lunedì 6 novembre 2023

Una chiacchierata con... Francesco Guerrini

Qualche mese fa, ho avuto il piacere di conoscere Francesco Guerrini, disegnatore di fumetti Disney dal 1990 dal tratto unico e inconfondibile. Abbiamo avuto una lunga chiacchierata in cui si è ripercorsa la sua carriera e si è svelato qualche retroscena su alcune storie da lui disegnate. Buona lettura!

Francesco Guerrini (febbraio 2023)

SC: Simone Cavazzuti
FG: Francesco Guerrini

SC: Il tuo primo lavoro pubblicato è un'illustrazione raffigurante tanti volti di Paperino, vero?

FG: Quella era un'esercitazione che avevo fatto per me copiando le facce da Vita e Dollari di Paperon de' Paperoni, quel piccolo Oscar [Mondadori, ndr.] che era il “vangelino” dei disegnatori finché non si sapeva chi fosse Barks. L'ho portata a Milano, alla Disney, prima ancora di cominciare a disegnare le storie, e il direttore Capelli l'ha vista e ha detto: “La teniamo”, io ho detto: “Ma io veramente...”, “No, no, no, la prendiamo, la prendiamo”, e non so se mi abbiano dato un qualcosa tipo ottantamila lire, una cosa del genere. L'hanno pubblicata e bisognava indovinare quanti personaggi ci fossero. C'erano, mi sembra, poco più di duecento facce, solo che l'hanno pubblicata a doppia pagina; perciò, quelli che erano andati a finire al centro, in rilegatura, si vedevano male. Deve essere stato prima della prima storia, che poi è uscita su Paperino Mese.

La prima illustrazione pubblicata (su Topolino 1782, 1990)

SC: E come è stata, questa prima storia?

FG: Era una storia che io continuo a dire, sbagliando, che è di Carlo Panaro [in realtà, risulta accreditata a Giorgio Pezzin, ndr.]. In origine, si chiamava Paperino e il fascino dell'Agricoltura, ma poi le è stato messo un titolo che, praticamente, svelava il finale: Paperino e il minerale venuto da lontano. Questo minerale era un meteorite, di un metallo preziosissimo per le comunicazioni ma dannosissimo per l'agricoltura, che rovinava il lavoro agricolo di Paperino, che prima voleva fare il contadino e poi l'agriturismo. Per cui, la gag finale era che il terreno fosse assolutamente improduttivo per colpa di questo minerale e, metterlo nel titolo, per me, è stata una scelta opinabile.

Un'altra volta, mi è successa una cosa quasi analoga: c'era una storia basata tutta sull'equivoco di un pirata che aveva un galeone che non navigava e si doveva vedere soltanto nelle ultime tavole, che questo galeone in realtà era un'isola, modellata a galeone, con degli scogli intorno per attirare le navi e farle naufragare, e il pirata le assaliva. Si vede che, per distrazione, all'ultimo momento, lo sceneggiatore ha messo che nella splash page, cioè nella sestupla iniziale, si dovesse vedere un'isola a forma di nave. Ho telefonato alla redazione e ho detto: “Scusate, se deve essere un mistero fino alla fine, come si fa a metterlo nella prima pagina?”, così me l'hanno fatta cambiare, nonostante che la sceneggiatura fosse di uno molto famoso.

SC: Capita spesso di confrontarsi con gli sceneggiatori?

FG: A volte, gli sceneggiatori scrivono cose che non si riescono a disegnare oppure mettono vignette grandissime con una battuta singola oppure vignette piccole con dei botta-risposta o addirittura delle sequenze quasi cinematografiche da mettere in tre o quattro vignette: Paperino esce di casa, inciampa, va nella pozzanghera, si alza e dice “Quack!” Questa è una sequenza, non è una vignetta, come si fa? Bisogna imparare a calibrare le cose. Io guardo molto Barks e si vede che Barks ha una grandissima esperienza in sceneggiatura di cartoni animati. Infatti, nelle prime storie, spesso le comincia già a metà dell'azione, mentre invece, purtroppo, molte volte c'è tutta una preparazione di battutine, eccetera eccetera. Le storie di Barks, se venissero fatte a sei vignette, come in Topolino, prenderebbero dodici, massimo tredici pagine. E, in ottanta vignette, succede di tutto. Io non me ne ero accorto che metà delle storie di Barks fossero dieci pagine, me le sono dovute andare a rivedere quando ho letto il libro di Saccomano e altri [Introduzione a Paperino, ndr.], che diceva: “Sono storie da dieci pagine”, “Come dieci pagine?” Sono andato a vedere ed erano tutte di dieci pagine... succede un mucchio di cose!

Particolare da Paperino & la Moda del Pavone (Gualtieri/Guerrini, 2023)

SC: Ci sono state volte in cui sei intervenuto sulle sceneggiature, aggiungendo o sistemando dettagli o parti di trama?

FG: Ad esempio, realizzando il prequel del Cimiero vichingo. Il testo non mi piaceva e, allora, ho chiesto a Davide Catenacci [caporedattore comics del settimanale Topolino, ndr.] se potevo fare qualche modifica. Me l'ero proprio presa a cuore, questa storia. Avevo introdotto gli antenati degli indiani Pikoletos (Peeweegahs in originale), che interagiscono sia con i Vichinghi che con i Paperi. Non ho potuto scrivere tutto in rima, ma ho scritto tutto quanto in versi ottonari. Hanno tolto molti di questi fumetti perché “occupavano troppo posto”. Mi sono documentato veramente molto sui villaggi. In Norvegia, fanno le vacanze vichinghe: hanno i villaggi vichinghi, cucinano alla maniera vichinga, si vestono vichingo... E ho messo anche delle ricostruzioni prese dal vero. 

Credo di aver fatto un lavoro abbastanza approfondito. Ogni volta, davo dei titoli diversi sia a Paperino che ai nipotini e questo l'ho letto da storie orali messe per iscritto soltanto nel Settecento/Ottocento da qualche letterato che si era interessato alla materia. Odino veniva chiamato successivamente, nei racconti orali, tutte le volte con caratteristiche diverse. Avevo introdotto un paio di gag in cui Paperino è geniale, qualche altra volta è tonto e ho scritto più della metà delle pagine. Avevo curato anche delle “stupidaggini”, particolari che possono sfuggire, tipo: partono tre navi, la prima nave che è già partita ha già le vele spiegate, la seconda nave sta issando le vele, la terza nave è ancora a remi. Non si nota, sono quelle cose che dici: “Se non lo sai, non lo vedi”, però io ho pensato: “Se un lettore ha fatto un piccolo corso di vela, secondo me se ne accorge”. Non si parte mai a vela dalla riva o dal porto, bisogna andare un po' in là. Poi, anche il fatto di tirare su le vele con l'argano: le vele non sono una bandiera, pesano. In sceneggiatura non c'era, l'ho messo io. “Stupidaggini”, però ho voluto curare queste cose.

SC: È mai capitato che uno sceneggiatore gradisse poco questi tuoi interventi?

FG: Mi è capitato una volta di abbreviare una storia e lo sceneggiatore si è arrabbiato a mille. Ho tagliato delle pagine e lui ha detto: “Non la firmo”. Hanno messo un nome falso. Dopodiché, sono uscite delle buone recensioni, hanno scritto: “Guerrini ha fatto questa storia, dove c'è questo nuovo sceneggiatore, ed è bella”. Dopo, lui mi ha detto: “Quello che è giusto è giusto, riconosco che hai fatto un bel lavoro”, però all'inizio se l'era presa perché gli avevo cambiato delle gag.

SC: Il disegnatore quanto margine ha di cambiare e aggiungere cose?

FG: Il signor Carpi diceva: “Il disegnatore è l'ultimo regista”. Ultimamente, sono molto più “severi” sulle sceneggiature, anche perché dall'America ricevono molti “fermini”, hanno molti “paletti”. Ad esempio, proprio ieri, Davide Catenacci mi ha telefonato dicendo: “Non mettere mai più nelle storie animali che non abbiano il becco”. Io faccio sempre storie di Paperino e gli unici personaggi che non hanno il becco sono i Bassotti, Lusky e Battista. Mi ero divertito a fare, alla maniera di Barks, molti colleghi di Paperone, miliardari, che erano animali differenti. Avevo messo un bufalo vestito da texano, un cavallo vestito da cavallerizzo inglese e vari altri personaggi al Club dei Miliardari. Dovevo mettere 10/15 personaggi, tutti paperi, e non sapevo più come fare. Allora, ho introdotto altri animali. E, invece, la Disney ha chiesto di limitare la cosa, motivando: “Le storie a fumetti non devono sembrare Zootopia...”

Alcuni miliardari "atipici" da Un C.E.N.T. per il Club dei Miliardari (Gagnor, Valentini/Guerrini, 2023)

SC: Le tue prime storie sono dei primi anni Novanta...

FG: Sì. Nell'Ottantanove è partita la Disney Italia e c'erano dei cartelli “mercoledì esci con un amico”. In quel periodo, stavo facendo il disegnatore per la pubblicità e, un giorno, ho detto: “O faccio un salto oppure mi riduco a fare gli scarabocchini, i Santini sui marciapiedi”, come diceva Castelli. Allora, ho detto: “Adesso prendo il telefono”, ho guardato su Topolino, ho telefonato: “Pronto, sono un disegnatore di Bologna e volevo chiedere se posso mandare dei disegni e a chi posso rivolgermi”, e la segretaria che mi ha risposto mi fa: “Le passo Carpi”. Io, dopo un attimo di silenzio, faccio: “Quel Carpi?”, “Sì, sì, quel Carpi”, e mi ha passato Giovan Battista Carpi, che in quel momento stava organizzando tutto quello che poi è diventata la Scuola Disney, l'Accademia Disney. Ha detto: “Sì, sì, portami dei disegni”. Era l'inizio dell'estate, ho passato tutto agosto a fare dei gran disegni guardando Vita e Dollari di Paperon de' Paperoni e gli ho portato questo paccone, saranno stati cinquanta fogli. Lui ha guardato e ha detto: “Sì, va bene, come matitista ci sei”.

SC: Come è stato, in seguito, il tuo rapporto con Carpi?

FG: In realtà, Carpi non faceva lezione di disegno, parlava più che altro di come bisogna pensare la cosa. Infatti, di suggerimenti tecnici, ne dava pochissimi: la rotondità della testa, la piega del becco, il disegno delle orbite degli occhi di Paperino, poca roba. Non faceva scuola di disegno, però, secondo me, come insegnante era insuperabile perché diceva: “Tu guarda tutto quello che ti piace, guarda questo, guarda quello, guarda quell'altro, impara copiando, dopodiché fai da solo”. E, a differenza di altri, che magari hanno detto: “Fai come faccio io”, lui non l'ha mai detto. Solo questi particolarini tecnici, proprio piccolezze, diciamo trucchettini, finezze del disegno, ma mai: “Fai il papero come faccio io”. Infatti, tutti quelli che sono stati allievi di Carpi, alla fine, si sono diversificati tantissimo. Considera che erano persone come Roberto Santillo, Silvio Camboni, Fabio Celoni — che aveva già fatto la scuola di fumetto —, Mottura, Faccini...

Ziche, Mastantuono e Intini erano andati, invece, a lezione da Giorgio Cavazzano. Infatti, all'inizio, disegnavano un po' come lui. Però, evidentemente, lui è stato capace di dargli delle indicazioni e loro hanno del talento e non sono più “Cavazzano”. Qualcun altro scopiazzava un po' e infatti sarebbe stato meglio non fare così. Certe volte, c'erano dei disegnatori che si confondevano quasi con Cavazzano, ma questo non è un bene. Andrea Freccero, che adesso è diventato supervisore artistico, è stato allievo personale di Carpi. All'inizio, disegnava come lui, però, dopo, è stato assolutamente capace di diventare Freccero. So che esistono dei perfetti “falsi Carpi”, perché mi ricordo una scena buffa: a Lucca, un tizio venne un paio di volte o tre a presentarsi al signor Carpi dandogli dei pacchettini di cartoline postali: “Per favore, maestro…”; il signor Carpi mi guarda e fa: “Lui crede che io non capisca che dopo li va a vendere?” Per cui, passava questo pacchettino di cartoline postali a Freccero, che, di sera in albergo, invece di dormire, disegnava alla maniera di Carpi. Dopodiché, la mattina dopo, lui firmava. Siamo tornati a Lucca quando è stata fatta la storia più lunga del mondo [Ciccio e il compleanno sottosopra, ndr.], non mi ricordo in quanti fossimo, ma in molti.

SC: Quante pagine avete disegnato a testa?

FG: Una striscia, intorno alle sei vignette. Io credo di avere avuto quattro vignette singole e una doppia, se non sbaglio. C'era questo tendone in piazza e tutti i disegnatori avevano i loro sketch, i loro storyboard. Era anche piovuto e, dopo che era stato sbaraccato tutto, c'erano gli appassionati che andavano a tirare su i fogli dei disegnatori famosi dalle pozzanghere.

Particolare da Zio Paperone & la Palandrana del Sartomante (Giunta/Guerrini, 2023)

SC: Tornando un po' indietro, ti va di dire qualcosa su Zio Paperone e l'inversore gravitazionale?

FG: Quella l'ho scritta io. Ho anche sentito che Romano Scarpa ha detto: “Oh, ci ha voluto metter dentro tutto”. Mi ero molto ispirato al modo di fare di Barks: c'era un fatto iniziale che generava una seconda parte della storia. Mi ero divertito. C'erano dei momenti in cui Paperino era geniale e dei momenti in cui Paperino era stupido, un po' come faceva Barks.

SC: E questa l'hanno pubblicata anche in Brasile, recentemente...

FG: Quando sono stato a Desenzano, alla mostra per i novant'anni di Topolino organizzata da Federico Fiecconi, si presenta questo omino, che era Thiago Gardinali, dicendo: “Io sono un giornalista, posso intervistarti?” “Sì, va bene.” Poi, così, di punto in bianco, mi fa: “Vuoi venire in Brasile?”, io gli ho risposto: “Sei sicuro?” E, così, mi ha invitato in Brasile. Era sotto Pasqua del ‘19.

SC: Chi è Thiago Gardinali?

FG: Al momento in cui mi si è avvicinato, credevo che fosse un topo di redazione, ma è un giornalista d'assalto. Possiede uno studio radiotelevisivo, è andato in tutto il mondo ed è così alla mano, veramente un amico, simpaticissimo, cordiale, gentile. Conoscendo le lingue, traduce i fumetti per Culturama [attuale casa editrice di comics Disney in Brasile, ndr.], però è uno che viaggia il mondo per fare il telecronista. È pazzesco. Mi ha dato la sua amicizia e sono contentissimo perché è una persona eccezionale e fa anche queste cose modestissime: “Ho tradotto una tua storia, mi sono divertito!”.

SC: E, invece, come hai conosciuto Federico Fiecconi?

FG: Federico l'avevo conosciuto qui a Bologna perché mi aveva fatto fare dei lavoretti non Disney, delle copertine per delle raccolte di canzoni dello Zecchino d'Oro. Gli ho telefonato dicendo: “Mi piacerebbe venire a vedere la mostra, ma una volta che ci sei tu che me la spieghi”. Mi fa: “Vieni a disegnare”. Così, sono andato lì alcuni fine settimana e facevo dei disegni omaggio a richiesta. Ho anche fatto dei piccoli laboratori di disegno, spiegavo brevissimamente in venti minuti come si fa a disegnare un personaggio.

SC: … e come si fa a disegnare un personaggio?

FG: Non ci sono segreti, ci sono solo delle regole di disegno. L'unico segreto è che bisogna avere voglia di stare tante ore seduti a disegnare. Se uno non ha voglia di disegnare, non ce la fa.

Tutto parte da un cerchio

SC: Quanto è importante il ruolo del disegno nel medium fumetto?

FG: È il disegno che racconta. Le parole spiegano qualcosa, ma il disegno deve raccontare. Poi, ci sono quelli che fanno il fumetto dove non succede niente, ma lo fanno apposta. Se devi fare capire che uno è un fornaio, lo vesti da fornaio. Se lo metti in abito da sera, devi sapere il perché: è una gag? È a un ballo? Non devi far capire che è un fornaio? E via così... Il buffo dei Bassotti, che anche quando sono travestiti hanno la maschera, è la stessa cosa di Spirit di Eisner che è continuamente con la maschera.

SC: Come mai disegni solo storie di Paperi?

FG: La prima volta che Massimo Marconi, il caporedattore di Topolino, mi ha dato una sceneggiatura, mi ha chiesto se volessi Topi o Paperi. Sono andato per passione e ho chiesto Paperi; da allora, sono andato avanti così. Il fatto è che Topolino deve vincere, minimo minimo deve pareggiare, e invece Paperino è buffo anche quando perde. Nelle strisce disegnate da Gottfredson, Topolino ne faceva di tutti i colori e, oltretutto, delle volte, perdeva anche. Era un mascalzoncello. Adesso, non è più possibile.

SC: Hai disegnato alcune storie di PK...

FG: Sì, è stata una gran bella occasione.

SC: In Terremoto, ad esempio, compaiono alcuni personaggi per la prima volta, come la Flagstarr. Li hai concepiti graficamente tu o esistevano degli studi?

FG: Sì, anche il villain. È stata una cosa molto interessante perché, nella prima serie di PK, si facevano le riunioni sceneggiatori-redazione-disegnatori e la ricordo come una cosa particolarmente interessante perché mi hanno detto: “Adesso tu disegni questo”, ho dato una scorsa al soggetto e, parlando con Artibani, gli ho detto: “Magari, quando deve entrare Morgan Fairfax, mi piacerebbe fare una presentazione copiata dalla leggendaria prima tavola di Steve Canyon, analizzata da Umberto Eco”. Per cui, il personaggio incontra altri, saltano fuori le sue qualità e appare buono, solo alla fine si scopre che in realtà è così troppo buono che diventa cattivo. Poi, alla fine, dicono a PK qualcosa come: “Com'è che non la smetti? non hai capito che stai perdendo?” Io avevo visto due o tre volte il film di Cyrano con Depardieu, che mi piace tantissimo, e ho detto: “Facciamogli dire una frase à la Cyrano”; “Solo chi deve rovesciare la sorte lotta fino all'ultimo! Chi sa di aver già vinto non combatte”, e lui ce l'ha messa. Era bello il fatto di poter collaborare. Ora, invece, arrivano le storie, ma è difficile poter interagire con lo sceneggiatore. Secondo me, quella “tempesta di cervelli” era il massimo che si potesse avere perché c'era l'interazione tra chi racconta con le parole e chi racconta col disegno.

Una deliziosa interpretazione di PK

SC: C'era anche un bel coinvolgimento con i lettori...

FG: Sì, perché era una bella novità. Io l'ho scoperto in edicola perché avevano tenuto tutto segreto, vado in edicola e vedo il numero 0. Ed è stata una gran cosa il fatto che l'abbiano fatto inventare ad Alberto Lavoradori, perché mi hanno detto che avevano fatto fare delle prove anche ad altri, ma, lungimiranti, non avevano voluto fare un “Paperinik”.

SC: … se hai scoperto PK in edicola, come hai fatto a entrare nella redazione?

FG: Ero a Milano, in ufficio da Ezio Sisto [responsabile del progetto editoriale PK, ndr.], e c'era Simone Stenti e sono stati così buoni da chiedermi: “Te la sentiresti di disegnare PK?” Io ho risposto: “Io disegno tutto quello che volete!” “Bravo, questo è lo spirito!” E, così, mi hanno messo nel team.

SC: È stato difficile entrare in quella mentalità, quel tipo di struttura?

FG: No, è stato molto interessante. Giovan Battista Carpi diceva: “La gabbia non è un limite, ma una spinta”. Era tutto scritto in sceneggiatura.

Esempi di sperimentazione visiva in Terremoto (Artibani/Guerrini, 1997)

SC: … e Carpi cosa ne pensava di PK?

FG: A me non l'hai mai detto. Mi hanno detto che non l'amava perché, essendo il creatore di Paperinik, non amava queste narrazioni parallele.

SC: … e, a proposito di storie firmate con nomi falsi, proprio in PK, abbiamo conosciuto Paul Ackerman...

FG: Era la prima storia che aveva fatto Stefano Intini di PK. Lui aveva disegnato tutti i PK come i “suoi” paperi e, siccome volevano uno stile differente, hanno dato le sue tavole a otto o nove allievi dell'Accademia Disney, che li hanno ridisegnati. Perciò, ci sono otto o nove tipi di paperi diversi: c'è un Donald — disegnato all'americana —, c'è un Paperino, c'è un PK... e lui ha detto: “Io non la firmo”. Quando in redazione l’hanno riferito al direttore Paolo Cavaglione, lui ha detto un nome a caso di un giornalista americano, che adesso è accreditato come autore di una storia di PK.

SC: La tua prima storia è del '90 e ora siamo nel 2023. Sono passati trentatré anni...

FG: … e non è cambiato niente. Il lavoro creativo si svolge sullo storyboard, che è la parte più divertente perché lì si inventa: leggi la sceneggiatura, cerchi di capire, cerchi di vedere cosa volesse lo sceneggiatore, si prova a rendere anche bello da vedere il disegno, cerchi di raccontare anche qualcosa che lui non ha pensato e che magari ti viene meglio. Si va a scarabocchi. Dopodiché, si ricopia tutto quanto per bene.

SC: Il tuo stile, molto dettagliato, è sempre stato ben riconoscibile per me, ma mi sono sorpreso vedendo che in realtà hai realizzato “poche” storie: 120 lunghe più una quarantina da una tavola...

FG: Sono lentissimo. Ho fatto 5/6 storie all'anno, 7/8 al massimo.

SC: Il tuo stile mi ha sempre un po' ricordato Don Rosa, sbaglio?

FG: Questa mi è nuova. A me Rosa non piace come disegnatore, però devo riconoscere che, come sceneggiatore, non è male. Anche se alcune sono un po' delle forzature perché andare per forza a ricostruire quand'è che è nato quello, quand'è che è nato quell'altro, chi è la moglie e il suo marito... Quando poi, nelle storie di Barks, la volta che devono esserci delle gag sul fiume, Paperino abita sul fiume, le volte che ci sono delle gag con i vicini, Paperino abita nella stradina dove ci sono Paperina, Gastone, Archimede... abitano tutti lì. Altre volte, ancora, c'è il vicino Jones... A seconda della storia, Barks costruisce la città come scenario, come comprimario del personaggio.

Suggestive vedute di Paperopoli

SC: Possiamo dire che Barks sia un punto di riferimento imprescindibile?

FG: Imprescindibile. Se uno non tiene conto di Barks, come fa a disegnare i Paperi?

SC: Quindi, immagino l'emozione quando hai dovuto disegnare Il dollaro fatale...

FG: Sì, ma non si può rifare un'opera d'arte. Mi sentivo super onorato, ma assolutamente inadeguato. Ho dovuto anche inventare alcune gag funzionali alla storia che mancavano in sceneggiatura.

SC: Lavorando con sei direttori differenti, volevo chiederti se il tuo rapporto con loro fosse diverso.

FG: Bertani è molto più visibile. Il direttore Capelli io l'ho visto due volte in tutto. Ognuno ha il suo modo: Capelli era proprio “il direttore”; Massimo Marconi è il primo caporedattore che non è passato a dirigere, peccato perché conosceva tutto e tutti; Paolo Cavaglione anche era un po' “il direttore”; Bono l'ho visto una volta sola; la Muci era una persona molto particolare perché non conosceva i fumetti, però aveva un rapporto molto buono con tutti i disegnatori; la De Poli, invece, la conoscevo perché era l'assistente di Elisa Penna e ci scherzavo sopra col fatto che era diventata direttrice.

SC: Un insegnamento che ti hanno lasciato?

FG: La Muci mi ha detto una cosa che mi ha molto scosso: “I tuoi personaggi sono sempre nervosi, arrabbiati, hanno sempre qualcosa che non va”. Ci ho fatto caso e aveva ragione. Anche Marconi mi diceva, giustamente: “Tu fai sempre delle storie sopra le righe”. Se tutte le tavole hanno azioni sparate, diventa tutto quanto isterico e non va bene. Bisogna alternare emozioni, tempi e inquadrature. In questo, Carpi era un maestro.

Un Paperino decisamente arrabbiato

SC: Un ricordo di Capelli?

FG: Una volta, ha rifiutato una mia storia. Io non ho mai avuto un buon rapporto con il pennello e l'avevo inchiostrata molto pesante. Era una storia in tre puntate di Nino Russo e due puntate le ha dovute inchiostrare un altro. Poi, per la storia successiva, non ho avuto un rifiuto ed ero preoccupato che il direttore non me la volesse far fare, ma Massimo Marconi mi ha detto: “Non è arrabbiato con te perché lo hai spiazzato, chiedendo scusa per il tuo errore, mentre altri avrebbero voluto difendere il lavoro e discutere!” 

SC: Con il pennello, va meglio ora?

FG: Dopo tanti anni, ho preso più confidenza con il pennello. Trent'anni fa, Roberto Santillo mi ha detto: “Sembra che hai la traccia di matita sotto e poi, dopo, rifai il disegno da zero con il pennello, tenendola soltanto come traccia”. Finalmente, credo di aver capito e, negli ultimi anni, sto cercando di fare il tratto a pennello che c'entri di più con la matita, perché la matita è sempre bella. Anche Gottfredson diceva: “Disegnare a matita è un ruscello di montagna, quando devi inchiostrare è un canale di acqua lenta in pianura”.

SC: … e con Freccero che rapporto c'è? Ti dà delle indicazioni?

FG: Freccero è un amico. Mi ha detto che sono troppo pasticcione e che riempio troppo le vignette. Bisogna imparare sempre. Diventato supervisore artistico, mi ha detto: “Lavoriamo per sottrazione, non per aggiunta”. Io cerco di vedere cosa fanno di buono gli altri e se riesco a imparare da loro.

"Z!"

SC: Per concludere, cosa ne pensi delle nuove serie e del nuovo tipo di storie pubblicate oggi sul settimanale?

FG: Stanno cercando di fare una cosa estremamente giusta. Anche il signor Carpi diceva: “Le storie devono essere assolutamente attualissime, i lettori piccoli devono riconoscersi”. È per quello che non disegniamo più una persona che fa finta di essere un telecronista con uno scatolone in testa, perché nessun bambino ha mai visto un tubo catodico. Tutti i televisori sono piatti. Ci sono i video, in rete, dove fanno vedere il telefono a disco a certi ragazzini che non sanno neanche cosa sia la cornetta... Non si possono più disegnare i grandi letti con i pomi di legno dove i tre nipotini dormono insieme perché i bambini non hanno mai visto una cosa del genere. Il fatto che ci siano i computer, i cellulari, il cloud, eccetera deve diventare fonte di nuove gag. 

Il direttore l'ha ribadito, ma ricordo che l'aveva già detto Carpi: “L'umorismo Disney non può essere quello delle torte in faccia”. Sì, una volta o due, Barks ha disegnato le torte in faccia, ma non stiamo guardando Wile Coyote, che aspetti soltanto che cada nel burrone, e nemmeno Tom e Jerry, con la cassaforte che gli piomba in testa e lui diventa una fisarmonica. L’umorismo Disney deve nascere dalle situazioni, deve essere una comicità à la Buster Keaton, non à la Stanlio e Ollio, che cascano dal tetto, pure se sono comici in modo insuperabile. Ma tutti loro fanno film, nel fumetto c'è di meno e c'è di più, basta guardare Jacovitti.

Il giovane Paperino da Topolino giornalista (Osborne/Gottfredson, 1935), suo zio Gedeone e Lyla Lay di Canale 00 convivono in questa bellissima illustrazione realizzata dal disegnatore bolognese per il sottoscritto

© Disney per le immagini pubblicate.

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