché eravamo amici.

SC: Era una persona amichevole?

CH: Era la persona più umile che abbia conosciuto. Si meravigliava ancora che tanti apprezzassero le sue storie. Quando gli ho detto: “hai fatto delle storie meravigliose”, mi ha risposto: “mi venivano così”.

L'allievo e il Maestro (Chendi e Barks)

SC: Ancora oggi è ristampato ovunque.

CH: Barks è eterno, ha fatto delle storie che sono dei classici. Alcuni personaggi non dei fumetti sono cresciuti leggendo le storie di Barks, due in particolare: Steven Spielberg e George Lucas. Tra l’altro, Spielberg da giovane è andato a trovare Barks perché era un suo ammiratore, Lucas uguale. Quando ho fatto la mostra dedicata a Barks, sapevo che Lucas aveva scritto un articolo su Barks e allora volevo pubblicarlo, però ovviamente con il suo permesso. Sono riuscito a trovare fortunosamente il suo indirizzo a Los Angeles, gli ho scritto, sono passati due mesi e non mi ha risposto. Poi, dopo due mesi, ricevo la sua lettera, non avevo quasi il coraggio di toccarla, il quale mi si scusa dicendo che non mi ha risposto prima perché era in vacanza, tornato dalla vacanza ha trovato la mia lettera; l’articolo di Barks lo potevo pubblicare gratis, senza nessun problema!

SC: Pensa che oggi ci sia qualche autore in grado di scrivere storie che durino?

CH: Non lo so perché lo seguo poco. Due autori che conosco meglio, a parte Cavazzano che è uno dei “vecchi”, e che secondo me hanno un grande talento sono Casty e Artibani. Artibani lo conosco bene, la sua prima storia di Paperino era il rifacimento di una storia mia [ride]. Un altro molto bravo che fa delle belle cose è Celoni, anche Mottura. Però oramai loro tendono a fare anche storie per altri editori: Celoni fa Dylan Dog, Mottura ha fatto adesso una storia per Bonelli. Invece, uno che si dedica solo a quello è Casty. Anche Artibani ha fatto le Winx e un sacco di altre cose, però è molto bravo, pieno di talento.

SC: Cosa ne pensa dei nuovi metodi di disegnare in maniera digitale?

CH: Il cellulare, il tablet, il computer sono macchine. Ho fatto una conferenza assieme a Freccero, uno bravo, che lavora prevalentemente per la Danimarca. Lui usa tantissimo il computer, ma è una macchina che serve a chi ha creatività per non perdere tempo a cancellare e ripassare con la china. Oramai, non c’è più nessuno che colora a mano. È cambiato anche il sistema di stampa. Se tu dai l’originale, non sanno più come riprodurlo: Freccero, che manda le copertine in Danimarca, le colora al computer e in tempo reale le manda là; là, quando gli arriva sul computer il disegno, lo passano direttamente alla rotativa. Sono saltati tutti i passaggi. Il computer è una macchina indispensabile, ma non crea.

*al momento della pubblicazione del post, l'intervista è disponibile digitalmente anche sul numero di questo dicembre della fanzine online tedesca Bertel-Express.

martedì 2 novembre 2021

L'albero genealogico (aggiornato) della famiglia ROCKERDUCK

Il bello dell'universo dei fumetti Disney, al netto delle sue innumerevoli e inevitabili contraddizioni, è che si trova continuamente in uno stato di espansione. Dalle strisce di Taliaferro ai fumetti di Barks, ai suoi diretti successori (Fallberg, Lockman, Gregory...), le storie scritte per lo Studio Disney, l'infinita produzione italiana, quella brasiliana, quella danese e quella olandese, solo per citare le più vaste. In ogni decennio si è aggiunto, partendo da ambientazioni e personaggi introdotte da autori precedenti, andando a costituire un ecosistema sempre più articolato e appunto difficile da conciliare.

Il post di oggi si è fatto necessario in seguito alla recentissima pubblicazione sul settimanale Topolino della storia in due puntate La ballata di John D. Rockerduck (Nucci/Cavazzano, 2021), ideata dal direttore della testata Alex Bertani. Senza fare spoiler riguardanti l'intreccio e i suoi sviluppi, questo racconto ha attirato la mia attenzione per una serie di motivi:

  • per la prima volta, apprendiamo che proprio Davison era il cognome della madre del miliardario;
  • dal punto di vista genealogico, ci vengono rivelate le identità del nonno, del bisnonno e del trisnonno paterno: Harold, Seamus e Jedediah Rockerduck.

A causa di queste informazioni, ho ritenuto doveroso aggiornare il mio personale albero genealogico della famiglia Rockerduck, già pubblicato su questo blog giusto qualche mese fa. Ho quindi corretto il cognome della famiglia materna in "Davison" e aggiunto gli antenati paterni fino ad arrivare al Jonas von Rockerduck di Korhonen e Cavazzano, che si incastra qui perfettamente, essendo vissuto come Jedediah nel 1700; la mia idea è che Jedediah, visibilmente più giovane, sia emigrato dall'Europa all'America, inglesizzando il proprio cognome, per rinnegare le attività criminali del padre. Infine, per completezza, ho aggiunto sul ramo materno una zia che viene menzionata in Zio Paperone e la sfida da 50$ (Salati/Urbano, 2015) e della quale purtroppo non si hanno al momento ulteriori informazioni, nonché lo zio Ebenezer J. Rockerduck dalla storia Il re dei taccagni (Stabile/Rota, Rota, 2023).

L'albero genealogico della famiglia Rockerduck (aggiornato a luglio 2023)

© Disney per le immagini pubblicate.

lunedì 18 ottobre 2021

Che fine hanno fatto i genitori di Ciccio?

Per poter rispondere a questa domanda dovremmo innanzitutto tornare alle origini di questo pigro personaggio che tutti conosciamo come l'aiutante fannullone di Nonna Papera. Infatti, Ciccio (Gus Goose) non ha sempre vissuto alla fattoria, e un primo riferimento alla sua famiglia è presente già al suo esordio sulle strisce quotidiane.

La prima apparizione di Ciccio nella striscia del 9 maggio (Karp/Taliaferro, 1938)

Come possiamo vedere dalla prima striscia in cui compare, a cui poi si ispirerà il corto animato Donald's Cousin Gus (1939), il parente (qui cugino) viene introdotto a Paperino da una lettera della zia Fanny. Di lei non ci è dato sapere molto, serve semplicemente a presentare il cugino e ha una funzione comica in quanto chiede a Paperino di "controllare la sua dieta", mentre in realtà il parente affamato svuoterà la dispensa di Donald per ben due settimane. Sarà infatti il 24 maggio la data in cui Ciccio scomparirà (provvisoriamente) dalle strips per ritornare nel villaggio di Honking-on-the-Hudson dove, stando al titolo di un quotidiano, è previsto il più grande raccolto della storia. Peccato che il giornale sia datato 1912.

Striscia quotidiana del 24 maggio (Karp/Taliaferro, 1938)

Questo invadente parente farà nuovamente capolino prima nel novembre dello stesso anno (si badi che in queste strisce vive invece in una località chiamata Pumpkin Center) e poi nel novembre del 1941, quando Paperino e nipoti lo andranno a trovare alla sua fattoria, situata nuovamente a Honking-on-the-Hudson. In queste quindici apparizioni (sedici se si considera la tavola domenicale del 4 gennaio 1942), Ciccio sembra vivere da solo e gestire una fattoria per conto suo. Curioso come, in questi tre anni di comparse sui quotidiani, il cugino goloso non pronunci mai una singola parola.

Paperino e nipoti raggiungono Honking-on-the-Hudson nella striscia del 12 novembre (Karp/Taliaferro, 1941)

Per vedere finalmente Ciccio vivere e "lavorare" presso Nonna Papera dovremo attendere qualche anno. Infatti questa insolita coppia viene introdotta in due storie datate 1950: I tre paperini e Nonna Papera (Craig?/Barks, 1950) e Nonna Papera e il campionato delle frittelle (?/Thomson, 1950). A quanto pare, l'idea di mettere in scena assieme questi parenti (entrambi introdotti nelle strisce sui quotidiani e quindi non particolarmente conosciuti dai lettori degli albi a fumetti del periodo) proverrebbe dall'allora editor della Western Publishing (la casa editrice per cui lavorava Barks) Carl Buettner. Da qui in poi vedremo dunque l'oca risiedere alla fattoria di Nonna Papera e molto raramente sentiremo parlare di altri suoi parenti (prevalentemente in storie italiane).

Ciccio e Nonna Papera per la prima volta assieme (Barks, 1950)

Ma, se la zia Fanny è la madre di Ciccio, chi ne è il padre? La risposta proviene dall'albero genealogico dei paperi disegnato da Don Rosa (1993) che già tante volte ho citato. Qui infatti il padre di Ciccio risulta essere tale Luke Goose. Questo nome e il look del personaggio sono presi a prestito dal precedente albero genealogico disegnato da Mark Worden (1976), in cui Luke appariva però come il padre di Gastone, secondo quella prima bozza di parentela delineata da Barks e già riportata in questo post. Da notare che il look definitivo del personaggio a cura di Rosa, basandosi su quello datogli da Worden, è in realtà ricopiato da quello di un personaggio secondario presente tra la folla in Paperino e la strega a reazione (Barks, 1961).

A confronto: il personaggio senza nome di Barks (a sinistra), il Luke Goose di Worden (al centro) e il Luke Goose di Rosa (a destra)

La singolarità dei genitori di Ciccio (rispetto ad altri personaggi più oscuri presentati nell'albero genealogico di Rosa) sta nel fatto che, al di fuori di queste produzioni extra-fumettistiche, essi compiono effettivamente una breve apparizione in ben due storie, entrambe prodotte in Olanda nel 2019 per un numero speciale spedito in omaggio agli abbonati del settimanale Donald Duck.

Nella storia di apertura di questo albo speciale, Het verjaardagsfeest (deel 1) (Moe/Pérez, 2019), tutta la famiglia dei paperi è riunita alla fattoria di Nonna Papera per il compleanno di Ciccio. Qui, l'anziana papera estrae un album di fotografie contenenti l'intera vita del parente dormiglione e questi inizia a commentarne una per una, cominciando dalla singolare foto di un uovo. Ciccio racconta infatti del momento in cui la cicogna lasciò il suo uovo a casa dei suoi genitori ("mia madre mi ha raccontato questa storia una volta", esclama con ingenuità). All'interno del flashback, la madre ci appare gioiosa ed esuberante, mentre il padre è visibilmente sbigottito e ha bisogno di tempo per elaborare la notizia.

La prima apparizione assoluta dei genitori di Ciccio in una storia a fumetti (Moe/Pérez, 2019)

Più avanti nella storia vediamo Ciccio alle prese con i suoi primi mestieri (pompiere, addestratore di animali al circo, maratoneta), tutti falliti a causa della sua sonnolenza. Arrivato all'età adulta, Ciccio diventa un peso per la famiglia a causa delle ingenti spese per il cibo, così i genitori decidono di mandarlo da Paperino. Interessante notare come la sequenza sia ripresa pari pari dalle strisce di Taliaferro. Anche quando, tornando ai giorni nostri, Qui Quo e Qua chiedono allo zio dove fosse andato Ciccio dopo aver lasciato casa sua, questi risponde loro che si era spostato in campagna dopo aver sentito che c'era stato un record di raccolto (proprio come raccontato nelle strisce).

I genitori decidono di mandare Ciccio da Paperino

Oltre a essere una storia ricca di riferimenti e molto interessante e fedele dal punto di vista della continuity, quella scritta da Moe ci fa sapere che i genitori di Ciccio erano entrambi in vita al momento dei fatti narrati di Taliaferro. Inoltre: i nomi (Archibald Gans e Annie Prul), oltre al design, sono proprio gli stessi usati nella versione olandese dell'albero di Don Rosa.

L'altro titolo in cui abbiamo un accenno della famiglia dell'Oca è Hoe Gijs bij oma Duck kwam (Geradts/Tortajada Aguilar, 2019). Qui però, a differenza della storia precedente, è presente solamente la madre. Schematizzando la trama (sono presenti alcuni spoiler, ma non credo che la storia verrà mai ristampata): 

  • gli avvenimenti hanno luogo qualche anno fa, la madre di Ciccio è preoccupata perché lui ha già finito la scuola da tre mesi e non ha ancora trovato un lavoro; 
  • il figlio prova a discolparsi ricordandole alcuni tentativi (falegname e postino), entrambi falliti a causa della sua perenne stanchezza; 
  • lei teme che lui sia un buon a nulla e si dispera; 
  • lui esce di casa e inizia a camminare seguendo un odore di cibo; 
  • viene notato da due talent scout che cercano un nuovo numero per il loro programma televisivo, i quali si accorgono di quanto sia bravo a riconoscere l'odore degli ingredienti presenti nei piatti; 
  • lo portano in televisione, dove ha un enorme successo e dove viene notato da due persone losche;
  • finisce nei guai; 
  • dopo alcune tensioni riesce a scappare; 
  • ferma sulla strada una macchina di passaggio, è la macchina di Nonna Papera;
  • le racconta quello che è successo, piangendo perché stava solamente cercando un lavoro;
  • lei lo accoglie a casa sua offrendogli un lavoro come aiutante/domestico;
  • di fronte a una bella torta, lui accetta.

La mamma di Ciccio si dispera perché lui non ha un lavoro (Geradts/Tortajada Aguilar, 2019)

A questo punto, vorrei fare alcune considerazioni sulla storia appena descritta:

- Nonna Papera non conosce Ciccio prima del loro fortuito incontro. Lei gli chiede letteralmente "chi sei?" ("wie ben je?"); anche da altre storie olandesi ho notato infatti che Elvira lo considera solamente un domestico e quindi i due non sembrerebbero essere imparentati, come invece ci mostra Barks al loro esordio come coppia.

Nonna Papera si riferisce a Ciccio come suo "nipote" (Craig?/Barks, 1950)

- Fanny potrebbe essere ancora viva. La storia è sì ambientata nel passato, ma non troppi anni fa; nella vignetta conclusiva possiamo infatti vedere un ritratto, raffigurante i neonati nipotini con tanto di ciuccio, appeso nella cucina della fattoria. Perciò, direi che gli eventi non possono essere accaduti più di dieci anni fa. Nulla ci è dato invece sapere su Luke, la mia supposizione è che sia semplicemente via per lavoro.

Il ritratto dei tre nipotini neonati ci potrebbe fornire un'indicazione temporale

- Non è chiaro se Ciccio abbia o meno mai fatto ritorno a casa (probabilmente Fanny dovrebbe essere preoccupata dal momento che non ha la più pallida idea di dove si trovi suo figlio!); in realtà non è nemmeno chiaro dove abiti Fanny (se si trovi nelle vicinanze della fattoria di Nonna Papera o in un'altra città), perciò Ciccio potrebbe semplicemente non sapere come fare a tornare, o essere talmente pigro da non provarci neppure.

Contattato per cercare un chiarimento a tali questioni, Evert Geradts (l'autore di questa seconda storia) mi ha così risposto:

Le origini di questa storia sono piuttosto prosaiche. Gli editori olandesi avevano programmato un numero speciale su Ciccio e mi hanno chiesto di immaginare come lui e Nonna Papera si fossero conosciuti. Per mantenere lo svolgimento semplice e logico, ovviamente ho dovuto iniziare dall'epoca "pre-Nonna", quando probabilmente Ciccio viveva ancora con i suoi genitori. 
 
[...]
 
Non sono uno storico rigoroso per quanto riguarda i personaggi Disney. Lo stesso Carl Barks ha affermato che non esiste un universo dei paperi coerente. Paragono i personaggi Disney agli attori della Commedia Dell'Arte, dove Arlecchino è un servitore in una commedia e un avvocato nell'altra. La stessa cosa potrebbe accadere a Paperino. I talenti di Paperino variano enormemente. Potrebbe essere un goffo pilota da corsa in una storia e il miglior pasticcere del mondo nell'altra.
 
Quindi ho la prospettiva della Commedia sulla narrazione. In questa storia non ho bisogno di un padre, quindi non lo presento. Non avrebbe motivo di essere lì. Sua moglie si sta preoccupando e tutto ciò che può fare è dire che ha ragione.
 
Il ritratto dei tre nipoti è stato probabilmente aggiunto dall'artista finale. [...]
 
E, in effetti, a giudicare dallo storyboard inviatomi molto gentilmente da Geradts, il ritratto dei nipotini non è presente nella stesura originale.

Il ritratto dei nipotini non è presente nello storyboard

Per quanto ci offrano un quadro interessante e un certo tipo di visione autoriale, le parole di Geradts non ci aiutano però a risolvere le questioni in-universe e a rispondere alla domanda che dà il titolo a questo post. Personalmente non escluderei che Luke e Fanny possano tuttora essere in vita (il sito ufficiale olandese del settimanale Donald Duck ci informa che Luke sarebbe il genealogista dietro all'albero di Don Rosa, ridisegnato per l'occasione da Michael Nadorp); probabilmente non vivono a Paperopoli, altrimenti li vedremmo comparire più spesso. Non saprei tuttavia dire se Ciccio sia o meno rimasto in contatto con loro, ma sicuramente non li ha dimenticati, come suggerisce il ritratto di Luke appeso nella stanza del figlio in Ciccio e il trattore dei sogni (Torstensen/Abella Bresco, 1995).

Ciccio e il ritratto del padre (Torstensen/Abella Bresco, 1995)

© Disney per le immagini pubblicate.

mercoledì 13 ottobre 2021

Una chiacchierata con... Valerio Held

Se c’è una cosa che mi manca fare da quando ho ripreso in mano il blog sono le interviste ai fumettisti Disney. Per questo motivo, oggi vorrei riprendere questa bella abitudine presentandovi una recente chiacchierata con Valerio Held, disegnatore che dagli anni ’80 lavora per Topolino, provenendo dalla Scuola Veneta che già aveva sfornato grandi artisti quali Scarpa, Gatto e Del Conte.

Valerio Held all'opera [fonte: Topolino.it]

SC: Simone Cavazzuti
VH: Valerio Held

SC: Le andrebbe di descrivere il periodo dei suoi esordi come fumettista e il rapporto che aveva coi suoi colleghi?

VH: È stato un periodo indimenticabile, molto esaltante; ero felice di conoscere gli artisti di cui conoscevo solo il lavoro, in studio con Gatto... davvero molto bello. Con qualcuno ci siamo incontrati anche al di fuori del lavoro. E poi i meeting Disney: lì c'erano davvero tutti!!

SC: Vedo che in quel periodo ha avuto anche una breve parentesi internazionale. Le andrebbe di raccontare come sono nate queste collaborazioni e se, secondo lei, cambiasse qualcosa rispetto alle storie che disegnava per Topolino?

VH: Le storie di Chip & Dale erano storie americane per Disney Adventures, decisamente diverse sia graficamente e come sceneggiature, più legate al cinema che al fumetto; le ricordo abbastanza complicate da realizzare proprio per via della sceneggiatura! Ottima esperienza comunque! La collaborazione è nata naturalmente dalla Disney Italia e dalla redazione "Topolino".

SC: Attualmente ancora disegna fumetti per la Disney/Panini. Nota una differenza nella scrittura delle sceneggiature da parte degli autori con cui sta collaborando negli ultimi anni rispetto ai suoi primi lavori?

VH: Delle differenze nelle sceneggiature rispetto a quando ho cominciato ci sono e ci sono sempre state: i nostri sceneggiatori e la redazione sono sempre molto attenti ai cambiamenti sociali e di conseguenza si "aggiusta il tiro". Vedo inoltre maggiore comicità nel disegno e nei testi!

SC: Ci sono particolari richieste o linee guida da seguire da parte della redazione per quanto riguarda un’eventuale modernizzazione del design dei personaggi oppure questa scelta viene lasciata allo stile e alla creatività dei singoli artisti?

VH: Graficamente viene richiesto uno svecchiamento, a mano a mano ci si adatta a un mondo in continuo cambiamento; lo sforzo è non snaturalizzare i personaggi, ma renderli sempre morbidi e accattivanti! Delle linee guida sono comunque richieste, vengono direttamente dalla Disney. Nel disegno come dicevo sono richieste delle modifiche, ma i modelli da seguire sono quelli degli autori storici: Scarpa, Carpi; chiaro che una certa libertà creativa è comunque ben accettata, ma con la supervisione di Andrea Freccero [ndr. supervisore artistico della Panini].

SC: Scorrendo l’elenco delle centinaia di storie a cui ha lavorato, soltanto una risulta scritta da lei, Paperino e il torneo… tornado (1989), assieme a Luciano Gatto. Nonostante la predilezione per il disegno, c’è un genere di storie che sente più suo e che preferisce disegnare?

VH: Ricordo bene quella storia. Era ispirata a un periodo in cui ho lavorato come caddie nel campo da golf del Lido ed è nata nello studio di Luciano Gatto, dove ho lavorato per 5 anni! Amo molto disegnare storie a tema storico, le trovo stimolanti e impegnative!

SC: C’è qualche personaggio che le piace di più o con il quale si identifica?

VH: Amo tutti i personaggi Disney, ma quello che sento più vicino a me è Paperoga: distratto, casinista, un po' ingenuo ma fedele, con il senso dell'amicizia disinteressata e con l'animo artistico!

SC: Come nasce questa sua passione per il fumetto? Si considera un autodidatta?

VH: A casa mia giravano molti fumetti, comprati da mio fratello maggiore, ho sempre amato disegnare, il resto è stata una lenta conseguenza.

SC: Che materiale utilizza per lavorare? È cambiato da questo punto di vista nel corso degli anni?

VH: Disegno ancora in modo tradizionale, ma sto per passare – almeno per quanto riguarda il ripasso a china – al digitale. Penso di alternare: un po' digitale e un po' tradizionale. Il pennello ha sempre un fascino maggiore!

SC: Al momento sta lavorando a qualcosa? Cosa le piacerebbe fare in futuro?

VH: Sì, naturalmente sto realizzando un'altra storia Disney, e un lavoro non Disney che mi trascino da un po', ma è quasi alla fine. Per il futuro? Disegnare!!!!!!! 😊😊😊

Un'illustrazione di Held ispirata alla storia in costume Topolino e la racchetta di sua maestà (Nigro/Held, 2014)

© Disney per le immagini pubblicate.

mercoledì 6 ottobre 2021

Un altro post sui genitori dei paperi Disney

Il titolo mi sembra abbastanza esplicativo e forse qualche freudiano saprebbe spiegarmi questo interesse per le ascendenze dei nostri paperi preferiti. Dopo un post sui genitori di Rockerduck e ben due sui genitori di Nonna Papera, eccomi quindi tornare una quarta volta sull'argomento, anche se brevemente.

Per iniziare, vorrei parlare del papero più fortunato del mondo, Gastone Paperone (Barks, 1948). Sebbene all'interno delle storie concepite dal suo creatore non ci venga fornita una spiegazione di questa incredibile buona sorte, è John Nichols (grande filologo barksiano e fondatore della fanzine The Barks Collector) a darci una risposta. Infatti, in un articolo intitolato "FINE FEATHERED FRIENDS: THE DISNEY DUCKS. Part two: Gyro Gearloose, an interview". e pubblicato sul numero doppio 31-32 della suddetta fanzine (1985), l'autore ci informa che questa fortuna è ereditata dal nonno paterno, tale Gemstone Gander. Un'altra interpretazione, più nota al grande pubblico, è quella che il cartoonist statunitense Don Rosa esprime in Paperino e lo scalognofugo triplo (Don Rosa, 1998), in cui apprendiamo che invece questa eccezionale fortuna deriva dalla madre, Daphne Duck. Come al solito, non è mia intenzione tentare di stabilire quale delle due versioni sia da considerare più canonica (per chi?) o verosimile (in base a cosa?), ma vorrei invece spendere due parole su questo ultimo personaggio.

Daphne, qui alla sua seconda apparizione in un fumetto Disney (la prima era sempre per mano di Rosa), viene ideata dallo stesso Barks negli anni '50 mentre compila una bozza di albero genealogico ad uso personale. Qui, vediamo appunto che Daphne (zia di Paperino) e un tale Luke the Goose sono i genitori di Gastone, affidato poi alle cure di Matilda (sorella di Zio Paperone) e Goosetave Gander in seguito alla morte (avvenuta per indigestione a un picnic!) dei genitori naturali. Questa macabra vicenda viene scartata da Barks in una successiva bozza (1991), in favore di una semplificazione delle relazioni, poiché serviva inizialmente solo per giustificare una sorta di parentela tra Paperone e Gastone. Interessante notare come la fumettista inglese Sarah Jolley decida comunque di raccontarla graficamente, in modo non ufficiale, nella storia The White Balloon (Jolley, 2019).

Se escludiamo:

la versione illustrata da Mark Worden del primo albero di Barks (1976), che impiega, per la maggior parte dei personaggi mai rappresentati prima, figure secondarie presenti nelle storie di Barks stesso; 
il famoso albero genealogico di Don Rosa (1993), che recupera alcuni design proprio da Worden, e la produzione fumettistica dello stesso autore;

la prima (e che io sappia unica) apparizione dei genitori di Gastone avviene in Olanda (dove l'albero di Rosa arriverà solamente nel 2013), per mano di un artista ignoto. All'interno del numero 46 del settimanale Donald Duck (1993), pubblicato incidentalmente giusto un paio di mesi dopo la prima pubblicazione dell'albero di Don Rosa (avvenuta in Norvegia), è presente infatti la seguente illustrazione:

I genitori di Gastone (1993)

Proseguendo con le ricerche, è inevitabile tornare ancora una volta sull'argomento Nonna Papera. Sempre in Olanda infatti, prima nel 1991 e poi nel 1994, viene pubblicata un'illustrazione che raffigura una giovane Elvira assieme a Paperone e ai loro genitori. Questa relazione, che è oggi ormai largamente smentita, era invece molto in voga in passato nella produzione europea (basti pensare a storie come questa di Martina o questa di Rota, o ancora questa, in cui i due ricordano anche un comune zio Gustavo) e anche nelle storie prodotte dallo Studio Disney per i mercati esteri; si pensi a titoli come il già citato Nonna Papera e i bei tempi andati (Nofziger/Diaz Studio, 1983), in cui vediamo i due da piccoli mentre ballano con i genitori, oppure Nonna Papera e la guerra di confine (?/Strobl, 1987), dove i due, cresciuti assieme, condividono anche un prozio, chiamato Paperonzo nella versione italiana.

Perciò, non deve aver stupito più di tanto i lettori olandesi, nel 1994, la frase di Nonna Papera, che recita più o meno così: 

"Mio padre, mia madre, mio fratello Paperone e io in Scozia. È lì che sono nata." (trad. mia)

Nonna Papera, Paperone e genitori (1994)

Sebbene questa rubrica olandese non ci presenti altri genitori, ritengo opportuno chiudere questo post facendo una menzione d'onore alla storia Paperino e il concorso letterario (?/Lostaffa, 1977). In questa storia infatti, per la prima volta in assoluto, ci vengono mostrati i genitori di Paperino, piuttosto differenti dalle rispettive versioni donrosiane.

I genitori di Paperino (?/Lostaffa, 1977)

© Disney per le immagini pubblicate.

domenica 12 settembre 2021

Un affettuoso saluto a CARLO CHENDI

Apprendo ora che ci lascia, all’età di 88 anni, il Maestro Carlo Chendi, che personalmente ho avuto la fortuna di conoscere nell’ormai lontano 2010.

Inutile dire che questa notizia mi rattrista molto; ricordo Carlo come un ottimo autore, entusiasta del proprio mestiere e sempre aperto al dialogo e alla condivisione. In questi undici anni ci siamo scambiati parecchie email (l’ultima giusto qualche mese fa), nelle quali - molto generosamente - condivideva aneddoti sui suoi lavori e, in un paio di occasioni, ho avuto modo di andarlo a trovare nel suo appartamento di Rapallo. Ogni volta sono stato accolto molto cordialmente.

Lo ricordo come una delle persone più informate e più disponibili a parlare del settore fumettistico e non solo, molto altruista, sempre pronto a diffondere conoscenza e cultura.

Vorrei dunque con questo post mandargli un ultimo, affettuoso, saluto; ricordandolo attraverso queste fotografie scattate nel ristorante U Giancu nell'aprile 2011.


venerdì 10 settembre 2021

Chi ha fondato Topolinia?

Dare un nome o un volto al fondatore di Topolinia non è un'impresa semplice, per una serie di ragioni. Innanzitutto, non esiste un corrispettivo di Carl Barks per l'universo dei topi, considerando che le strisce disegnate da Gottfredson erano destinate a una fruizione frammentata sui giornali quotidiani e non vi era quindi un tentativo di creare una continuità solida o un universo coerente. Manca quindi l'introduzione di una topolinesca Duckburg (Barks, 1944) e, similarmente, di un Cornelius Coot (Barks, 1952).

Il primo riferimento alla città dei paperi (Barks, 1944)

I personaggi disegnati da Gottfredson vivono infatti in una cittadina senza nome. Al centro rurale abitato da Mickey e co. negli anni '30 viene affidato il nome di Silo Center in una striscia del ciclo Topolino arciere (Gottfredson, 1931) e in una vignetta appartenente al ciclo Topolino e i due ladri (Gottfredson, 1932), nome che verrà recuperato solamente un'ottantina di anni più tardi in Just Like Magic (Gerstein/Kausler, 2011), dove viene citata come la città in cui viveva Oswald the Lucky Rabbit prima di finire a Wasteland (il mondo in cui è ambientato il videogioco Epic Mickey; in italiano: Rifiutolandia).

Riferimento a Silo Center nella striscia del 19 novembre (Gottfredson, 1931)

Riferimento a Silo Center nella striscia del 29 febbraio (Gottfredson, 1932)

Nel 1935, Paperino e Topolino (all'epoca appaiono assieme nelle strisce e vivono nella stessa città) abitano in un luogo piuttosto anonimo, chiamato appunto Hometown (città natale).

Hometown nella tavola domenicale del 23 giugno (Osborne/Gottfredson, 1935)

    Hometown nella tavola domenicale del 27 luglio (Osborne/Gottfredson, 1935)

Pare quindi chiara la mancanza di una necessità di instaurare delle fondamenta stabili e durature nel tempo che reggano insieme l'universo in cui sono ambientate queste prime avventure. Un timido tentativo di dare alla futura Topolinia un nome un po' più originale lo si ha nel ciclo di strisce conosciuto come Topolino e il mistero di Macchia Nera (DeMarris/Gottfreson, 1939). Qui, infatti, viene recapitata una lettera a Topolino (sotto il falso nome "Emanuel Spink"), che riporta Mouseville come nome della cittadina.

Mouseville nella striscia del 14 luglio (DeMerris/Gottfredson, 1939)

Trovo interessante notare come, in ognuno dei casi citati (pure nella prima indicazione di Duckburg a cura di Barks), il nome della città non venga espresso dai personaggi, ma ci venga invece mostrato mediante espedienti grafici (intestazioni su lettere o pacchi, cartelli stradali, cartelli della stazione ferroviaria, nome stampato su un vagone). A questo proposito, è d'uopo segnalare la striscia dell'8 febbraio 1955, facente parte del ciclo Topolino e Pippo cervello del secolo (Walsh/Gottfredson, 1955), in cui ancora una volta troviamo (ora sul titolo di un quotidiano) il nome Mouseville.

Mouseville nella striscia dell'8 febbraio (Walsh/Gottfreson, 1955)

Lungi dal diventare un'istituzione (al contrario della Duckburg utilizzata frequentemente da Barks e dagli autori successivi a lui), Mouseville verrà presto dimenticata per rimanere un semplice riferimento interno alla produzione, salvo poi venire rinominata Mouseton negli anni Novanta in seguito a una disputa legale con la Terrytoons di Mighty Mouse. Da segnalare, inoltre, che in molti paesi - come l'Olanda, la Germania, la Finlandia e, fino a qualche anno fa, il Brasile - Topolino e co. vivono proprio a Paperopoli, e non esiste alcun nome alternativo per Topolinia. Come è possibile quindi dare un nome o un volto al fondatore di una città che apparentemente non esiste?

Per rispondere a ciò, bisogna capire da dove proviene Topolinia. La risposta è: dalla produzione Disney italiana. In effetti, la prima attestazione di una città chiamata Topolinia (e non Paperopoli) proviene dalla nostrana Topolino nella valle dell'incanto (Martina/Anzi, 1952).

Il primo riferimento a Topolinia (Martina/Anzi, 1952)

Si tratta ancora di un tentativo acerbo poiché in questa Topolinia convivono Topolino, Paperino, il commissario Basettoni e zio Paperone. In Topolino e la doppia vigilia di Natale (Martina/Bottaro, 1955), abbiamo poi una simile ambientazione (compresenza di personaggi appartenenti a universi differenti) e il nome indicato è Topolinopoli (quasi un mix tra Topolinia e Paperopoli).

Topolinopoli (Martina/Bottaro, 1955)

Come è visibile, si tratta comunque di una fase intermedia, di un primo tentativo di definizione geografica, che avrà invece culmine e conferma nella storia Topolino imperatore della Calidornia (Scarpa, 1961), in cui, già dallo splash panel iniziale, vengono mostrate Topolinia e Paperopoli come due città ben distinte. Il dado è tratto!

Paperopoli e Topolinia come due città distinte (Scarpa, 1961)

Questa pubblicazione sancisce quindi (almeno per quanto riguarda la produzione italiana) l'esistenza di due luoghi fisici differenti: Paperopoli (la Duckburg barksiana) da una parte e la novella, tutta italiana, Topolinia dall'altra. Questo è essenzialmente il motivo per cui nessun autore statunitense ha mai sentito l'esigenza di raccontare la storia della città e del suo fondatore. Però, nonostante la laconica risposta fornita dalla redazione di Topolino sul numero 2535, sarebbe incorretto affermare che nessun autore in assoluto abbia mai provato a colmare questa lacuna.

"non si sa" chi sia il fondatore di Topolinia (Redazione Topolino, 2004)

In Topolino e la scia delle torpedini (Figus/Valussi, 1987), viene infatti menzionato un tale Harvey Esploribus come fondatore di Topolinia, ma purtroppo la sua statua è fusa ed è dunque difficile dargli un volto.

Harvey Esploribus (Figus/Valussi, 1987)

Successivamente, in Tip & Tap e il golf su misura (Concina/Cavazzano, 1992) e in Topolino e la gita dal futuro (Gagnor/Meloni, 2006), ci vengono mostrate statue di un innominato fondatore della città.

Il fondatore di Topolinia (Concina/Cavazzano, 1992)

Il fondatore di Topolinia (Gagnor/Meloni, 2006)

Come si può notare dalle immagini, le tre statue rappresentano chiaramente personaggi differenti e questo è dovuto, come si diceva in apertura, all'assenza di un corrispettivo del paperopolese Coot. Altri due fondatori di Topolinia fanno capolino in storie pubblicate nel 1995: Toponio McRatt, in Minni e il naufragio spaziale (Russo/Mottura, 1995), e Geremia Ratt, in Topolino e l'effetto trasmutatore (Panaro/DiVita, 1995).

Toponio McRatt (Russo/Mottura, 1995)

Geremia Ratt (Panaro/DiVita, 1995)

Credo sia utile soffermarsi su quest'ultimo personaggio poiché è l'unico, a differenza di Harvey, Toponio e dei fondatori senza nome, a essere ripreso una seconda volta, in Gli eroi di Monte Rattmore (Artibani/Mazzarello, 2018), dove Paperino lo ricorda come "uno dei fondatori di Topolinia".

Geremia Ratt (Artibani/Mazzarello, 2018)

Interessante a questo proposito notare come, nella recente serie Young Donald Duck, Topolino e Paperino frequentino una scuola chiamata "Jeremy Ratt School" a Topolinia. Nonostante non sia chiarito se la figura a cui è intitolata la scuola sia o meno collegata al fondatore della città, escluderei che si tratti dello stesso personaggio; anche perché, nella versione statunitense de Gli eroi di Monte Rattmore, il fondatore è stato reso come Jeremiah Ratt e non Jeremy.

Cercando dunque di rispondere alla domanda che dà il titolo a questo post, tenendo in considerazione tutte le informazioni riportate, mi sento di dire che, come nel caso delle Giovani Marmotte, Topolinia ha avuto più di un fondatore, tra questi: Geremia (o Jeremiah) Ratt, Toponio McRatt, Harvey Esploribus e almeno altri due di cui non conosciamo tuttora l'identità.

© Disney per le immagini pubblicate.