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lunedì 30 giugno 2025

Un Romano Scarpa inedito in Svezia?

È il novembre 2009 quando nelle edicole italiane esce il quinto numero del bimestrale Disney Anni d'Oro, che reca in copertina il seguente strillo: "INEDITO MONDIALE: una storia di Romano Scarpa!"


Si tratta di Zio Paperone e gli uccelli dorati, disegnata da Scarpa nel 1985 per il programma Overseas dello Studio Disney di Burbank, che sforna storie per il mercato internazionale. Per intenderci, è lo stesso contesto produttivo in cui nascono personaggi come Paperoga e 01 Paperbond o nel quale possiamo vedere Amelia e Maga Magò vivere in un castello paperopolese assieme a due corvi e a nonna Amelia (Granny De Spell).

Purtroppo, tale impresa della famiglia dei Paperi va perduta e una sorte analoga capita anche ad altri racconti del Maestro veneziano: Topolino e la marmitta fotonica (pubblicata in Zio Paperone 201, nel 2006), Zio Paperone e il segreto della palandrana (pubblicata in Zio Paperone 210, nel 2007), Paperino e l'oggetto misterioso (pubblicata in Le Grandi storie Disney 24, nel 2014), Nonna Papera e il rospo da guardia (pubblicata in Le Grandi storie Disney 40, nel 2014) e un'altra manciata di avventure tuttora inedite.

Tuttavia, se i disegni di queste storie vengono ritrovati, lo stesso non si può dire dei testi, che sembrano essere smarriti definitivamente. Per tale motivo, in ognuno dei casi sopra citati, a eccezione di Paperino e l'oggetto misterioso (pubblicata muta per la difficoltà di ricostruirne le dinamiche), i dialoghi sono riscritti da capo dall'esperto Luca Boschi, basandosi sulla scansione degli eventi raffigurata da Scarpa. Inoltre, in Zio Paperone e gli uccelli dorati, Boschi non si limita a re-immaginare le conversazioni dei personaggi e le didascalie, ma disegna ex-novo mezza pagina della storia, anch'essa introvabile.


Ebbene, nel terzo numero di quest'anno del bimestrale svedese Kalle Anka Klassiker (nelle edicole da poco più di una settimana), viene proposta per la prima volta nel paese scandinavo la storia di Scarpa, ma con una piccola differenza (peraltro non indicata su INDUCKS al momento della scrittura di questo post): le quattro vignette disegnate da Boschi sono state ricostruite mettendo insieme vignette provenienti da Zio Paperone e la condizione imposta (1980).


© Disney per le immagini pubblicate.

giovedì 29 agosto 2024

Sergio Asteriti more geometrico demonstrato (di Simone Voci)

La spiacevole notizia degli ultimi giorni è che Sergio Asteriti, una delle colonne portanti del fumetto disneyano in Italia (nonché ammirevole illustratore), è venuto a mancare, all'età di 94 anni. Per ricordare e commemorare il suo importante contributo a questo settore, ho deciso di ospitare sul blog un saggio inedito alquanto singolare che mi è stato proposto qualche tempo fa, in cui l'arte di Asteriti viene attentamente analizzata, decomposta e restituita in maniera meticolosa e senza dubbio originale, offrendo spunti di riflessione e chiavi di lettura certamente interessanti. Quanto segue è frutto di riflessioni e suggestioni del suo autore, che mi hanno colpito per la dedizione e la passione rivolte al disegnatore veneziano e alla sua arte, e sono sicuro che siano, almeno in parte, condivisibili. Senza ulteriori indugi, dunque, richiudendomi in un rispettoso silenzio, lascio la parola al corposo scritto di Simone Voci. Buona lettura!

SERGIO ASTERITI MORE GEOMETRICO DEMONSTRATO
di Simone Voci

Anzitutto, una confessione. Chi scrive ama Sergio Asteriti. Questo è abbastanza scontato. Chi mai scriverebbe un articoletto intero — e pure lunghetto — su un autore che non apprezza? Ecco. Il segno grafico del Veneziano ha attirato il sottoscritto fin dalla più tenera età, e continua a farlo ancora oggi.  Mi sono domandato il perché e da ciò ne è venuta una analisi, più o meno dettagliata, delle dinamiche interne dello stile asteritiano: di questa gioia barocca raggiunta tramite un inno al realismo e alla gommosa e bombata pesantezza delle forme.  Un'analisi che si pone come fine quello di "vivisezionare" le palpitanti meccaniche di questo particolarissimo stile e tracciarne un quadro — per così dire — more geometrico, ovvero teso a individuarne gli elementi portanti e la fisica delle loro interazioni e dei conseguenti effetti. Anche quegli elementi che, di solito, incontrano le critiche dei "detrattori" non saranno taciuti. Anzi, verranno messi ben in risalto e sarà mostrato perché questi siano una precisa scelta artistica voluta dall'autore e come essi siano sensati e necessari nell'insieme e negli equilibri del suo modo di disegnare.

Chi è Sergio Asteriti?

Un'ulteriore precisazione d'intenti: il presente scritto non vuole essere una biografia dello storico disegnatore. A tal proposito, ci basterà ricordare che esordisce nel 1963, sul n. 420 di Topolino, con Pippo e la vacanza culturale, sceneggiata da Giampaolo Barosso. Ha realizzato oltre 350 storie e, di queste, sono solo 7 quelle dedicate ai Paperi. Ai topi è rivolta, invece, anche Tip e Tap e lo straordinario mondo del Toc, ultima sua collaborazione con Topolino, scritta da Augusto Macchetto e pubblicata — nel 2017 — sul volume Topolino Classic Edition a lui intitolato. Inoltre, ha vinto anche il Premio Papersera nel 2008. Evento immortalato in video.


Questo, però, non dice quasi niente della poetica dell'artista, appena scomparso all'età di novantaquattro anni. Non dice nulla del mondo grafico asteritiano, dei suoi equilibri, delle sue interne meccaniche e di quanto esso sia stato una specie di contrazione, compressione, ma — al contempo — un rigonfiamento rispetto all'estetica gottfredsoniana e scarpiana (e vedremo perché).

La rivoluzione senza apparenti eredi

È nel disegno che Asteriti pone una personale rivoluzione. In breve: uno scombinamento totale della forza di gravità del mondo Disney, trasformato in un pianeta sul quale quest'ultima viene aumentata per infinite volte. Una rivoluzione silenziosa, chiaramente. Asteriti, infatti, viene (spesso) definito come un disegnatore dal tratto ricco, ma classico. Piacevolmente classico. C'è quasi qualcosa di diabolico nel fatto che un tale scardinamento venga percepito come un ritorno a "ciò che è stato" (anche se, come vedremo, in realtà e in un certo senso, è proprio così). Una rivoluzione garbata, forse nemmeno ragionata, ma venuta fuori da un amore sconfinato per Mickey Mouse e la sua epoca d'oro in calzoni corti, unito a un'elaborazione stilistica personale. Una rivoluzione, in ogni caso, nata come privatissima, senza potenziali eredi e che — invece — ha piantato dei semi duraturi. Da essi, sono nati (più o meno consapevolmente) alcuni eredi, ancorché mai totali. Ognuno di essi ha assorbito questo o quell'aspetto del Maestro, magari senza accorgersene. I più evidenti: Camboni e Mottura; i più scalmanati: Celoni e Lavoradori. Tutti successori — anche se in modo differente — dello sgangheramento barocco dei pesi e delle forme provocato da Asteriti. 

Mottura e Celoni hanno raccolto il "barocchismo" del grande fumettista veneziano: il primo sfociando in una sorta di rococò fatto di giocosi riccioli; il secondo portandolo alle sue più estreme ed espressionistiche conseguenze. Camboni, invece, ne ha raccolto alcuni gusti grafici, pur lavorandoli di fino. Un discorso a parte, infine, andrebbe fatto per Lavoradori: apparentemente, il meno asteritiano a livello estetico, ma — in realtà — colui che ne ha raccolto la lezione in modo più trasversale, compiendo una personale rivoluzione su quella base, sostituendo alle pesanti masse del Maestro un effetto carta o "lastra di metallo". Permane la gravità che schiaccia, che appiattisce i personaggi al suolo, che li gonfia, ma se in Asteriti essa si applica a corpi compatti (già pesanti e corposi di per sé), in Lavoradori — invece — viene a interagire con ambienti e figure accartocciabili, dotati di una pieghevolezza che, in prossimità della soverchiante forza, li costringe a modificarsi e distorcersi con facilità. 

Lavoradori presenta alcune somiglianze con Asteriti, ma modificandone — anche considerevolmente — i connotati: se quest'ultimo prevedeva solo un appesantimento costante verso il basso, l'opera lavoradoriana stabilisce una gravità a sbalzi, che sale e scende di livello. A un appesantimento si sostituisce un improvviso alleggerimento, poi il processo contrario e così via. I corpi lavoradoriani, come se fossero fatti di carta o metallo, si trovano schiacciati e poi stirati, in espansione e compressione (in modo simile a ciò che avviene nelle opere dello scultore César Baldaccini), seguendo i cambi della forza di gravità. E questo, più volte in una sola tavola. Ciò regala un dinamismo inedito rispetto a quello presente nei lavori asteritiani. 

Asteriti e gli asteroidi

I personaggi di Asteriti sono tutt'altro che "dinamici". Sono pesanti e compatti masse schiacciate da una poderosa forza che attrae verso il basso. Non si deformano in maniera dinamica, ma — anzi — rallentano nei movimenti, si premono a terra. Il peso sembra deformarne anche le scarpe, che divengono più grosse del normale, clownesche, quasi come se intralciassero i movimenti. La gravità curva le schiene, e i busti si proiettano in avanti, in una specie di tentativo di aggrapparsi a qualcosa, di trovare un sostegno, per trascinarsi a fatica. 

Le scarpe risultano parecchio importanti nella resa grafica complessiva. Tondeggianti, piuttosto che affusolate; grosse e bombate, gonfiate da uno schiacciamento proveniente dall'alto; di maggiorate dimensioni, anche per un fumetto Disney. Come se i corpi fossero simili a statuette instabili, pesanti, e perciò dotate di una base atta a non farle cadere. Ogni scarpone appare nelle fattezze d'un gravoso oggetto a cui è radicato il corpo di ciascun personaggio; che si tratti di un protagonista, d'un comprimario, d'un antagonista o di una mera comparsa, essi paiono (sempre) camminare con lentezza, per via dell'impedimento causato dalla zavorra. Anche Minni sembra indossare dei pesanti e ingombranti zoccoli, piuttosto che delle eleganti scarpe col tacco. Ogni personaggio è dotato di piedi "sproporzionati" (elemento che l'autore pesca dagli albori del Mickey Mouse dei cortometraggi), quasi che Asteriti voglia piantarli sul terreno, immobilizzarli, impedire loro di muoversi.


Un mondo, quello asteritiano, che esprime una sorta di costante mancanza d'equilibrio dalla quale solo la gravità e la pesantezza dei corpi (o delle calzature) possono salvare, ancorando verso il suolo, in modo che non si possa fluttuare, pericolosamente, per aria. Ogni personaggio è come un asteroide attratto dalla forza esercitata dalla massa abnorme d'un pianeta alieno. Essi sembrano pronti a schiantarsi, ma (assurdamente) iniziano a rallentare, sempre di più, fino ad appiattirsi al terreno, senza riportare alcun danno. Questa è la "grazia" che il disegnatore concede loro, perché possano entrare nel suo calderone magico. 

La cacofonia immobile

Altro elemento peculiare di questo autore è un voluto e realistico disordine. Una rinuncia a tavole essenziali e minimali, ma non realistiche. La gravità attrae e inchioda alla tavola molti "asteroidi". Sono vignette ricche di elementi, quelle di Asteriti, ma tale molteplicità è costretta a una apparente disarmonia, come se ogni cosa venisse obbligata ad atterrare sulla tavola, alla rinfusa. Molti oggetti, personaggi, particolari negli sfondi o sulle cose in scena, ma ognuno di essi segue la sua personale storia. Nel mondo asteritiano, Leibniz ha ragione e anche una banale pianta da ufficio è composta da foglie difformi l'una dall'altra; queste, inoltre, puntano (di solito) verso direzioni diverse per ciascuna, come se la luce cercata fosse differente per ognuna di esse. 

Asteriti decide di non costruire una tavola che sia un oggetto d'arredo o di design, in cui le cose o i personaggi giochino il ruolo di forme eleganti, accordate tra loro come in una scala armonica. Il realismo s'impone. Alla sinuosa sinfonia di Scarpa o del Gottfredson maturo, Asteriti preferisce la cacofonia della realtà, in cui ogni elemento segue i suoi propri tormenti, le sue proprie pieghe imposte dall'essere stati scaraventati nella vignetta. Un mondo che appare come fatto di cose sgualcite, usate. Le scarpe, le vesti, persino le tende, non sono pescate dal pennino e disposte in scena, come se si trattasse di una finzione teatrale in cui tutto è nuovo, mai realmente utilizzato o indossato. No. Tutto è vivo. Asteriti ci catapulta in un cosmo reale, in cui ogni oggetto è stato indossato per ore o per giorni (nel caso di vesti e calzature) e, quindi, risulta spiegazzato, costretto — dal tempo — a forme piene di grinze. Ho scritto che "tutto è vivo", ma dovrei correggermi e scrivere che "tutto è stato vivo". Perché — cosa molto importante — il mondo asteritiano ha i connotati di una diapositiva che ferma le cose e i personaggi, presentandoli (per l'eternità) con le pieghe assunte nel momento in cui la "foto" è stata scattata. 

Laddove Scarpa mira a un arrotondamento liscio, ben stirato, che esprima la costante dinamicità e il continuo serpeggiare delle forme in scena, Asteriti preferisce il rigonfiamento che immobilizza l'azione, con figure inamidate. Come se una tovaglia venisse lanciata in alto; questa si gonfia, per effetto dell'aria, e poi inizia a scendere. Il disegnatore le urla: "Altolà!" ed essa si arresta, per l'eternità, nell'atto dello sgonfiarsi. La forma è arrotondata, "cicciosa", ma — al tempo stesso — colma di pieghe causate dal contemporaneo afflosciarsi.


Un realismo che, paradossalmente, proprio nel suo inseguire la realtà, nel suo volerla fermare, inchiodare al foglio, finisce per rinunciare all'elemento del tempo. Esso è ciò che c'era e che ha prodotto le forme. Il disegnatore ne prende atto e accetta il dono che la successione temporale (ormai giunta a termine) gli ha fatto. Ne celebra le gesta, senza rappresentarlo. Anche qui, gioca il suo ruolo l'abnorme gravità asteritiana che — come impone la relatività generale — distorce il tessuto del tempo, rallentandolo, fino ad arrestarlo definitivamente e farlo morire. Sembra di essere nell'ultima surreale storia da lui ideata e disegnata: Tip e Tap e lo straordinario mondo del Toc. In essa, i due fratelli scoprono che, tra il "Tic" e il "Tac" dell'orologio, esiste una dimensione di mezzo: il "Toc". Ecco. Anche Asteriti ha scoperto un "Toc", in mezzo al ticchettio del tempo. Un'eternità fatta di grinze e pieghe. 

La "grinzosità" (seppur "arrotondata" e non tagliente), infatti, è un elemento spesso criticato dello stile di Sergio Asteriti, ma consegue dal realismo del disegnatore. Un realismo non cinematografico, ma da "copia dal vero" o da "natura morta". I personaggi e gli oggetti, gli ambienti stessi, sono trattati come tendaggi e frutti disposti — frettolosamente — su di un tavolino. Immobilizzati, senza alcuna volontà di simmetria o di composizione armoniosa. Asteriti vuole la realtà morta, perché quella viva — se disegnata — dovrebbe essere rappresentata in modo irreale, attraverso forme non veritiere, per fare un semplice piacere al dinamismo filmico e al minimalismo grafico. E il procedere asteritiano non lo ammette. Gli sembra una violenza nei confronti della verità, la quale deve essere colta così com'è, senza aggiustarle il colletto o il bavero. È come se Sergio Asteriti giocasse a "Un, due, tre, stella!". Si gira, senza preavviso, e tutto deve arrestarsi, in qualunque posizione si trovi, anche se questa dovesse risultare scomoda o — nel nostro caso — non sinuosamente dinamica e cinetica. Ovviamente, anche il già citato Scarpa aggiunge pieghe e spiegazzamenti, ma lo fa in modo più minimale, mirando a un tratto maggiormente "pulito", essenziale, e perciò capace di flettersi in movimento. Asteriti, al contrario, le pieghe le tratta come oggetti reali, le prende sul serio e le rappresenta in modo plastico e asimmetrico, dando un senso di realismo superiore. 

All'eccesso di gravità, dunque, s'accompagna un eccesso di realtà. Gli elementi in scena non sono solo pesanti come oggetti reali, ma sono anche fermati in tutta la loro sgraziata concretezza. La forza gravitazionale asteritiana costringe tutto quanto a immobilizzarsi, pure se non sistemato o sgualcito. Asteriti, in breve, non si dota di un immaginario ferro da stiro attraverso cui eliminare le pieghe, ma — anzi — lascia ogni cosa "raggrinzita" così come l'ha trovata. Gonfiare, iniziare a sgonfiare e fermare tutto, prima che il processo si sia completato. Cogliere il momento di mezzo tra i due punti, immobilizzare la dinamica: in questo sta la rinuncia consapevole al dinamismo. Un mondo fatto di grinze, di pieghe. Si parla di oggetti di stoffa spiegazzati. Una stoffa che appare trattata con l'amido, assumendo i connotati del marmo modellato per apparire come un tendaggio. Con Asteriti, siamo in pieno Barocco. 

La cacofonia dei molti mondi

Suggerivo — qualche paragrafo sopra — che, nelle vignette di Asteriti, ogni oggetto segue la sua propria storia. Le mura si lasciano trascinare dal flusso della propria privata narrazione, disinteressate al resto, riempiendosi di particolari e crepe che sembrano non notare nemmeno ciò che sta loro attorno. Anche una banale tenda viene disegnata come "assorta" nei suoi tormenti, nelle sue pieghe, nella sistemazione storta che il disegnatore le ha imposto per aumentare il realismo degli elementi in scena. Lo stesso accade con arnesi e tegole. I primi, non sono semplici rappresentazioni idealtipiche di uno strumento (che si tratti d'un martello o d'un innaffiatoio). Vengono dotati di storture, ombre, parti leggermente rovinate. Le seconde, vengono disegnate una diversa dall'altra; anche quando sono appena accennate con un veloce gesto grafico, ognuno di essi è tracciato in modo difforme. Nel mondo asteritiano, ogni oggetto — innanzitutto — è necessario che funzioni da solo. Addirittura gli alberi devono fare — prima di ogni cosa — gli "alberi, in quanto "alberi". Non gli alberi di una scena complessiva, bensì devono mantenere il proprio ruolo anche se estratti dalla vignetta e posti nel vuoto. Ed è per questo che Asteriti, se deve raffigurare le loro fronde, non lo fa (quasi mai) delineandone solo i contorni. Aggiunge, entro di essi e qua e là, alcune foglie, disegnate una a una, con cura, oppure qualche tratto sparso, sì minimale, ma ognuno differente dall'altro. Come se l'impeto del realismo vincesse ogni moto alla semplificazione. 


Gli elementi della vignetta vivono di una vita propria, particolare, privata, individuale. Questo intendevo quando mi riferivo a tende assorte nelle pieghe dei propri tormenti. Porte, aste di legno, vasi, cespugli, vestiti o tovaglie devono essere — potenzialmente — sfilabili dalla tavola e permanere, intatti, nella propria immobile credibilità. Un mondo assemblato, in cui ogni cosa viene disegnata in sé e per sé, offrendo una ricchezza di particolari, pieghe, incrinature, sgualcimenti. Un puzzle di vite singole e di storie isolate: ogni oggetto è una narrazione assorta in sé stessa e dimentica di ciò che la circonda. L'interdipendenza non è data dall'accordo armonioso tra le parti, ma dalla convivenza forzata, senza scambio di "buongiorni": elementi che si ignorano tra loro, costretti a soffrire lo stare in bilico e l'usura, ma in totale silenzio e in apparente solitudine.

Una cacofonia fatta di molti mondi, mai in reale collisione tra loro. Il disordine, ma senza schianti e urti. La tempesta della realtà e la potenziale, ma mai espressa, belligeranza delle cose molteplici, ognuna chiusa in sé medesima. Eppure, una forma di rapporto tra di esse esiste: quel rinchiudersi ognuna nel proprio privato bunker avviene — che lo si voglia o no — in una scena visivamente colta con un solo sguardo. È questa coesistenza ottica obbligata a portare a un'inevitabile relazione reciproca, ovvero quella rappresentata dall'intralcio vicendevole a un compiuto isolamento.

La sinfonia nella cacofonia

Asteriti è l'artista delle parti e non del tutto. Sbatte in faccia al lettore una cruda realtà: il tutto è fatto di parti ed esse sono — innanzitutto — sistemi isolati, mondi a parte, che s'intralciano a vicenda. Ma questo non significa che il disegnatore veneziano dimentichi l'intero, a favore del singolo particolare. Semplicemente, ci arriva in maniera tortuosa, diversa. La sinfonia sorge dalla cacofonia, non per annullare quest'ultima, ma, piuttosto, per rendere possibile un'armonia che sia (per quanto assurdamente) disarmonica. Il cosmo grafico asteritiano è pervaso da un equilibrio instabile donato da due caratteristiche già citate: 

1) Come enunciato poc'anzi, il fatto che ogni elemento sia costretto a coesistere in un solo sguardo fa sì che essi entrino in una relazione di tipo negativo: ogni cosa intralcia l'isolamento dell'altra, le grida "non sei sola!". Proprio il fatto che ogni oggetto tenti di isolarsi in sé stesso o, per meglio dire, provi a mettersi in risalto, attraverso una ricchezza di particolari inusuale, proprio questo impedisce a ciascuno degli elementi di apparire come realmente isolato: lo sguardo si posa sulla vignetta e nota un albero, poi una casa, poi una veste, poi un muro, e così via; viene catturato da questo o quel segno grafico e gli è impossibile fermarsi su uno solo di essi. Ognuno di questi pare dire: "Guardami! Ci sono unicamente io!", ma lo stesso fanno tutti gli altri e il lettore non sa cosa scegliere e dove arrestarsi. Il tentativo di isolamento è intralciato dallo stesso tentativo di isolamento: il porsi in isolata evidenza, in quanto condotto da ciascuno degli elementi in scena, intralcia quello di tutti gli altri. E anche questa, seppur negativa, è una forma di rapporto. 

2) La gravità che schiaccia tutto, indifferentemente; le case o le porte, gli animali parlanti come gli animali non parlanti. Tutto viene compresso verso il basso, curvato, a volte in modo più percettibile e — altre volte — in modo meno palese. Questa gravosa condizione comune regala alle scene una specie di rumore di fondo unitario, testimoniato dalla generalizzata curvatura. Ma non solo. Dà anche l'idea di una sorta di equilibrio sempre pronto a rompersi. Le figure asteritiane sembrano anelare a una stabilità individuale e totale irraggiungibile, ma che — nell'atto stesso di essere, perlomeno, tentata — regala al tutto una tensione che gli permette di reggersi in piedi, nonostante il peso. Le forme, premute al suolo, paiono muoversi controcorrente o controvento. L'impedimento gravitazionale regala loro una tormentosa ricerca di punti saldi che le accomuna, le rende parte di una medesima impressione generale. 

Il "tutto" esiste in Asteriti, ma si dà nella misura in cui contrasta con le "parti", nella misura in cui le costringe a una convivenza forzata e a una gravosa tortura comune. Non è la pace universale, ma un condominio di eremiti o prigionieri. 

Barocchismo e bomboniere bombate

Che descrizione tetra! Certo, messa così, il quadro del Nostro sembra essere quello d'un freddo realista, creatore di scene asfissianti, soffocanti, tragiche... Nulla di tutto questo! 

Asteriti, infatti, compie un vero e proprio miracolo. Questa costrizione all'immobilità senza tempo e a una comune gravità si ricopre di forme, sì spiegazzate, ma — come si diceva — rigonfie. Un rigonfiamento da bomboniera. Ecco l'opera alchemica asteritiana: unire la pesantezza e il realismo a una festa estetica fatta di bomboniere barocche, accompagnate da tratti spessi, pesanti quanto gli elementi di cui sono contorno, ma — proprio per questo — morbidi. Il disegnatore si diverte e gioca come un bambino e il prodigio sta proprio in questo: la gravità si trasforma in un elemento giocoso e festoso, fanciullesco. "Giocattoloso".

Ed è il connubio di questa con il realismo — la ricchezza dei particolari, delle figure in scena, il disordine voluto e l'immobilità da pittura di natura morta — a formare lo stile asteritiano nel suo complesso. Proprio il realismo (così adulto e serioso, all'apparenza), dal momento che aumenta i particolari da disegnare sulla tavola, accresce il numero delle occasioni, delle forme, cui applicare quella gommosa e giocosa pesantezza. Insomma: proprio dalla matura attenzione realista al particolare, sorge l'allegria bambina, fatta di un profluvio di figure tondeggianti e arricchite di dettagli dal contorno spesso e cartoonesco


Evoluzione dello stile

Bisogna dire che questo aspetto dei contorni spessi inizia palesarsi, sempre di più, attorno alla fine degli anni '80, per poi esplodere negli anni '90 e 2000. A molti non piaceva e non piace. Chi scrive, al contrario, lo apprezza molto e ritiene doveroso notare alcuni elementi di questa lenta (e decennale) trasformazione grafica. 

Negli anni '60 e '70 (e buona parte della prima metà degli anni '80), Asteriti ha la tendenza a inchiostrare le figure attraverso contorni di spessore pressoché uguale, senza troppe differenze tra le parti inchiostrate. Per capirci, Scarpa presenta una maggiore varietà di spessori, andando ad alleggerire il tratto o a inspessirlo, regalando tavole dall'aspetto meno visivamente pesante o corposo. Le tavole di Asteriti, al contrario, già in questi primi decenni, vedono una forte presenza del nero, cosa che regala loro una discreta pesantezza (di cui si è detto sopra): elemento che può essere amato (come dal sottoscritto) o no, a seconda dei gusti. 

Quale sia il motivo della scelta asteritiana, non è facile capirlo fino in fondo e si possono abbozzare almeno due piste: 

1) È tutt'altro che una semplice impresa quella di raccogliere materiale dell'Asteriti pre-Disneyano, ma è necessario guardare a esso, dato che il Nostro compie un'indipendente gavetta di quasi un decennio, prima di approdare sul Topo. Nelle riviste per cui lavora (di cui è possibile consultare appena qualche scorcio, sul web), si può notare un particolare interessante: contorni dal tratto che varia, ma di qualità ben più spessa rispetto a quello che era il canone del giornalino targato Disney. Chi scrive fa una serie di ipotesi: forse, Asteriti è stato "costretto", nel suo passaggio su Topolino, ad alleggerire il tratto che si portava dietro dalle riviste su cui aveva lavorato per quasi un decennio? E, forse, questo costretto alleggerimento è rimasto un elemento estraneo per l'autore, il quale non riusciva sempre ad applicare una variazione di tratti, proprio perché non abituato a lavorare con inchiostrature così sottili? Se si prende per buona tale pista, Asteriti avrebbe avuto un tratto poco vario proprio perché non abituato a lavorare con contorni troppo sottili. Questo gli avrebbe reso assai scomodo lo scendere troppo di spessore, ma — al tempo stesso — i canoni Disney imposti all'epoca gli avrebbero impedito di controbilanciare con spessori più grossi. E, da qui, l'effetto finale: poca varietà negli spessori. Poi, passati i decenni e — forse — acquisita una maggiore libertà professionale (magari, anche legata ai gusti estetici cambiati), ecco riapparire l'antico stile asteritiano delle riviste degli anni '50/60: un inspessimento generale del tratto e, così, una riacquista varietà di spessore. Questo è l'Asteriti fine anni '80 e anni '90. Tra gli anni 2000 e 2010, un'ulteriore trasformazione: diminuisce la varietà di spessore, ma rimane il tratto pesante. Come se Asteriti, abituato (ormai), da decenni, a un tratto senza variazione, fosse tornato a quella comoda soluzione, pur mantenendo l'altrettanto comodo spessore della sua formazione extra-disneyana. Un'ultima ipotesi conclude tale prima pista: forse, anche la ricerca della ricchezza di particolari e il realismo vengono da quelle esperienze di gavetta e dagli incontri con Faustinelli, Ongaro e Pratt? Da questa intervista, apprendiamo che Asteriti si riteneva non in grado di darsi al fumetto realistico: forse questa convinzione tradisce una sorta di desiderio che si esprimerà, negli anni a venire, nella ricerca di una commistione tra cartoonesco e realistico?

2) E arriviamo alla seconda pista (non per forza alternativa alla prima; potrebbero benissimo convivere e creare un quadro complessivo): l'elemento del tratto "grosso", unito alla poca varietà dello spessore, potrebbe essere una preferenza estetica del disegnatore, forse presa dai cortometraggi Disney con protagonista Mickey Mouse e da quel Gottfredson primissima maniera che sempre ha ispirato e appassionato il Nostro (il quale, sempre nella succitata intervista, ha a dire di avere il desiderio di tornare al Topolino scanzonato, e in calzoni corti, della sua infanzia e adolescenza). Infatti, specie nei primi cortometraggi, si era soliti utilizzare contorni spessi e uguali per gli elementi protagonisti e coprotagonisti in scena, per staccarli rispetto allo sfondo, reso con toni di grigi più sfumati. Lo stesso Gottfredson prima maniera, per quanto utilizzasse una discreta varietà di spessori, tendeva a una grandezza del tratto maggiore rispetto ai canoni successivi. Se si osserva una tavola del geniale autore, non si potranno non notare delle forti somiglianze con l'Asteriti del periodo extra-disneyano: contorni grossi, ma varietà di spessori. Cosa che potrebbe portare a ipotizzare un'ispirazione stilistica, poi rimasta negli anni, nonostante le "imposizioni" del nuovo canone a tratto più sottile. 

Scarpa e Asteriti: due diverse interpretazioni di Gottfredson

Se volessimo usare una metafora presa in prestito dalla storia dell'arte, dovremmo dire che Scarpa è stato classicista, mentre Asteriti barocco. Abbiamo già accennato alle differenze di stile tra i due nei precedenti paragrafi. Inutile ripetersi. C'è, però, un aspetto del loro stile che va indagato, anche se brevemente, e che mette ancora più in luce il classicismo del primo e il barocchismo del secondo. Entrambi, infatti, si rifanno a Gottfredson, sia implicitamente che esplicitamente. Eppure, presentano due stili tanto differenti. Quindi, la diversità di interpretazione dello stile del comune Maestro da cosa dipende, principalmente? Penso di avere una risposta, per quanto non definitiva. Essa viene dal diverso periodo (considerando l'intera produzione del grande autore e disegnatore americano) preso come ispirazione cardine: il primo Gottfredson per Asteriti e il Gottfredson maturo per Scarpa. 

La cosa è abbastanza evidente in quest'ultimo: il suo modo di disegnare ricalca (pur con delle ovvie variazioni) lo stile dell'ultimo Gottfredson delle continuity a strisce, quello degli anni ‘50. Per Asteriti, la questione è più complessa: non c'è un ricalco completo, ma una specie di reinterpretazione del primo Gottfredson attraverso lo stile della fase più matura. La fase primordiale rimane la principale ispirazione, ma è rivisitata attraverso le fasi degli anni successivi, quasi come necessario correttivo dovuto ai tempi. Pare di vedere una specie di linea temporale alternativa nella quale Gottfredson, anziché andare verso una progressiva razionalizzazione del segno, si sia spinto a maturare l'aspetto "gommoso" dei suoi primi disegni. Certo, viene perso l'aspetto filiforme ed esile dei personaggi ed essi guadagnano massa come nel Gottfredson anni ‘50, ma conservando la gommosità. 


Da qui, ecco il perché della gommosità pesante o della pesantezza gommosa (così barocca, affascinante, e così diversa dalla linearità di Scarpa). Che sia questo il motivo di quel gioco gravitazionale asteritiano di cui ho scritto diffusamente? Forse. In effetti, è probabile che il dover buttare lo sguardo su due così differenti periodi gottfredsoniani abbia spinto necessariamente il Nostro a "esagerare" con le masse dei personaggi, in modo da non cadere in un effetto troppo old style

Ma, chiaramente, si tratta solo di una ipotesi che non vuole esaurire lo spazio del dibattito.

Una narrazione gravitazionale

Giungiamo, finalmente, a un ultimo punto della questione Asteriti: il rapporto tra il suo inconfondibile stile e la narrazione nelle vignette; la relazione, insomma, tra disegno e sceneggiatura. Il Nostro, infatti, utilizza quella pesantezza più volte citata per far recitare i personaggi in scena: la gravità, spesso, li piega in avanti, proiettando braccia e mani in varie direzioni, producendo una gestualità molto forte e che serve per narrare gli stati d'animo dei personaggi. 

In realtà, qualcosa di simile lo si può trovare anche nella rappresentazione che Scarpa fa di Mickey e Minnie: entrambi risultano deformarsi e schiacciarsi — quasi come in Asteriti — verso il basso e gesticolare di conseguenza. Questo deve essere un retaggio della comune scuola gottfredsoniana e dei primi cortometraggi con protagonista Topolino, ma una differenza distingue i corti dalle strisce di Gottfredson: mentre nei primi vediamo che questo fenomeno dello schiacciamento — in pieno stile espressionista, quasi come un fossile del cinema muto — riguarda tutti i personaggi in scena, è con Gottfredson che le cose cambiano. A deformarsi verso il basso, comprimersi ecc. sono, in particolare, i personaggi maggiormente antropomorfi (Topolino, Minni, Pippo, principalmente). Quelli più umani, invece, tendono a presentare pose più dritte e anatomicamente realistiche. Pare quasi che Gottfredson abbia pensato il mondo Disney in maniera differente rispetto a come esso era stato concepito nei cortometraggi: Topolino, Pippo e co. vengono concepiti quali elementi cartooneschi inseriti in un mondo, tutto sommato, realistico. Elementi estranei e, per tale motivo, capaci di produrre un effetto comico per via del moderato contrasto rispetto all'ambiente. In Scarpa questo rapporto si mantiene. 

Asteriti, invece, torna alla concezione pre-Gottfredson, recuperando la deformazione generalizzata dei cortometraggi e tornando, quindi, a un espressionismo tipico della transizione dal muto al sonoro nel cinema. Ogni personaggio in scena, infatti, è costretto a recitare, per via di una gravità soverchiante che piega ognuno di essi, quasi contro la loro volontà, verso il basso, costringendoli a tentare di trovare spazio per gli arti in altre direzioni, come se il soffitto stesse piombando loro in testa ed essi si ritrovassero schiacciati, in un gesticolare che ha più l'aspetto di una necessità che di una effettiva scelta di chi gesticola. Uno spazio che sembra esser ridotto anche dalla ricchezza degli elementi di contorno in scena, i quali paiono obbligare i personaggi a scappare dalla vignetta, a cercare una via di uscita. Tale ricchezza, d'altra parte, è connotata da un'espressiva tattilità, quasi che si riuscisse a toccare quelle masse, quei corpi, a sentirne la solidità, forse proprio per via delle loro reazioni a un'immaginaria forza di gravità generale; reazioni che mettono alla prova la loro matericità e regalano un'idea più precisa di quale debba essere la loro consistenza. 

Questa espressività tutta fisica e tutta gravitazionale interagisce con la sceneggiatura mettendo in risalto ciò che accade o viene detto, funzionando da fisicissimo punto esclamativo o materica sottolineatura. Cosa molto azzeccata in un medium i cui fruitori — in maggioranza — si posizionano in un'età preadolescenziale. Asteriti è un maestro dell'interazione tra espressioni facciali e gesticolazione corporea, ma in un modo ben preciso: le prime sono moderate, per quanto molto azzeccate. Una semplicissima variazione nel tratto o nella forma degli occhi, infatti, basta e avanza, dato che viene immediatamente soccorsa da una gesticolazione — invece — radicalmente accentuata. La non dinamicità da fermo-immagine (di cui si scriveva sopra) convive con una dinamica prodotta da una ricchezza di espressioni e gesti, per quanto realisticamente immobilizzati a mo' di natura morta. Realismo da diapositiva e cartoonesco convivono perfettamente nello stile del Nostro. 


Un calibrato gioco di elementi che permette (provare per credere!) di seguire le storie anche senza leggerne i dialoghi. Questi ultimi pare quasi che vengano integralmente riprodotti dal segno grafico: non semplicemente aiutati dai disegni, ma totalmente reinterpretati, resi in china e forme. Ci si trova davanti, dunque, a due elementi (disegno e sceneggiatura) che convivono non nel completarsi a vicenda in modo organico, ma nel loro essere l'uno la copia dell'altra. Due gemelli. Convivenza, insomma, nella perfetta uguaglianza. Una scommessa audace, quella di Asteriti, dato che in una soluzione del genere potrebbe palesarsi il rischio di una ridondanza che riesce perfettamente a evitare, sapendo esattamente quanto spingere nell'espressività grafica e quando fermarsi. 

Conclusione

Che dire ancora? È stato un lungo viaggio dentro la china e il pennino di questo incredibile autore. Personalmente, si è trattato di un percorso istruttivo, perché mi ha costretto a pensare ai "perchè" e "per come" del suo stile, oltre che ai "come mai" della mia fascinazione verso di esso. Questi ultimi non li ho, chiaramente, inclusi nel corpo degli scorsi paragrafi, ma credo di poterli riassumere qui, poiché sono abbastanza convinto che siano condivisi da molti: il suo stile richiama epoche che generano immediata nostalgia. Lo si collega, istantaneamente, a quella che è stata l'epoca d'oro della produzione Disney italiana.

Certo, ho riferito (all'inizio di questo scritto) che esiste qualcosa di diabolico nel fatto che uno scalmanato rivoluzionario come Asteriti — il quale ha rivoluzionato tutto, non solo andando avanti, ma anche tornando indietro, fino al pre-Gottfredson, pure se sempre a modo proprio, seguendo vie inedite — sia percepito come un classico che più classico non si può. Ma un motivo c'è. Anzi, due. Il primo è che, effettivamente, Asteriti (come abbiamo visto) coi classici ci gioca parecchio, addirittura recuperando dinamiche da cortometraggio in bianco e nero. E il secondo è molto semplice: questo autore ha fatto, letteralmente, la storia del fumetto Disney in Italia, costituendo una linea alternativa, dissidente se si vuole, rispetto a quella "vincente" di Scarpa. Sempre con garbo, senza sgomitare, tanto da stupirsi di essere ricordato e amato da così tanti "bambini" ormai cresciuti (come alla premiazione del Papersera). 

© Disney per le immagini pubblicate.
L'Eco del Mondo non ha in alcuna maniera partecipato al concepimento o alla stesura dell'articolo pubblicato se non nella fase finale di revisione e editing. Ogni tesi e ipotesi avanzata è, pertanto, da considerarsi frutto di riflessioni personali ed esclusive dell'autore e il testo viene qui proposto per il suo valore di approfondimento e spunto per futuri dibattiti.

domenica 19 maggio 2024

Storia e gloria per la prima volta in Francia in versione integrale!


Chi è nato, cresciuto, o vive in Italia e legge fumetti Disney non può non avere incrociato nel suo cammino la storica (in tutti i sensi) saga Storia e gloria della dinastia dei Paperi, scritta da Guido Martina e disegnata da Romano Scarpa e Giovan Battista Carpi, pubblicata sulle pagine di Topolino nel 1970 e, da allora, ristampata tredici volte nel nostro paese (l'occasione più recente risale al 2022) e tradotta in diverse lingue. I nostri "cugini" francesi, invece, non avevano avuto sinora la possibilità di leggere questo materiale nella sua integrità. Curiosamente, il primo episodio, Zio Paperone e il rimbombo lunare (Martina/Scarpa, 1970), era stato pubblicato nel 2017 sul numero 200 della testata Super Picsou Géant, ma, pur mantenendo l'invito a scoprirne il seguito nel numero successivo, se ne erano perse le tracce. Un altro capitolo, Paperon McPaperon e le sterline di Trisnonna Papera (Martina/Scarpa, 1970), aveva avuto analoga sorte, essendo stato stampato l'anno seguente sul numero 42 di Les Trésors de Picsou, i cui contenuti erano accomunati dall'ambientazione scozzese.

Per qualche tempo non si ha più alcuna notizia, poi, durante l'estate 2023, nella redazione francese si discute la maniera più adeguata per rendere finalmente giustizia a queste storie. Dalle proposte e i ragionamenti sulla fattibilità dell'operazione nasce, quindi, il progetto di cui vi vado a parlare oggi: una ristampa completa dell'intero ciclo. Il primo numero de L'histoire de la dynastie Picsou (edizione speciale del Super Picsou Géant), questo il titolo della nascente collana, raggiunge le edicole francesi a fine marzo 2024 e include, oltre ai primi quattro capitoli della saga, anche altri racconti a tema storico. A introdurre il volume, così come ogni fumetto presentato, è il belga Alban Leloup, collaboratore delle pubblicazioni del gruppo Unique Heritage dal novembre 2021, coadiuvato dall'esimio professor Pico de Paperis, che commenta con discutibili annotazioni quanto i lettori andranno a visionare.


Per completare l'opera sono previsti tre volumi, il secondo in uscita a luglio e il terzo a ottobre, e la formula e il team saranno i medesimi. Inoltre, se questo potesse servire a ingolosire anche qualche fan italiano che già dovesse possedere plurime versioni delle storie in questione, le illustrazioni di copertina sono realizzate appositamente da Emmanuele Baccinelli (disegni) e Andrea Cagol (colori), cosa chiedere di più? D'altronde, nel mio piccolo, ho avuto modo di constatare l'interesse degli appassionati francesi per queste avventure in prima persona. Non più tardi della primavera del 2021, infatti, mi era stato chiesto di scriverne un articoletto a riguardo per la fanzine Picsou-Soir, tra le pagine della quale mi era capitato di conoscere il promettente curatore dell'attuale edizione. 

I miei migliori e più sinceri auguri, dunque, a questo progetto, che ha tutte le carte in regola per meritarsi un posto d'onore in ogni libreria disneyana che si rispetti!

© Disney per le immagini pubblicate.

martedì 31 ottobre 2023

Amelia made in Italy (di Giuseppe Benincasa)

Oggi è Halloween, la Notte delle Streghe. E, nei fumetti dei Paperi Disney, ne abbiamo viste parecchie, di streghe. Basti pensare a storie classiche come Paperino e l'albero di Natale (Barks, 1948) o Paperino e le forze occulte (Barks, 1952), per poi arrivare a Zio Paperone e la fattucchiera (Barks, 1961). Ed è proprio su questo personaggio (e sulla sua successiva caratterizzazione all'interno delle storie dei fratelli Barosso) che verte l'articolo di oggi, scritto da Giuseppe Benincasa. Buona Lettura!

AMELIA MADE IN ITALY
di Giuseppe Benincasa

Amelia la fattucchiera che ammalia (in originale: Magica De Spell) è uno dei personaggi più iconici creati da Carl Barks, l’Uomo dei Paperi, e, anche grazie alle sue origini partenopee, ha presto fatto colpo sui lettori (e sugli autori) italiani. Infatti, la prima storia nostrana con Amelia risale al 1962, cioè un anno dopo il suo debutto americano e sei mesi dopo l'avvento sulle pagine di Topolino.

Si tratta di Zio Paperone e la strega antistrega (Barosso, Barosso/Perego, 1962), che detiene anche i primati di prima storia non barksiana col personaggio e di primo incontro con la strega Nocciola (Witch Hazel), nata in animazione e fatta debuttare nei fumetti proprio da Barks, in Paperino e le forze occulte (Barks, 1952). I fratelli Abramo e Giampaolo Barosso sono gli autori dei testi e si può dire che, da questo momento in poi, abbiano “adottato” il personaggio, stabilendone col tempo alcune caratteristiche che si sono poi imposte nella sua versione italiana. La trama è presto detta: Zio Paperone si allea con Nocciola per difendersi da Amelia, intenzionata — come al solito — a rubare il primo decino guadagnato dal miliardario per trarne un amuleto che la renda ricca. È degno di nota l'aspirapolvere volante utilizzato dalla fattucchiera campana (in contrapposizione alla classica scopa volante, usata dalla più anziana Nocciola), elemento che ritornerà in alcune storie successive.


Nelle storie americane, la prima volta in cui si vede Amelia a cavallo di una scopa risale alla breve Paperina fattucchiera per un giorno (Gregory?/Strobl, 1964), mentre, nelle storie di Barks, la papera napoletana utilizza abitualmente un più prosaico aeroplano, con l’unica eccezione di I tre nipotini e la battaglia in bottiglia (Barks/Strobl, 1971). La scelta dell'aereo è in linea con l'iniziale visione più realistica del personaggio, che, nelle prime avventure, sembra quasi più un’illusionista che una vera strega, dal momento che si serve di bombe al fosforo e meccanismi elettrici nascosti per sparare raggi ipnotizzanti. È a partire da Zio Paperone novello Ulisse (Barks, 1962) che Amelia comincia a mostrare caratteristiche più prettamente magiche, con il ritrovamento della bacchetta magica e delle pozioni della Maga Circe. Comunque, questa prima caratterizzazione più terrena ha echi nella già citata Zio Paperone e la strega antistrega: nonostante Amelia sia indubbiamente una vera e propria strega (tanto da essere accostata a Nocciola e alla strega di Biancaneve), la si vede utilizzare un microfono nascosto per spiare Paperone.


All’epoca, il potenziale del personaggio era ancora da esplorare e i Barosso continuano a farlo nel 1963 in Zio Paperone e la duplice alleanza (Barosso, Barosso/Gatto, 1963), dove Amelia e i Bassotti si alleano per la prima volta in assoluto con lo scopo di derubare il ricco papero. Qui e in Zio Paperone e la sorpresa pasquale (Barosso, Barosso/Carpi, 1963), i fratelli torinesi si divertono a inserire delle parole in napoletano nelle formule magiche pronunciate: “Funicolì, funicolà! Foto! Su, dite immantinente: dove si trova tutta ‘sta gente?”; “Iamme… iamme… è mio volere che si spalanchi tosto il forziere!”


Giocare sulla napoletanità della fattucchiera viene naturale agli autori italiani e un altro esempio viene sempre da Zio Paperone e la sorpresa pasquale: Amelia accende un razzo su cui volare, esclamando: “Volevo lanciarlo a Piedigrotta, questo bel petardone, ma pazienza!”


Zio Paperone e l’orribile ossessione (Barosso, Barosso/Carpi, 1964) segna un altro passaggio importante: il debutto del corvo di Amelia in una storia italiana. Qui, per la prima volta, viene usato il nome Gennarino (Ratface). Da notare che, nelle prime traduzioni delle storie barksiane, il nome era omesso e la prima volta che “Gennarino” compare in una traduzione di una storia americana è in Amelia e l’iceberg-pepita (?/Strobl, 1965). I Barosso non si limitano, però, soltanto al nome: infatti, diversamente dalla versione americana, il corvo non parla, rispettando la propria natura animale, caratteristica rimasta nella tradizione italiana.


Si gioca ancora sulla napoletanità, questa volta con citazioni a brani classici della canzone napoletana: Gennarino, grazie a un incantesimo, canta ‘O sole mio e Funiculì funiculà; sul finale, Amelia, finita vittima dello stesso incantesimo, intona Marechiaro. È da citare, inoltre, l’ironico impiego dei turisti intorno al Vesuvio, presenti in questa e altre storie, spesso spaesati e interessati alla fattucchiera (per esempio, una turista teutonica, vedendo Amelia cantare, afferma: “Oh, Italien! Ke terra ti marafiliose canzona!”)


Nel 1965, i Barosso introducono un'ulteriore novità in Zio Paperone e l’ampolla di Alabastro (Barosso, Barosso/Bordini, 1965): l’aglio come arma difensiva contro le streghe; da allora, elemento immancabile nella produzione italiana. Come dice qui Amelia, l’aglio è “l’unica cosa che streghe, vampiri e fattucchiere non possono sopportare!” Non deve essere un caso che, secondo una nota formula scaramantica napoletana (portata all'attenzione nazionale dalla televisione e il cinema), basterebbe l’aglio a non “far quagliare le fatture” (“Aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglio, corna, bicorna, capa r’alice e capa r’aglio”).


È, quindi, proprio grazie a due autori spesso poco ricordati che la fattucchiera che ammalia ha cominciato a muovere i primi passi in Italia, sviluppando caratteristiche e stilemi che continuano a essere utilizzati tutt’ora, a decenni di distanza.


© Disney per le immagini pubblicate.

sabato 17 giugno 2023

I denari del giovane Rockerduck (Fontana/Cavazzano, 2023)

Della famiglia di Rockerduck ho parlato in passato qui e qui, mentre della sua parentela con Zio Paperone ho scritto in questo post, recentemente pubblicato dalla fanzine danese Rappet con il titolo "Joakim og Anderbilt: rivaler og... slægtninge?". Riallacciandomi invece a quest'altro post sui genitori del miliardario con la bombetta, vorrei fare riferimento a una nuovissima storia, recuperabile sul numero del settimanale Topolino attualmente in edicola.

Howard Rockerduck ne La ballata di John D. Rockerduck

I denari del giovane Rockerduck (Fontana/Cavazzano, 2023), che richiama nel titolo il celebre romanzo di Goethe, potrebbe quasi essere considerata un seguito spirituale de La ballata di John D. Rockerduck (Nucci/Cavazzano, 2021), che ci rivelava qualche retroscena sulla famiglia dell'eterno secondo paperopolese. In questa nuova avventura, l'artista veneziano riprende il design dei genitori di Rockerduck direttamente dal precedente titolo, andando a distaccarsi nuovamente dalle interpretazioni proposte da Don Rosa in Il re di Copper Hill (Rosa, 1993) o da Romano Scarpa in Zio Paperone e l'oro del Klondike (Martina/Scarpa, 1970) ⁠— quest'ultima già recuperata dallo stesso Cavazzano in Zio Paperone e l'aquila di Zeus (McGreal, McGreal/Cavazzano, 2020) ⁠— e avvicinandosi forse di più ai ritratti mostrati da Flemming Andersen in An Interview with Rockerduck (Åstrup/Andersen, 2016).

Confronto tra i coniugi Rockerduck secondo Cavazzano (sopra) e secondo Andersen (sotto)

Fontana e Cavazzano decidono di raccontare nuovamente il primo incontro tra Howard e Paperone, re-interpretando quanto narrato nel quarto capitolo della Saga di Paperon de' Paperoni. Oltre al rinnovato look dell'anziano magnate, la carrozza che trasporta la famiglia Rockerduck viene trasformata in una lussuosa automobile.

L'incontro tra Howard e Paperone secondo Rosa

... e secondo Fontana/Cavazzano

Nonostante non sia bene chiaro il motivo di queste piccole modifiche (impossibilità di armonizzare le produzioni internazionali? aggiornamento temporale?) — già ravvisate un paio di settimane fa al cospetto del Cacciavite Pitagorico proposto dal duo Fontana/Capovilla —, non possiamo fare altro che rimanere in attesa di nuovi sviluppi sul tema, consapevoli di trovarci di fronte all'istituzione di un nuovo "canone" per quanto riguarda i fumetti Disney italiani.

© Disney per le immagini pubblicate.

sabato 28 gennaio 2023

Il post definitivo su Gedeone de' Paperoni

Gedeone de' Paperoni, lo zio di Paperino introdotto in Paperino e i gamberi in salmì (Scarpa, 1956), è un personaggio che mi ha sempre affascinato e, perciò, ho deciso di recuperare tutte le sue apparizioni ufficiali (tra storie e illustrazioni) per commentarle qui, in quella che idealmente potrebbe essere una scheda completa e definitiva sul personaggio (almeno fino a quando non verranno prodotte nuove avventure a cui prenderà parte).

Gedeone de' Paperoni

Innanzitutto, è da considerare che, sei mesi prima del suo debutto, Guido Martina e Giovan Battista Carpi (qui ancora coadiuvato da Giulio Chierchini) avevano già assegnato  in Paperino e l'uomo del West (Martina/Carpi, 1955)  un parente prossimo alla famiglia dei Paperi: nientemeno che il fratello gemello di Zio Paperone. Questo insolito, e mai più ripreso, personaggio si chiama esattamente Paperon de' Paperoni e non mostra alcuna differenza fisica con il fratello, tanto che Paperino e nipotini credono inizialmente di trovarsi al cospetto dell'usuale parente. 

Tutto comincia quando Paperino riceve una raccomandata contenente cinquanta dollari e una lettera dello zio Paperon de' Paperoni che lo invita a trascorrere un mese di villeggiatura a Città d'Oro sul Fiume d'Oro (Texas), per festeggiare la scoperta della sua 745sima miniera d'oro. 

L'insolita lettera dello Zio Paperone

I Paperi, in bolletta cronica e stanchi di sopportare il caldo estivo della città, partono subito alla volta del West. Con loro stupore, la piazza principale di Città d'Oro ospita un asilo, una scuola, un ospedale e un ente assistenza intitolati a Paperon de' Paperoni, nonché una statua che lo raffigura, con incisa la dicitura: “A Paperon de' Paperoni. Benefattore e filantropo. La cittadinanza riconoscente.” 

L'arrivo a Città d'Oro

Il mistero è presto svelato: l'anziano papero che ha invitato Paperino non è il Paperone di città, “il taccagno arci-arci-arci-triliardario”, bensì il suo gemello, generoso e filantropo scopritore di miniere d'oro (che regala), il quale aveva conosciuto il nipote quando questi non aveva che pochi mesi. Curiosamente, nonostante nell'avventura appaiano entrambi i fratelli de' Paperoni, Paperone e Mani Buche (questo il soprannome affibbiato al filantropo) non si incontrano mai.

La rivelazione

Ne I gamberi in salmì — prima storia di Romano Scarpa come autore completo , facciamo quindi la conoscenza del secondo (in ordine di creazione), e decisamente più fortunato (a livello editoriale), fratello di Paperone: Gedeone de' Paperoni. Gedeone è da quarant'anni direttore del Grillo Parlante, “il più grande quotidiano del paese”, e viene da subito mostrato alle prese con un'attività di coordinazione dei suoi dipendenti a dir poco frenetica, che gli permette di non tradire la fiducia dei suoi 4.275.421 lettori.

Il colloquio di Paperino con lo zio

Il buon giornalismo d'inchiesta, la ricerca della verità e la libertà dell'informazione vengono messi al primo posto da Gedeone, che “centinaia di volte” si è rifiutato di vendere la testata al fratello (già proprietario di novantanove pubblicazioni) di fronte a un'offerta di quasi tre milioni di dollari. Il Grillo Parlante viene da lui infatti definito “un quotidiano libero e obiettivo, che costituisce la vera e propria coscienza del paese”.

L'importanza della libera informazione

Va comunque fatto presente che, nella prima stesura di questa storia, intitolata Paperino agente investigativo (Scarpa, 1953), il direttore era solamente un amico di Paperino.

Confronto tra Paperino agente investigativo (sinistra) e Paperino e i gamberi in salmì (destra)

Sei anni dopo I gamberi in salmì, Gedeone viene recuperato in Paperino cronista del giorno dopo (Barosso, Pavese/Perego, 1962), che, come la precedente, vede il personaggio titolare della storia desideroso di entrare nel mondo del giornalismo. Parallelamente a una variegata gavetta (ingrassaggio degli ingranaggi delle rotative, impaccatura dei giornali, composizione in linotipia e correzione delle bozze) presso lo zio, Paperino frequenta l'archivio del quotidiano, dove legge con grande ammirazione gli articoli di un tale Pap Paper, pubblicati tra l'ultimo ventennio del 1800 e il 1903 (anno in cui è stato cacciato dal giornale). 

L'ammirazione di Paperino per Pap Paper

Gedeone ricorda che, quando ancora era cucciolo di redazione, il direttore dell'epoca additava Pap Paper come “esempio di incapacità e progressivo regresso mentale”. Paperino non si convince e continua a documentarsi sul giornalista del passato, che comincia ad apparirgli sotto forma di fantasma, consegnandoli edizioni dei quotidiani del giorno dopo. In questo modo, il papero vestito da marinaio ha la possibilità di conoscere in anticipo le notizie prima che esse accadano e prova a sfruttare ciò a proprio favore, accorgendosi presto che non è così semplice come potrebbe sembrare. A partire da questa storia, Gedeone e Paperone non condivideranno la scena fino agli anni Novanta.

La prima apparizione non-scarpiana di Gedeone

Giampaolo Barosso, ormai assurto a secondo padre di Gedeone, lo riutilizza (qui in coppia con il fratello Adamo) in Paperino e l'intervista volante (Barosso, Barosso/Perego, 1966), ancora come datore di lavoro dello sventurato Paperino. Il nipote, inizialmente un semplice fattorino sfruttato dai vari giornalisti presenti in redazione, viene infatti messo alla prova come reporter. Il suo improbabile compito è quello di intervistare lo spericolato paracadutista “Jumping” Jim Jones, noto per avere un caratteraccio e una indisposizione nei confronti della stampa. 

Gedeone mette alla prova il nipote

Per riuscire nell'impresa, Gedeone recluta anche Gastone Paperone, che si riferisce a lui come “zio”. Nonostante il direttore affermi di avere a cuore solo il suo giornale, in questa storia, iniziano a emergere alcuni lati del carattere che lo avvicinano al fratello Paperone. Memorabile, a questo proposito, la frase: “Preferisco avere due interviste uguali che nessuna!” 

Gedeone decide di raddoppiare le possibilità di successo

Tuttavia, la comparsa del parente pare essere solamente un pretesto per introdurre la varie disavventure affrontate da Paperino nel tentare di ottenere l'agognata intervista e, a partire dalla settima tavola (di ventisette), non verrà più mostrato né menzionato

Anche nella successiva Paperino e le zanzare Za-Za (Barosso, Barosso/De Vita, 1966), Gedeone serve a dare il via (comparendo in una vignetta a tavola quattro e poi in tredici vignette, delle quali tre come silhouette, nelle tavole dalla diciotto alla ventuno) a questa storia, che vede Paperino in disputa con Gastone. Il cugino fortunato, invidioso dell'occupazione di Paperino come giornalista (nello specifico, “reporter gastronomico”) per il Grillo Parlante, decide di proporsi al giornale in modo da ottenere anch'egli biglietti omaggio per il cinema. Tra un sotterfugio e un equivoco, Paperino se la vede brutta e chi uscirà vincitore da questa avventura saranno (oltre a Gastone) i suoi nipotini.

Il Gedeone dei Barosso continua a mostrare una somiglianza di carattere con il fratello

Scarpa si re-impadronisce del personaggio in Paperetta Yè-Yè e i gatti indossatori (Scarpa, 1967), in cui — come suggerisce il titolo — si trova in coppia con un'altra fresca creazione del Maestro veneziano: la nipote di Doretta Doremì, introdotta in Arriva Paperetta Yè-Yè (Scarpa, 1966) e qui alla sua seconda apparizione assoluta.

Il burrascoso rapporto tra Gedeone e Paperetta

Curiosamente, in questa storia — così come nella successiva Paperino e la quiete creativa (Cimino/Scarpa, 1969) —, Gedeone sfoggia un look rinnovato (senza occhiali, ma con “sopracciglioni e capelli più folti ai lati), che ricorda maggiormente quello dell'allora direttore di Topolino Mario Gentilini (già di ispirazione per il carattere del personaggio), e il suo quotidiano cambia nome in Grillo della Sera. Inoltre, ne La quiete creativa, Paperino è qualificato come “vice sostituto narratore in prova” presso il giornale dello zio, che  purtroppo — ha un ruolo parecchio marginale e viene mostrato solamente in cinque vignette.

Confronto del design di Gedeone tra I gamberi in salmì (sopra) e I gatti indossatori (sotto)

Con la fine degli anni Sessanta, Gedeone de' Paperoni sparisce dalle scene per una trentina di anni, probabilmente a causa della serie di storie inaugurata da Dick Kinney e Tony Strobl che presenta Paperino e suo cugino Paperoga alle prese con un altro quotidiano paperopolese, il Papersera (Duckburg Chronicle), alle dipendenze di Zio Paperone. La prima di queste avventure è infatti Zio Paperone bianco papero (Kinney/Strobl, 1970), pubblicata un anno dopo La quiete creativa.

Oltre alle storie citate, lo stesso Scarpa parrebbe raffigurare Gedeone solamente in quattro illustrazioni note (19671986; 19921994), operando quella che parrebbe una fusione tra i due design utilizzati nei fumetti, restituendogli una spessa montatura di occhiali, ma mantenendo le folte sopracciglia solamente nel primo disegno. Nelle tre illustrazioni più recenti, inoltre, Gedeone sembrerebbe possedere un terzo giornale, intitolato La Tromba (di Paperopoli) o The Trumpet.


Un disegno di Gedeone pubblicato su I Disney Italiani (1990) e, prima ancora, sulla monografia Romano Scarpa. Un cartoonist italiano tra animazione e fumetti (1988), “eseguito a matita nel 1967” (fonte: Alberto Becattini, “Cronologia delle Opere di Romano Scarpa”, in Le Grandi Storie Disney — L'opera omnia di Romano Scarpa, n. 51, gennaio 2015, p. 217)

A dire il vero, il disegno che apre questa carrellata risulta provenire da questo foglio di prova inedito, probabilmente realizzato in prossimità de I gatti indossatori

Omaggio di Scarpa per il ventennale del Salone Internazionale dei Comics di Lucca (1986)

Illustrazione di Scarpa per i risguardi della collana Capolavori Disney (1992)

Gedeone dall'illustrazione di Scarpa per il numero 2000 di Topolino (1994)

Gedeone appare poi in un'unica vignetta di Paperino in Accade un Giorno (Panaro/Gorlero, 1993)  parodia della pellicola Accadde una notte (It Happened One Night, Frank Capra, 1934) — nei panni di Gedeone Gordon (corrispettivo del Joe Gordon interpretato da Charles C. Wilson), direttore del giornale Duck News, e in un'unica vignetta (questa volta muta) della storia celebrativa 60 anni insieme con Topolino (Boschi/Camboni, 1994). In entrambe, Gedeone mostra la chioma delle ultime illustrazioni scarpiane.

Gedeone Gordon

Gedeone assieme ad altre creazioni scarpiane

Per vedere il personaggio in un ruolo da protagonista, bisogna attendere la curiosa Zio Paperone e le notizie... fraterne (Sisti/Soave, 1996). Qui, infatti, si hanno alcuni flashback dei due fratelli de' Paperoni da piccoli in Scozia e la storia li vede competere nella Paperopoli contemporanea, affiancati dalla loro sorella maggiore [sic!] Elvira (Nonna Papera). Da notare che, secondo Sisti, ciascuno dei fratelli possiede il quarantotto per cento delle azioni del Grillo Parlante (il restante quattro per cento verrà destinato a fine storia proprio a Nonna Papera). In questa storia, Gedeone recupera il look della sua prima apparizione, abbandonando quindi sopracciglia e capelli a lato, e viene recuperato persino il portiere del palazzo del suo quotidiano, qui nomato Tom.

Gedeone, Nonna Papera e Zio Paperone da piccoli in Scozia

Non mi soffermo oltre sulla presunta parentela tra Gedeone, Nonna Papera, Zio Paperone, peraltro già smentita dall'albero genealogico pubblicato in Walt Disney presenta Paperina e le altre (Boschi/Carpi, 1994), limitandomi invece a rimandare a questa mia precedente ricerca.

Gedeone e Paperone accanto al cugino Cirillo (erroneamente indicato come fratello...), da Paperino fotografo (Gregory/Strobl, 1960), nell'albero genealogico dei Paperi secondo Boschi e Carpi

Ci pensa proprio l'esperto Luca Boschi a riesumare il personaggio come si deve in una storia che mescola sapientemente elementi di precedenti produzioni americane e nostrane. In Sgrizzo reporter ma non troppo (Boschi/Freccero, 1997), Paperino e Paperoga lavorano infatti per il Papersera, lo stato in cui vivono si chiama Calisota, come rivelato in Paperino contro l'uomo d'oro (Barks, 1952), e viene recuperata dall'opera di Don Rosa l'impresa di Francis Drake, del quale ci viene perfino mostrato un suo discendente, Carolambo. Ma le citazioni non si limitano appunto al panorama statunitense: il protagonista di questa storia è dunque Sgrizzo, quarto cugino di Paperino introdotto in Sgrizzo il più balzano papero del mondo (Scarpa, 1964) e già ripreso dallo stesso Boschi in Una baita per Ciccio (Boschi/Scarpa, 1997), e Gedeone menziona l'avo Pap Mc Paper, co-protagonista in Paperino e la leggenda dello «scozzese volante» (Scarpa, 1957). 

Tre personaggi scarpiani in un'unica vignetta

Si tratta della prima di tre storie (tutte sceneggiate da Boschi) in cui Sgrizzo lavora per il Grillo Parlante. Da notare come il protagonista si riferisca a Gedeone come suo “bis-zio di secondo o terzo grado”, riadattando così l'improbabile parentela proposta da Scarpa tra lui e Paperino.

Gedeone riappare quindi in La grande corsa Paperopoli-Ocopoli (Boschi/Faccini, 1998) e Sgrizzo cronista di spettacolo (Boschi/Ferraris, 1999), per poi comparire in una tavola autoconclusiva dal titolo Paparazzo Yè-Yè (Sisti/De Lellis, 2004), pubblicata sul volume della collana Disney Parade dedicato a Paperetta. Nelle storie di Boschi (ad eccezione di quella disegnata da Faccini), Gedeone sembra essere ringiovanito, mostrando una folta capigliatura castana, mentre De Lellis recupera invece il design delle illustrazioni scarpiane (con tanto di “sopracciglioni”). A oggi, le storie di Boschi sono le ultime in cui Gedeone dirige il Grillo Parlante (sostituito in tutte le successive dal Grillo della Sera).

Gedeone nelle sue tre apparizioni sceneggiate da Luca Boschi

Passano quasi dieci anni ed è nuovamente Carlo Panaro a interrompere l'assenza del personaggio dalla carta stampata, riportandolo sulle pagine in Paperetta Yè-Yè e il verde paese (Panaro/Dalena, 2013). Come si intuisce dal titolo, viene qui riproposta la dinamica de I gatti indossatori e Gedeone — che appare solamente in due tavole su trentadue — viene presentato come editore e direttore del Grillo della Sera. Lo stesso Panaro è fautore della successiva apparizione del personaggio, in Il malfunzionamento (Panaro/Baldoni, 2014), in cui il direttore del Grillo della Sera ha a che fare per la prima volta (documentata) con l'inventore Archimede Pitagorico. In entrambe le storie, Gedeone sfoggia il look delle illustrazioni scarpiane più recenti.

Passano i decenni, ma Gedeone rimane sempre molto indaffarato

Gedeone ha poi un ruolo chiave nella lunga Zio Paperone e il segreto di Cuordipietra (Artibani/Perina, 2017), nella quale viene attirato in trappola dal miliardario sudafricano Cuordipietra Famedoro per poi essere usato dallo stesso come esca per Paperone, facendo leva sul lato sentimentale del papero più ricco del mondo.

Cuordipietra fa leva sui sentimenti di Paperone

È alla fine di questa avventura che i due fratelli recuperano il legame da tempo messo da parte. Qui, Gedeone è rappresentato graficamente come ne I gatti indossatori. Da notare come Artibani tenti di inserire Gedeone nelle coordinate proposte da Don Rosa; esclama infatti Paperone nella penultima vignetta della storia: “Tutto è cominciato con i nostri genitori, Fergus e Piumina! Insieme a me e Gedeone c'erano anche le nostre sorelle Matilda e Ortensia...

I due fratelli si ricongiungono

In seguito a questo riconciliamento, l'autore Vito Stabile decide di sfruttare le diverse caratterizzazioni dei personaggi (avventuroso e visionario Zio Paperone, e sedentario e ‘concreto’ Gedeone”) per dare vita a una serie di storie da dieci pagine in cui i due partono assieme per nuove avventure. I fratelli De' Paperoni (questo il titolo della serie) conta al momento tre storie: Lo scarabeo d'oro (Stabile/Asaro, 2020), Il cilindro del potere (Stabile/Meloni, 2020) e Il formaggio perpetuo (Stabile/Coppola, 2020). Da notare che lo Scarabeo d'Oro era il quotidiano di Paperone nella prima apparizione del fratello giornalista. A differenza de Il segreto di Cuordipietra, Gedeone recupera qui il design più utilizzato dell'ultimo ventennio: occhialoni rossi, papillon al posto della cravatta e niente folte sopracciglia. 

Gedeone nelle tre storie sceneggiate da Vito Stabile

A oggi, l'ultima storia in cui appare Gedeone è Paperino e il torneo del Re (Panaro/Palazzi, 2022), una storia in costume in cui veste i panni di Gedeone Paperingio, fratello di Papero Magno scomparso in mare da tanti anni.

Gedeone Paperingio assieme al fratello


Il Gedeone di Zanchi

Il Gedeone di Intini

Ufficialmente, l'età di Gedeone non è mai stata rivelata. Nella scheda del personaggio pubblicata nel primo volume de L'opera omnia di Romano Scarpa, Becattini ne attesta la data di nascita intorno al 1910, ma ciò contraddirebbe quanto affermato dallo stesso Gedeone nella sua prima storia a proposito dei suoi quarant'anni di attività. Ad ogni modo, nel volume Romano Scarpa. Sognando la Calidornia (Becattini, Boschi, Gori, Sani, 2001), così come nella traduzione americana de I gamberi in salmì (Gray, 2015), in questo redazionale firmato da Valerio Paccagnella (2018) e nelle prime due storie del ciclo I fratelli De' Paperoni, viene riconosciuto come fratello minore di Paperone.

Lo scarso e altalenante successo che ha ottenuto questo personaggio  apparso in un totale di 20 storie in 66 anni  non gli ha permesso di diventare membro fisso del clan dei Paperi né di essere particolarmente conosciuto all'estero, da dove arriva invece un altro fratello di Paperone: il fratellastro Rumpus McFowl, introdotto come zio di Paperino in It's All Relative (Van Horn, 1994) e apparso anch'egli in un totale di 20 storie tra il 1994 e il 2014 (tutte scritte e disegnate da William Van Horn). 

Va comunque tenuto in considerazione che Francisco Angones (showrunner del reboot di DuckTales) è a conoscenza dell'esistenza di Gedeone. In un post sul suo profilo Tumblr datato 4 luglio 2018, in risposta alla domanda di un fan che chiedeva quanti fratelli avesse Paperone, Angones sentenzia: “Al momento solo Ortensia e Matilda. Non ci sono piani immediati per Gedeone.”

La sconvolgente rivelazione di Rumpus McFowl in Travails (Van Horn, 2000)

Per rimanere in terra straniera, ritengo doveroso citare la striscia giornaliera del 4 maggio 1966 (Karp/Taliaferro, 1966), in cui Nonna Papera menziona un fratello senza nome di Zio Paperone, e la bellissima illustrazione di Daan Jippes realizzata come copertina del ventunesimo numero della fanzine danese Rappet (2013).

Il fratello di Zio Paperone



Il Gedeone di Jippes inchiostrato e a colori

Per concludere, trovo interessante menzionare un soggetto mai realizzato, descritto dallo stesso Scarpa nell'intervista pubblicata nel volume Romano Scarpa. Sognando la Calidornia. Dice Scarpa: “Ma [il Grillo Parlante] è in ribasso. Forse scriverò una storia in cui, sottobanco, Paperone stesso gli farà superare le difficoltà di bilancio.

© Disney per le immagini pubblicate.