mercoledì 16 ottobre 2024

Integrazioni e riflessioni aggiuntive sulla genealogia gastoniana

Chi segue il blog con attenzione sa che vi ci può trovare i frutti di ricerche durature e non poco impegnative, che mi è possibile condurre grazie a una irrefrenabile curiosità naturale, a una collezione di fumetti sempre in espansione e a una rete di contatti con altri appassionati e autori delle pubblicazioni disneyane. Uno di questi approfondimenti, tra quelli più corposi e  a mio avviso  più interessanti, ha dato come risultato l'albero genealogico della famiglia Paperone (Gander), che si è guadagnato pure una propria pagina all'interno dell'enorme e utilissimo database INDUCKS.


Per quanto riguarda i vari ragionamenti che hanno condotto alle motivazioni dietro ai gradi di parentela presentati, rimando al post originale, in cui ogni singolo legame è raccontato con premura. Infatti, ciò su cui vorrei concentrare oggi la mia attenzione è il personaggio di Olivia Duck, zia di Gastone introdotta in I cieli di Farmtown (Nucci/Zanchi, 2023), di cui ho già scritto qui. Finora, Olivia non era stata integrata nel mio albero genealogico perché ritenuta probabilmente una zia da parte di madre... ma le cose stanno davvero così?

Come già riportavo, storicamente, la fortuna di Gastone sembrerebbe provenire dalla famiglia del padre, dai Gander. Testimonianze a favore di questa tesi sono riscontrabili nell'articolo “FINE FEATHERED FRIENDS: THE DISNEY DUCKS. Part two: Gyro Gearloose, an interview” (Nichols, 1985), nonché in storie come Paperino e il festival dei paperi (?/Strobl, 1955), Le GM e l'aspirante Marmotta (Gregory, 1981), la striscia giornaliera del 28 ottobre 1992 (Knighton, 1992) e Gastone e la luna storta (Faccini, 2014). In minorità numerica è, invece, la tesi che vorrebbe la buona stella di Gastone ereditata dalla madre Daphne, come mostrato in Paperino e lo scalognofugo triplo (Rosa, 1998).

Come si colloca zia Olivia in questo marasma? Ai tempi de I cieli di Farmtown, ipotizzavo che Olivia potesse fungere da sostituto per Daphne e che potesse essere sua sorella. Un'altra ipotesi avanzata, giustificata dalla breve interazione tra Olivia e Nonna Papera (che, in quel caso, avrebbe dovuto esserne la madre) mostrata nella storia, era che Olivia potesse essere la cognata di Nonna Papera e, dunque, prozia di Gastone... Ma tutto ciò veniva smentito senza pietà dal redazionale Primo premio... o primo piano?!” (Agrati, 2024), in cui la giornalista del settimanale non lasciava scampo a interpretazioni personali, scrivendo laconicamente: “Per parte di padre, anche la zia Olivia era nelle grazie della Dea Bendata”.

Zia Olivia interpretata da Stefano Intini

Certo, il cognome Duck non aiutava, ma Gastone ha un cugino chiamato così che non è imparentato con Paperino: Disraeli Duck. Ho controllato l'albero genealogico in cerca di un possibile collegamento tra Disraeli e Olivia, ma non ho avuto fortuna. Se anche fossero stati imparentati, si sarebbe trattato solamente di una parente acquisita di Gastone e, come tale, non avrebbe potuto avergli tramandato la fortuna. Passano alcuni mesi e una luce si prospetta all'orizzonte. Una nuova avventura con protagonista la zia di Gastone, Gastone e l'illustre fortunato (Nucci/Intini, 2024), forse ci siamo! In effetti, questa storia è piuttosto generosa in materia di alberi genealogici e ci mostra alcuni antenati da cui Olivia e Gastone hanno ereditato la loro proverbiale buona sorte.

In ordine cronologico:

ZANOBIO DUCK (compitato Zenobio solamente nella prima pagina della storia)  nato nel 17xx e vissuto in Spagna e in Olanda a metà del secolo.
BUTTERFLY DUCK  nipote di Zanobio.
ALGERNON DUCK (Agenore Duck” nella didascalia a pagina due in qualche modo collegato a Butterfly.
BASILIO DUCK  vissuto nell'Ottocento, in qualche modo collegato ad Algernon.
OLIVIA DUCK  ultima discendente di questa fortunata stirpe.
GASTONE  nipote di Olivia.

Butterfly e Algernon

Non è chiaro quante generazioni passino esattamente tra Zanobio e Olivia poiché l'autore omette le varie parentele, limitandosi a sottintendere che, comunque, vi siano altri parenti di cui non si fa menzione. A ogni modo, Zanobio risulta essere il primo parente noto” dei due paperopolesi nati con la camicia, prima del quale i documenti genealogici faticano a giungere. Ed è proprio per questa ragione che Gastone si mette a girare per il Nord Italia alla ricerca di antenati precedenti dopo aver notato un'incredibile somiglianza con il protagonista di un ritratto cinquecentesco. Prospero Anatrini, Bertrandino da Monza, Marcovaldo Asdrubale Anatrini, Ottimo Massimo, Medardo, Terralbo, Mariuccia, Pancrazio, Isidora, Genoveffa e Patrizino Tantebellecose sono i nomi di biondi paperi incredibilmente fortunati (e somiglianti a Gastone), vissuti in Italia tra il 1500 e il 1700, appena prima di Zanobio Duck. Bisognerebbe forse considerarli suoi antenati? La storia non lo rivela, anzi, a dire il vero, lo nega, ma questo non impedisce a Gastone di continuare a sospettarlo.

Zanobio Duck

Comunque stiano le cose, tali nuove informazioni non risolvono il problema della collocazione di Olivia sull'albero e ci troviamo, ancora una volta, punto e a capo. Le opzioni, a questo punto, sono due e opposte: o si ignora il nome “Olivia” e il grado di parentela proposto e si leggono le storie come se quel personaggio fosse effettivamente Daphne oppure si accetta che Olivia sia davvero zia paterna e si tramuta il suo cognome e quello dei vari antenati in Gander. Per quanto la prima scelta mi affascini (e credo che Olivia potrebbe tranquillamente essere la madre di Gastone in-universe), propenderei per la seconda, siccome, anche considerando l'albero genealogico che ho riportato a inizio articolo, degli antenati di Gastone da parte di padre si sa poco e, a ben vedere, non si hanno loro tracce prima dal 1700... Il caso è chiuso!

Gastone, come me, impegnato nelle ricerche genealogiche

© Disney per le immagini pubblicate.

mercoledì 2 ottobre 2024

Eco del Mondo allo Stripfestival Breda

Si è da poco concluso lo Stripfestival Breda, una manifestazione fumettistica olandese che vanta, oltre a stand per l'acquisto di volumi, conferenze e aree per i più piccoli, la presenza di diversi professionisti del settore, disponibili per scambiare chiacchiere con i lettori, firmare albi e realizzare disegni originali. Per l'occasione, un giovane inviato dell'Eco del Mondo, Owen, ha rivolto un paio di domande a due fumettisti e copertinisti delle pubblicazioni Disney dei Paesi Bassi: Jan-Roman Pikula e Maarten Gerritsen. Buona lettura!

Jan-Roman Pikula (a sinistra) e Maarten Gerritsen (a destra)

EdM: Eco del Mondo
JRP: Jan-Roman Pikula
MG: Maarten Gerritsen

EdM: Ciao, Jan-Roman! Qual è il tuo personaggio preferito?

JRP: Ciao! Personalmente, mi piace molto Paperone. Sì, amo Paperone.

Due copertine di Pikula in cui Paperone è protagonista assoluto

EdM: Quali sono gli artisti che più hanno ispirato il tuo stile?

JRP: Beh, Barks è ovviamente il primo da citare, ma forse è una risposta un po' scontata. Quando ho iniziato, pensavo che Rosa fosse molto bravo, ma ora ora non disegno per niente come lui. La sua peculiarità è che ci sono così tanti dettagli ovunque, e lo trovavo davvero figo. Poi, mi piace molto Mau Heymans per la sua "follia". Il suo Paperino vive in un mondo assurdo, in una sorta di mondo strano tipo Looney Tunes... e questo lo apprezzo tanto. Per rispondere alla tua domanda, sono influenzato un po' da chiunque... anche da Floyd Gottfredson, di cui sono un grandissimo fan. Per illustrare la serie Mickey Lost ‘t Op, prendo molta ispirazione da Gottfredson.

EdM: Ci sono anche molti camei di suoi personaggi in quella serie...

JRP: Sì, mi piace molto inserirli. Me ne piacciono davvero tanti, di quei vecchi personaggi, e penso che il modo in cui Gottfredson ritraeva quel mondo sia grandioso e ne metto un po' in ogni mio lavoro, anche nelle storie dei Paperi.

Due tavole della serie Mickey Lost ‘t Op (da notare a sinistra la quantità di camei di personaggi tratti dalle storie di Gottfredson e non solo, mentre a destra lo stile tipico degli anni Trenta)

EdM: Quando realizzi l'illustrazione per una copertina riferita a una storia, come nel caso della collana Donald Duck Extra, come scegli la scena da raffigurare?

JRP: In quei casi, cerco di scegliere una scena che sia visualmente divertente, in modo che ci sia qualcosa da mostrare, ma provo sempre a evitare il climax alla fine della storia. A volte, per esempio, c'è una grande esplosione, ma non mi piace metterla nella copertina perché altrimenti si saprebbe già cosa succederà nella storia. Perciò, provo a guardare nelle scene prima, un po' prima della metà del racconto, così, se c'è qualcosa di accattivante, come una strega che ha catturato qualcuno, mi piace usare quello. In definitiva, raffiguro la scena che ti fa pensare: "Come faranno a uscirne?"

Alcune coinvolgenti copertine di Pikula per Donald Duck Extra

EdM: Ciao, Maarten! Quali sono gli elementi che, per te, costituiscono una buona copertina?

MG: Ciao! Innanzitutto, una copertina deve ovviamente attirare l'attenzione, e questo perché deve riuscire a vendere la rivista. Ma credo che sia nella sua composizione che vada ricercato quello che chiedi, deve essere pulita e comprensibile.

Suggestive copertine di Gerritsen per il mensile Katrien Duck

EdM: Nel realizzare illustrazioni per copertine riferite a storie, come scegli la scena da ritrarre?

MG: Solitamente, leggo la storia e, il più delle volte, già mi viene un'idea, del tipo: "Oh, questa sarebbe una buona scena per una copertina!" Di solito, si tratta di una scena intensa, ma che non anticipi il finale. Potrebbe anche essere un'immagine costituita da diverse parti della storia piuttosto che una singola scena. Per esempio, si potrebbero mettere insieme una parte di una scena e una parte di un'altra scena, a patto che creino una bella ed emozionante immagine. In ogni caso, non deve rivelare la conclusione, ma intrigare e fare in modo che tu voglia leggere la storia.

Due copertine di Gerritsen per Donald Duck Extra costituite da diverse parti di una storia (la copertina a sinistra si riferisce addirittura a due diverse storie contemporaneamente!)

Per concludere, vi proponiamo due rapidi sketch di Paperino che gli artisti hanno realizzato per accompagnare questa interessante chiacchierata.


© Disney per le immagini pubblicate.
Si ringrazia Owen per avere raccolto le testimonianze riportate.

giovedì 29 agosto 2024

"Sergio Asteriti more geometrico demonstrato" (di Simone Voci)

La spiacevole notizia degli ultimi giorni è che Sergio Asteriti, una delle colonne portanti del fumetto disneyano in Italia (nonché ammirevole illustratore), è venuto a mancare, all'età di 94 anni. Per ricordare e commemorare il suo importante contributo a questo settore, ho deciso di ospitare sul blog un saggio inedito alquanto singolare che mi è stato proposto qualche tempo fa, in cui l'arte di Asteriti viene attentamente analizzata, decomposta e restituita in maniera meticolosa e senza dubbio originale, offrendo spunti di riflessione e chiavi di lettura certamente interessanti. Quanto segue è frutto di riflessioni e suggestioni del suo autore, che mi hanno colpito per la dedizione e la passione rivolte al disegnatore veneziano e alla sua arte, e sono sicuro che siano, almeno in parte, condivisibili. Senza ulteriori indugi, dunque, richiudendomi in un rispettoso silenzio, lascio la parola al corposo scritto di Simone Voci. Buona lettura!

SERGIO ASTERITI MORE GEOMETRICO DEMONSTRATO
di Simone Voci

Anzitutto, una confessione. Chi scrive ama Sergio Asteriti. Questo è abbastanza scontato. Chi mai scriverebbe un articoletto intero — e pure lunghetto — su un autore che non apprezza? Ecco. Il segno grafico del Veneziano ha attirato il sottoscritto fin dalla più tenera età, e continua a farlo ancora oggi.  Mi sono domandato il perché e da ciò ne è venuta una analisi, più o meno dettagliata, delle dinamiche interne dello stile asteritiano: di questa gioia barocca raggiunta tramite un inno al realismo e alla gommosa e bombata pesantezza delle forme.  Un'analisi che si pone come fine quello di "vivisezionare" le palpitanti meccaniche di questo particolarissimo stile e tracciarne un quadro — per così dire — more geometrico, ovvero teso a individuarne gli elementi portanti e la fisica delle loro interazioni e dei conseguenti effetti. Anche quegli elementi che, di solito, incontrano le critiche dei "detrattori" non saranno taciuti. Anzi, verranno messi ben in risalto e sarà mostrato perché questi siano una precisa scelta artistica voluta dall'autore e come essi siano sensati e necessari nell'insieme e negli equilibri del suo modo di disegnare.

Chi è Sergio Asteriti?

Un'ulteriore precisazione d'intenti: il presente scritto non vuole essere una biografia dello storico disegnatore. A tal proposito, ci basterà ricordare che esordisce nel 1963, sul n. 420 di Topolino, con Pippo e la vacanza culturale, sceneggiata da Giampaolo Barosso. Ha realizzato oltre 350 storie e, di queste, sono solo 7 quelle dedicate ai Paperi. Ai topi è rivolta, invece, anche Tip e Tap e lo straordinario mondo del Toc, ultima sua collaborazione con Topolino, scritta da Augusto Macchetto e pubblicata — nel 2017 — sul volume Topolino Classic Edition a lui intitolato. Inoltre, ha vinto anche il Premio Papersera nel 2008. Evento immortalato in video.


Questo, però, non dice quasi niente della poetica dell'artista, appena scomparso all'età di novantaquattro anni. Non dice nulla del mondo grafico asteritiano, dei suoi equilibri, delle sue interne meccaniche e di quanto esso sia stato una specie di contrazione, compressione, ma — al contempo — un rigonfiamento rispetto all'estetica gottfredsoniana e scarpiana (e vedremo perché).

La rivoluzione senza apparenti eredi

È nel disegno che Asteriti pone una personale rivoluzione. In breve: uno scombinamento totale della forza di gravità del mondo Disney, trasformato in un pianeta sul quale quest'ultima viene aumentata per infinite volte. Una rivoluzione silenziosa, chiaramente. Asteriti, infatti, viene (spesso) definito come un disegnatore dal tratto ricco, ma classico. Piacevolmente classico. C'è quasi qualcosa di diabolico nel fatto che un tale scardinamento venga percepito come un ritorno a "ciò che è stato" (anche se, come vedremo, in realtà e in un certo senso, è proprio così). Una rivoluzione garbata, forse nemmeno ragionata, ma venuta fuori da un amore sconfinato per Mickey Mouse e la sua epoca d'oro in calzoni corti, unito a un'elaborazione stilistica personale. Una rivoluzione, in ogni caso, nata come privatissima, senza potenziali eredi e che — invece — ha piantato dei semi duraturi. Da essi, sono nati (più o meno consapevolmente) alcuni eredi, ancorché mai totali. Ognuno di essi ha assorbito questo o quell'aspetto del Maestro, magari senza accorgersene. I più evidenti: Camboni e Mottura; i più scalmanati: Celoni e Lavoradori. Tutti successori — anche se in modo differente — dello sgangheramento barocco dei pesi e delle forme provocato da Asteriti. 

Mottura e Celoni hanno raccolto il "barocchismo" del grande fumettista veneziano: il primo sfociando in una sorta di rococò fatto di giocosi riccioli; il secondo portandolo alle sue più estreme ed espressionistiche conseguenze. Camboni, invece, ne ha raccolto alcuni gusti grafici, pur lavorandoli di fino. Un discorso a parte, infine, andrebbe fatto per Lavoradori: apparentemente, il meno asteritiano a livello estetico, ma — in realtà — colui che ne ha raccolto la lezione in modo più trasversale, compiendo una personale rivoluzione su quella base, sostituendo alle pesanti masse del Maestro un effetto carta o "lastra di metallo". Permane la gravità che schiaccia, che appiattisce i personaggi al suolo, che li gonfia, ma se in Asteriti essa si applica a corpi compatti (già pesanti e corposi di per sé), in Lavoradori — invece — viene a interagire con ambienti e figure accartocciabili, dotati di una pieghevolezza che, in prossimità della soverchiante forza, li costringe a modificarsi e distorcersi con facilità. 

Lavoradori presenta alcune somiglianze con Asteriti, ma modificandone — anche considerevolmente — i connotati: se quest'ultimo prevedeva solo un appesantimento costante verso il basso, l'opera lavoradoriana stabilisce una gravità a sbalzi, che sale e scende di livello. A un appesantimento si sostituisce un improvviso alleggerimento, poi il processo contrario e così via. I corpi lavoradoriani, come se fossero fatti di carta o metallo, si trovano schiacciati e poi stirati, in espansione e compressione (in modo simile a ciò che avviene nelle opere dello scultore César Baldaccini), seguendo i cambi della forza di gravità. E questo, più volte in una sola tavola. Ciò regala un dinamismo inedito rispetto a quello presente nei lavori asteritiani. 

Asteriti e gli asteroidi

I personaggi di Asteriti sono tutt'altro che "dinamici". Sono pesanti e compatti masse schiacciate da una poderosa forza che attrae verso il basso. Non si deformano in maniera dinamica, ma — anzi — rallentano nei movimenti, si premono a terra. Il peso sembra deformarne anche le scarpe, che divengono più grosse del normale, clownesche, quasi come se intralciassero i movimenti. La gravità curva le schiene, e i busti si proiettano in avanti, in una specie di tentativo di aggrapparsi a qualcosa, di trovare un sostegno, per trascinarsi a fatica. 

Le scarpe risultano parecchio importanti nella resa grafica complessiva. Tondeggianti, piuttosto che affusolate; grosse e bombate, gonfiate da uno schiacciamento proveniente dall'alto; di maggiorate dimensioni, anche per un fumetto Disney. Come se i corpi fossero simili a statuette instabili, pesanti, e perciò dotate di una base atta a non farle cadere. Ogni scarpone appare nelle fattezze d'un gravoso oggetto a cui è radicato il corpo di ciascun personaggio; che si tratti di un protagonista, d'un comprimario, d'un antagonista o di una mera comparsa, essi paiono (sempre) camminare con lentezza, per via dell'impedimento causato dalla zavorra. Anche Minni sembra indossare dei pesanti e ingombranti zoccoli, piuttosto che delle eleganti scarpe col tacco. Ogni personaggio è dotato di piedi "sproporzionati" (elemento che l'autore pesca dagli albori del Mickey Mouse dei cortometraggi), quasi che Asteriti voglia piantarli sul terreno, immobilizzarli, impedire loro di muoversi.


Un mondo, quello asteritiano, che esprime una sorta di costante mancanza d'equilibrio dalla quale solo la gravità e la pesantezza dei corpi (o delle calzature) possono salvare, ancorando verso il suolo, in modo che non si possa fluttuare, pericolosamente, per aria. Ogni personaggio è come un asteroide attratto dalla forza esercitata dalla massa abnorme d'un pianeta alieno. Essi sembrano pronti a schiantarsi, ma (assurdamente) iniziano a rallentare, sempre di più, fino ad appiattirsi al terreno, senza riportare alcun danno. Questa è la "grazia" che il disegnatore concede loro, perché possano entrare nel suo calderone magico. 

La cacofonia immobile

Altro elemento peculiare di questo autore è un voluto e realistico disordine. Una rinuncia a tavole essenziali e minimali, ma non realistiche. La gravità attrae e inchioda alla tavola molti "asteroidi". Sono vignette ricche di elementi, quelle di Asteriti, ma tale molteplicità è costretta a una apparente disarmonia, come se ogni cosa venisse obbligata ad atterrare sulla tavola, alla rinfusa. Molti oggetti, personaggi, particolari negli sfondi o sulle cose in scena, ma ognuno di essi segue la sua personale storia. Nel mondo asteritiano, Leibniz ha ragione e anche una banale pianta da ufficio è composta da foglie difformi l'una dall'altra; queste, inoltre, puntano (di solito) verso direzioni diverse per ciascuna, come se la luce cercata fosse differente per ognuna di esse. 

Asteriti decide di non costruire una tavola che sia un oggetto d'arredo o di design, in cui le cose o i personaggi giochino il ruolo di forme eleganti, accordate tra loro come in una scala armonica. Il realismo s'impone. Alla sinuosa sinfonia di Scarpa o del Gottfredson maturo, Asteriti preferisce la cacofonia della realtà, in cui ogni elemento segue i suoi propri tormenti, le sue proprie pieghe imposte dall'essere stati scaraventati nella vignetta. Un mondo che appare come fatto di cose sgualcite, usate. Le scarpe, le vesti, persino le tende, non sono pescate dal pennino e disposte in scena, come se si trattasse di una finzione teatrale in cui tutto è nuovo, mai realmente utilizzato o indossato. No. Tutto è vivo. Asteriti ci catapulta in un cosmo reale, in cui ogni oggetto è stato indossato per ore o per giorni (nel caso di vesti e calzature) e, quindi, risulta spiegazzato, costretto — dal tempo — a forme piene di grinze. Ho scritto che "tutto è vivo", ma dovrei correggermi e scrivere che "tutto è stato vivo". Perché — cosa molto importante — il mondo asteritiano ha i connotati di una diapositiva che ferma le cose e i personaggi, presentandoli (per l'eternità) con le pieghe assunte nel momento in cui la "foto" è stata scattata. 

Laddove Scarpa mira a un arrotondamento liscio, ben stirato, che esprima la costante dinamicità e il continuo serpeggiare delle forme in scena, Asteriti preferisce il rigonfiamento che immobilizza l'azione, con figure inamidate. Come se una tovaglia venisse lanciata in alto; questa si gonfia, per effetto dell'aria, e poi inizia a scendere. Il disegnatore le urla: "Altolà!" ed essa si arresta, per l'eternità, nell'atto dello sgonfiarsi. La forma è arrotondata, "cicciosa", ma — al tempo stesso — colma di pieghe causate dal contemporaneo afflosciarsi.


Un realismo che, paradossalmente, proprio nel suo inseguire la realtà, nel suo volerla fermare, inchiodare al foglio, finisce per rinunciare all'elemento del tempo. Esso è ciò che c'era e che ha prodotto le forme. Il disegnatore ne prende atto e accetta il dono che la successione temporale (ormai giunta a termine) gli ha fatto. Ne celebra le gesta, senza rappresentarlo. Anche qui, gioca il suo ruolo l'abnorme gravità asteritiana che — come impone la relatività generale — distorce il tessuto del tempo, rallentandolo, fino ad arrestarlo definitivamente e farlo morire. Sembra di essere nell'ultima surreale storia da lui ideata e disegnata: Tip e Tap e lo straordinario mondo del Toc. In essa, i due fratelli scoprono che, tra il "Tic" e il "Tac" dell'orologio, esiste una dimensione di mezzo: il "Toc". Ecco. Anche Asteriti ha scoperto un "Toc", in mezzo al ticchettio del tempo. Un'eternità fatta di grinze e pieghe. 

La "grinzosità" (seppur "arrotondata" e non tagliente), infatti, è un elemento spesso criticato dello stile di Sergio Asteriti, ma consegue dal realismo del disegnatore. Un realismo non cinematografico, ma da "copia dal vero" o da "natura morta". I personaggi e gli oggetti, gli ambienti stessi, sono trattati come tendaggi e frutti disposti — frettolosamente — su di un tavolino. Immobilizzati, senza alcuna volontà di simmetria o di composizione armoniosa. Asteriti vuole la realtà morta, perché quella viva — se disegnata — dovrebbe essere rappresentata in modo irreale, attraverso forme non veritiere, per fare un semplice piacere al dinamismo filmico e al minimalismo grafico. E il procedere asteritiano non lo ammette. Gli sembra una violenza nei confronti della verità, la quale deve essere colta così com'è, senza aggiustarle il colletto o il bavero. È come se Sergio Asteriti giocasse a "Un, due, tre, stella!". Si gira, senza preavviso, e tutto deve arrestarsi, in qualunque posizione si trovi, anche se questa dovesse risultare scomoda o — nel nostro caso — non sinuosamente dinamica e cinetica. Ovviamente, anche il già citato Scarpa aggiunge pieghe e spiegazzamenti, ma lo fa in modo più minimale, mirando a un tratto maggiormente "pulito", essenziale, e perciò capace di flettersi in movimento. Asteriti, al contrario, le pieghe le tratta come oggetti reali, le prende sul serio e le rappresenta in modo plastico e asimmetrico, dando un senso di realismo superiore. 

All'eccesso di gravità, dunque, s'accompagna un eccesso di realtà. Gli elementi in scena non sono solo pesanti come oggetti reali, ma sono anche fermati in tutta la loro sgraziata concretezza. La forza gravitazionale asteritiana costringe tutto quanto a immobilizzarsi, pure se non sistemato o sgualcito. Asteriti, in breve, non si dota di un immaginario ferro da stiro attraverso cui eliminare le pieghe, ma — anzi — lascia ogni cosa "raggrinzita" così come l'ha trovata. Gonfiare, iniziare a sgonfiare e fermare tutto, prima che il processo si sia completato. Cogliere il momento di mezzo tra i due punti, immobilizzare la dinamica: in questo sta la rinuncia consapevole al dinamismo. Un mondo fatto di grinze, di pieghe. Si parla di oggetti di stoffa spiegazzati. Una stoffa che appare trattata con l'amido, assumendo i connotati del marmo modellato per apparire come un tendaggio. Con Asteriti, siamo in pieno Barocco. 

La cacofonia dei molti mondi

Suggerivo — qualche paragrafo sopra — che, nelle vignette di Asteriti, ogni oggetto segue la sua propria storia. Le mura si lasciano trascinare dal flusso della propria privata narrazione, disinteressate al resto, riempiendosi di particolari e crepe che sembrano non notare nemmeno ciò che sta loro attorno. Anche una banale tenda viene disegnata come "assorta" nei suoi tormenti, nelle sue pieghe, nella sistemazione storta che il disegnatore le ha imposto per aumentare il realismo degli elementi in scena. Lo stesso accade con arnesi e tegole. I primi, non sono semplici rappresentazioni idealtipiche di uno strumento (che si tratti d'un martello o d'un innaffiatoio). Vengono dotati di storture, ombre, parti leggermente rovinate. Le seconde, vengono disegnate una diversa dall'altra; anche quando sono appena accennate con un veloce gesto grafico, ognuno di essi è tracciato in modo difforme. Nel mondo asteritiano, ogni oggetto — innanzitutto — è necessario che funzioni da solo. Addirittura gli alberi devono fare — prima di ogni cosa — gli "alberi, in quanto "alberi". Non gli alberi di una scena complessiva, bensì devono mantenere il proprio ruolo anche se estratti dalla vignetta e posti nel vuoto. Ed è per questo che Asteriti, se deve raffigurare le loro fronde, non lo fa (quasi mai) delineandone solo i contorni. Aggiunge, entro di essi e qua e là, alcune foglie, disegnate una a una, con cura, oppure qualche tratto sparso, sì minimale, ma ognuno differente dall'altro. Come se l'impeto del realismo vincesse ogni moto alla semplificazione. 


Gli elementi della vignetta vivono di una vita propria, particolare, privata, individuale. Questo intendevo quando mi riferivo a tende assorte nelle pieghe dei propri tormenti. Porte, aste di legno, vasi, cespugli, vestiti o tovaglie devono essere — potenzialmente — sfilabili dalla tavola e permanere, intatti, nella propria immobile credibilità. Un mondo assemblato, in cui ogni cosa viene disegnata in sé e per sé, offrendo una ricchezza di particolari, pieghe, incrinature, sgualcimenti. Un puzzle di vite singole e di storie isolate: ogni oggetto è una narrazione assorta in sé stessa e dimentica di ciò che la circonda. L'interdipendenza non è data dall'accordo armonioso tra le parti, ma dalla convivenza forzata, senza scambio di "buongiorni": elementi che si ignorano tra loro, costretti a soffrire lo stare in bilico e l'usura, ma in totale silenzio e in apparente solitudine.

Una cacofonia fatta di molti mondi, mai in reale collisione tra loro. Il disordine, ma senza schianti e urti. La tempesta della realtà e la potenziale, ma mai espressa, belligeranza delle cose molteplici, ognuna chiusa in sé medesima. Eppure, una forma di rapporto tra di esse esiste: quel rinchiudersi ognuna nel proprio privato bunker avviene — che lo si voglia o no — in una scena visivamente colta con un solo sguardo. È questa coesistenza ottica obbligata a portare a un'inevitabile relazione reciproca, ovvero quella rappresentata dall'intralcio vicendevole a un compiuto isolamento.

La sinfonia nella cacofonia

Asteriti è l'artista delle parti e non del tutto. Sbatte in faccia al lettore una cruda realtà: il tutto è fatto di parti ed esse sono — innanzitutto — sistemi isolati, mondi a parte, che s'intralciano a vicenda. Ma questo non significa che il disegnatore veneziano dimentichi l'intero, a favore del singolo particolare. Semplicemente, ci arriva in maniera tortuosa, diversa. La sinfonia sorge dalla cacofonia, non per annullare quest'ultima, ma, piuttosto, per rendere possibile un'armonia che sia (per quanto assurdamente) disarmonica. Il cosmo grafico asteritiano è pervaso da un equilibrio instabile donato da due caratteristiche già citate: 

1) Come enunciato poc'anzi, il fatto che ogni elemento sia costretto a coesistere in un solo sguardo fa sì che essi entrino in una relazione di tipo negativo: ogni cosa intralcia l'isolamento dell'altra, le grida "non sei sola!". Proprio il fatto che ogni oggetto tenti di isolarsi in sé stesso o, per meglio dire, provi a mettersi in risalto, attraverso una ricchezza di particolari inusuale, proprio questo impedisce a ciascuno degli elementi di apparire come realmente isolato: lo sguardo si posa sulla vignetta e nota un albero, poi una casa, poi una veste, poi un muro, e così via; viene catturato da questo o quel segno grafico e gli è impossibile fermarsi su uno solo di essi. Ognuno di questi pare dire: "Guardami! Ci sono unicamente io!", ma lo stesso fanno tutti gli altri e il lettore non sa cosa scegliere e dove arrestarsi. Il tentativo di isolamento è intralciato dallo stesso tentativo di isolamento: il porsi in isolata evidenza, in quanto condotto da ciascuno degli elementi in scena, intralcia quello di tutti gli altri. E anche questa, seppur negativa, è una forma di rapporto. 

2) La gravità che schiaccia tutto, indifferentemente; le case o le porte, gli animali parlanti come gli animali non parlanti. Tutto viene compresso verso il basso, curvato, a volte in modo più percettibile e — altre volte — in modo meno palese. Questa gravosa condizione comune regala alle scene una specie di rumore di fondo unitario, testimoniato dalla generalizzata curvatura. Ma non solo. Dà anche l'idea di una sorta di equilibrio sempre pronto a rompersi. Le figure asteritiane sembrano anelare a una stabilità individuale e totale irraggiungibile, ma che — nell'atto stesso di essere, perlomeno, tentata — regala al tutto una tensione che gli permette di reggersi in piedi, nonostante il peso. Le forme, premute al suolo, paiono muoversi controcorrente o controvento. L'impedimento gravitazionale regala loro una tormentosa ricerca di punti saldi che le accomuna, le rende parte di una medesima impressione generale. 

Il "tutto" esiste in Asteriti, ma si dà nella misura in cui contrasta con le "parti", nella misura in cui le costringe a una convivenza forzata e a una gravosa tortura comune. Non è la pace universale, ma un condominio di eremiti o prigionieri. 

Barocchismo e bomboniere bombate

Che descrizione tetra! Certo, messa così, il quadro del Nostro sembra essere quello d'un freddo realista, creatore di scene asfissianti, soffocanti, tragiche... Nulla di tutto questo! 

Asteriti, infatti, compie un vero e proprio miracolo. Questa costrizione all'immobilità senza tempo e a una comune gravità si ricopre di forme, sì spiegazzate, ma — come si diceva — rigonfie. Un rigonfiamento da bomboniera. Ecco l'opera alchemica asteritiana: unire la pesantezza e il realismo a una festa estetica fatta di bomboniere barocche, accompagnate da tratti spessi, pesanti quanto gli elementi di cui sono contorno, ma — proprio per questo — morbidi. Il disegnatore si diverte e gioca come un bambino e il prodigio sta proprio in questo: la gravità si trasforma in un elemento giocoso e festoso, fanciullesco. "Giocattoloso".

Ed è il connubio di questa con il realismo — la ricchezza dei particolari, delle figure in scena, il disordine voluto e l'immobilità da pittura di natura morta — a formare lo stile asteritiano nel suo complesso. Proprio il realismo (così adulto e serioso, all'apparenza), dal momento che aumenta i particolari da disegnare sulla tavola, accresce il numero delle occasioni, delle forme, cui applicare quella gommosa e giocosa pesantezza. Insomma: proprio dalla matura attenzione realista al particolare, sorge l'allegria bambina, fatta di un profluvio di figure tondeggianti e arricchite di dettagli dal contorno spesso e cartoonesco


Evoluzione dello stile

Bisogna dire che questo aspetto dei contorni spessi inizia palesarsi, sempre di più, attorno alla fine degli anni '80, per poi esplodere negli anni '90 e 2000. A molti non piaceva e non piace. Chi scrive, al contrario, lo apprezza molto e ritiene doveroso notare alcuni elementi di questa lenta (e decennale) trasformazione grafica. 

Negli anni '60 e '70 (e buona parte della prima metà degli anni '80), Asteriti ha la tendenza a inchiostrare le figure attraverso contorni di spessore pressoché uguale, senza troppe differenze tra le parti inchiostrate. Per capirci, Scarpa presenta una maggiore varietà di spessori, andando ad alleggerire il tratto o a inspessirlo, regalando tavole dall'aspetto meno visivamente pesante o corposo. Le tavole di Asteriti, al contrario, già in questi primi decenni, vedono una forte presenza del nero, cosa che regala loro una discreta pesantezza (di cui si è detto sopra): elemento che può essere amato (come dal sottoscritto) o no, a seconda dei gusti. 

Quale sia il motivo della scelta asteritiana, non è facile capirlo fino in fondo e si possono abbozzare almeno due piste: 

1) È tutt'altro che una semplice impresa quella di raccogliere materiale dell'Asteriti pre-Disneyano, ma è necessario guardare a esso, dato che il Nostro compie un'indipendente gavetta di quasi un decennio, prima di approdare sul Topo. Nelle riviste per cui lavora (di cui è possibile consultare appena qualche scorcio, sul web), si può notare un particolare interessante: contorni dal tratto che varia, ma di qualità ben più spessa rispetto a quello che era il canone del giornalino targato Disney. Chi scrive fa una serie di ipotesi: forse, Asteriti è stato "costretto", nel suo passaggio su Topolino, ad alleggerire il tratto che si portava dietro dalle riviste su cui aveva lavorato per quasi un decennio? E, forse, questo costretto alleggerimento è rimasto un elemento estraneo per l'autore, il quale non riusciva sempre ad applicare una variazione di tratti, proprio perché non abituato a lavorare con inchiostrature così sottili? Se si prende per buona tale pista, Asteriti avrebbe avuto un tratto poco vario proprio perché non abituato a lavorare con contorni troppo sottili. Questo gli avrebbe reso assai scomodo lo scendere troppo di spessore, ma — al tempo stesso — i canoni Disney imposti all'epoca gli avrebbero impedito di controbilanciare con spessori più grossi. E, da qui, l'effetto finale: poca varietà negli spessori. Poi, passati i decenni e — forse — acquisita una maggiore libertà professionale (magari, anche legata ai gusti estetici cambiati), ecco riapparire l'antico stile asteritiano delle riviste degli anni '50/60: un inspessimento generale del tratto e, così, una riacquista varietà di spessore. Questo è l'Asteriti fine anni '80 e anni '90. Tra gli anni 2000 e 2010, un'ulteriore trasformazione: diminuisce la varietà di spessore, ma rimane il tratto pesante. Come se Asteriti, abituato (ormai), da decenni, a un tratto senza variazione, fosse tornato a quella comoda soluzione, pur mantenendo l'altrettanto comodo spessore della sua formazione extra-disneyana. Un'ultima ipotesi conclude tale prima pista: forse, anche la ricerca della ricchezza di particolari e il realismo vengono da quelle esperienze di gavetta e dagli incontri con Faustinelli, Ongaro e Pratt? Da questa intervista, apprendiamo che Asteriti si riteneva non in grado di darsi al fumetto realistico: forse questa convinzione tradisce una sorta di desiderio che si esprimerà, negli anni a venire, nella ricerca di una commistione tra cartoonesco e realistico?

2) E arriviamo alla seconda pista (non per forza alternativa alla prima; potrebbero benissimo convivere e creare un quadro complessivo): l'elemento del tratto "grosso", unito alla poca varietà dello spessore, potrebbe essere una preferenza estetica del disegnatore, forse presa dai cortometraggi Disney con protagonista Mickey Mouse e da quel Gottfredson primissima maniera che sempre ha ispirato e appassionato il Nostro (il quale, sempre nella succitata intervista, ha a dire di avere il desiderio di tornare al Topolino scanzonato, e in calzoni corti, della sua infanzia e adolescenza). Infatti, specie nei primi cortometraggi, si era soliti utilizzare contorni spessi e uguali per gli elementi protagonisti e coprotagonisti in scena, per staccarli rispetto allo sfondo, reso con toni di grigi più sfumati. Lo stesso Gottfredson prima maniera, per quanto utilizzasse una discreta varietà di spessori, tendeva a una grandezza del tratto maggiore rispetto ai canoni successivi. Se si osserva una tavola del geniale autore, non si potranno non notare delle forti somiglianze con l'Asteriti del periodo extra-disneyano: contorni grossi, ma varietà di spessori. Cosa che potrebbe portare a ipotizzare un'ispirazione stilistica, poi rimasta negli anni, nonostante le "imposizioni" del nuovo canone a tratto più sottile. 

Scarpa e Asteriti: due diverse interpretazioni di Gottfredson

Se volessimo usare una metafora presa in prestito dalla storia dell'arte, dovremmo dire che Scarpa è stato classicista, mentre Asteriti barocco. Abbiamo già accennato alle differenze di stile tra i due nei precedenti paragrafi. Inutile ripetersi. C'è, però, un aspetto del loro stile che va indagato, anche se brevemente, e che mette ancora più in luce il classicismo del primo e il barocchismo del secondo. Entrambi, infatti, si rifanno a Gottfredson, sia implicitamente che esplicitamente. Eppure, presentano due stili tanto differenti. Quindi, la diversità di interpretazione dello stile del comune Maestro da cosa dipende, principalmente? Penso di avere una risposta, per quanto non definitiva. Essa viene dal diverso periodo (considerando l'intera produzione del grande autore e disegnatore americano) preso come ispirazione cardine: il primo Gottfredson per Asteriti e il Gottfredson maturo per Scarpa. 

La cosa è abbastanza evidente in quest'ultimo: il suo modo di disegnare ricalca (pur con delle ovvie variazioni) lo stile dell'ultimo Gottfredson delle continuity a strisce, quello degli anni ‘50. Per Asteriti, la questione è più complessa: non c'è un ricalco completo, ma una specie di reinterpretazione del primo Gottfredson attraverso lo stile della fase più matura. La fase primordiale rimane la principale ispirazione, ma è rivisitata attraverso le fasi degli anni successivi, quasi come necessario correttivo dovuto ai tempi. Pare di vedere una specie di linea temporale alternativa nella quale Gottfredson, anziché andare verso una progressiva razionalizzazione del segno, si sia spinto a maturare l'aspetto "gommoso" dei suoi primi disegni. Certo, viene perso l'aspetto filiforme ed esile dei personaggi ed essi guadagnano massa come nel Gottfredson anni ‘50, ma conservando la gommosità. 


Da qui, ecco il perché della gommosità pesante o della pesantezza gommosa (così barocca, affascinante, e così diversa dalla linearità di Scarpa). Che sia questo il motivo di quel gioco gravitazionale asteritiano di cui ho scritto diffusamente? Forse. In effetti, è probabile che il dover buttare lo sguardo su due così differenti periodi gottfredsoniani abbia spinto necessariamente il Nostro a "esagerare" con le masse dei personaggi, in modo da non cadere in un effetto troppo old style

Ma, chiaramente, si tratta solo di una ipotesi che non vuole esaurire lo spazio del dibattito.

Una narrazione gravitazionale

Giungiamo, finalmente, a un ultimo punto della questione Asteriti: il rapporto tra il suo inconfondibile stile e la narrazione nelle vignette; la relazione, insomma, tra disegno e sceneggiatura. Il Nostro, infatti, utilizza quella pesantezza più volte citata per far recitare i personaggi in scena: la gravità, spesso, li piega in avanti, proiettando braccia e mani in varie direzioni, producendo una gestualità molto forte e che serve per narrare gli stati d'animo dei personaggi. 

In realtà, qualcosa di simile lo si può trovare anche nella rappresentazione che Scarpa fa di Mickey e Minnie: entrambi risultano deformarsi e schiacciarsi — quasi come in Asteriti — verso il basso e gesticolare di conseguenza. Questo deve essere un retaggio della comune scuola gottfredsoniana e dei primi cortometraggi con protagonista Topolino, ma una differenza distingue i corti dalle strisce di Gottfredson: mentre nei primi vediamo che questo fenomeno dello schiacciamento — in pieno stile espressionista, quasi come un fossile del cinema muto — riguarda tutti i personaggi in scena, è con Gottfredson che le cose cambiano. A deformarsi verso il basso, comprimersi ecc. sono, in particolare, i personaggi maggiormente antropomorfi (Topolino, Minni, Pippo, principalmente). Quelli più umani, invece, tendono a presentare pose più dritte e anatomicamente realistiche. Pare quasi che Gottfredson abbia pensato il mondo Disney in maniera differente rispetto a come esso era stato concepito nei cortometraggi: Topolino, Pippo e co. vengono concepiti quali elementi cartooneschi inseriti in un mondo, tutto sommato, realistico. Elementi estranei e, per tale motivo, capaci di produrre un effetto comico per via del moderato contrasto rispetto all'ambiente. In Scarpa questo rapporto si mantiene. 

Asteriti, invece, torna alla concezione pre-Gottfredson, recuperando la deformazione generalizzata dei cortometraggi e tornando, quindi, a un espressionismo tipico della transizione dal muto al sonoro nel cinema. Ogni personaggio in scena, infatti, è costretto a recitare, per via di una gravità soverchiante che piega ognuno di essi, quasi contro la loro volontà, verso il basso, costringendoli a tentare di trovare spazio per gli arti in altre direzioni, come se il soffitto stesse piombando loro in testa ed essi si ritrovassero schiacciati, in un gesticolare che ha più l'aspetto di una necessità che di una effettiva scelta di chi gesticola. Uno spazio che sembra esser ridotto anche dalla ricchezza degli elementi di contorno in scena, i quali paiono obbligare i personaggi a scappare dalla vignetta, a cercare una via di uscita. Tale ricchezza, d'altra parte, è connotata da un'espressiva tattilità, quasi che si riuscisse a toccare quelle masse, quei corpi, a sentirne la solidità, forse proprio per via delle loro reazioni a un'immaginaria forza di gravità generale; reazioni che mettono alla prova la loro matericità e regalano un'idea più precisa di quale debba essere la loro consistenza. 

Questa espressività tutta fisica e tutta gravitazionale interagisce con la sceneggiatura mettendo in risalto ciò che accade o viene detto, funzionando da fisicissimo punto esclamativo o materica sottolineatura. Cosa molto azzeccata in un medium i cui fruitori — in maggioranza — si posizionano in un'età preadolescenziale. Asteriti è un maestro dell'interazione tra espressioni facciali e gesticolazione corporea, ma in un modo ben preciso: le prime sono moderate, per quanto molto azzeccate. Una semplicissima variazione nel tratto o nella forma degli occhi, infatti, basta e avanza, dato che viene immediatamente soccorsa da una gesticolazione — invece — radicalmente accentuata. La non dinamicità da fermo-immagine (di cui si scriveva sopra) convive con una dinamica prodotta da una ricchezza di espressioni e gesti, per quanto realisticamente immobilizzati a mo' di natura morta. Realismo da diapositiva e cartoonesco convivono perfettamente nello stile del Nostro. 


Un calibrato gioco di elementi che permette (provare per credere!) di seguire le storie anche senza leggerne i dialoghi. Questi ultimi pare quasi che vengano integralmente riprodotti dal segno grafico: non semplicemente aiutati dai disegni, ma totalmente reinterpretati, resi in china e forme. Ci si trova davanti, dunque, a due elementi (disegno e sceneggiatura) che convivono non nel completarsi a vicenda in modo organico, ma nel loro essere l'uno la copia dell'altra. Due gemelli. Convivenza, insomma, nella perfetta uguaglianza. Una scommessa audace, quella di Asteriti, dato che in una soluzione del genere potrebbe palesarsi il rischio di una ridondanza che riesce perfettamente a evitare, sapendo esattamente quanto spingere nell'espressività grafica e quando fermarsi. 

Conclusione

Che dire ancora? È stato un lungo viaggio dentro la china e il pennino di questo incredibile autore. Personalmente, si è trattato di un percorso istruttivo, perché mi ha costretto a pensare ai "perchè" e "per come" del suo stile, oltre che ai "come mai" della mia fascinazione verso di esso. Questi ultimi non li ho, chiaramente, inclusi nel corpo degli scorsi paragrafi, ma credo di poterli riassumere qui, poiché sono abbastanza convinto che siano condivisi da molti: il suo stile richiama epoche che generano immediata nostalgia. Lo si collega, istantaneamente, a quella che è stata l'epoca d'oro della produzione Disney italiana.

Certo, ho riferito (all'inizio di questo scritto) che esiste qualcosa di diabolico nel fatto che uno scalmanato rivoluzionario come Asteriti — il quale ha rivoluzionato tutto, non solo andando avanti, ma anche tornando indietro, fino al pre-Gottfredson, pure se sempre a modo proprio, seguendo vie inedite — sia percepito come un classico che più classico non si può. Ma un motivo c'è. Anzi, due. Il primo è che, effettivamente, Asteriti (come abbiamo visto) coi classici ci gioca parecchio, addirittura recuperando dinamiche da cortometraggio in bianco e nero. E il secondo è molto semplice: questo autore ha fatto, letteralmente, la storia del fumetto Disney in Italia, costituendo una linea alternativa, dissidente se si vuole, rispetto a quella "vincente" di Scarpa. Sempre con garbo, senza sgomitare, tanto da stupirsi di essere ricordato e amato da così tanti "bambini" ormai cresciuti (come alla premiazione del Papersera). 

© Disney per le immagini pubblicate.
L'Eco del Mondo non ha in alcuna maniera partecipato al concepimento o alla stesura dell'articolo pubblicato se non nella fase finale di revisione e editing. Ogni tesi e ipotesi avanzata è, pertanto, da considerarsi frutto di riflessioni personali ed esclusive dell'autore e il testo viene qui proposto per il suo valore di approfondimento e spunto per futuri dibattiti.

martedì 13 agosto 2024

[ESCLUSIVA] Copertina ufficiale e data di pubblicazione di Un Travail pour Fantomiald

In queste calde giornate di agosto, Nicolas Pothier (con cui si è fatta una bella chiacchierata il mese scorso a proposito della sua Mickey contre l'Alliance Maléfique, tra le altre cose in arrivo in Italia per Panini Comics a settembre) mi segnala data di pubblicazione e copertina ufficiale della sua prossima fatica targata Disney/Glénat, Un Travail pour Fantomiald, disegnata da Batem, già autore della serie Marsupilami.

Durante la nostra chiacchierata, aveva dichiarato a riguardo: 

Nella nostra storia, Paperino deve assolutamente trovare un lavoro per poter pagare l'affitto a Zio Paperone, che altrimenti rientrerebbe in possesso della sua casa e scoprirebbe il nascondiglio sotterraneo di Paperinik. Il volume è composto da quattro racconti che sviluppano questa idea iniziale, ma che allo stesso tempo possono essere letti separatamente.

Una storia, dunque, dal sapore classico, che riecheggia le prime imprese del diabolico vendicatore martiniano, prima che egli si prestasse a paladino di Paperopoli. D'altronde, lo stesso Pothier ha affermato di essere "partito dall'idea iniziale del personaggio, ovvero che Paperino si mascheri prima di tutto per risolvere i propri problemi."

Ebbene, questo nuovo volume, il diciottesimo della prestigiosa collana Disney by Glénat, verrà distribuito in Francia a partire dal prossimo 9 ottobre, una data da non perdere! La copertina ufficiale, che riporto qui sotto (oserei dire in esclusiva), mostra Paperinik alle prese con alcuni personaggi discutibili, come il miliardario Rockerduck e un Bassotto.


© Disney/Glénat per l'immagine pubblicata.
Si ringrazia Nicolas Pothier per avere condiviso le informazioni riportate nell'articolo e l'artwork ufficiale della copertina del volume.

lunedì 29 luglio 2024

Riemergono strisce inedite di Ken Hultgren con Paperino!

Sin dalla sua creazione, questo blog riporta nel suo sottotitolo tre parole che possono in qualche modo essere considerate le categorie degli articoli in esso pubblicati: "ricerche, interviste e curiosità". Se, negli ultimi anni, le ricerche e le interviste hanno rappresentato la maggior parte degli scritti, ritengo che ogni tanto sia utile dare spazio anche a qualche curiosità. Ebbene, l'articolo odierno ha, a mio avviso, la stessa intenzione e lo stesso scopo di certi vecchi post, come questi, in cui pubblicavo le rarissime strisce di Topolino di Fred Spencer per il cordone DeMolay (restaurate nel 2011 dallo storico Paul F. Anderson), oppure questi, in cui contestualizzavo le curiose strisce di Lars Bylund realizzate negli anni Trenta per promuovere il dentifricio Vademecum, mettendole a confronto con i disegni originali di Floyd Gottfredson che erano stati utilizzati come riferimento dall'artista svedese. In entrambi i casi, si trattava di materiali per lo più inediti e in larga parte ignoti, soprattutto in Italia (come ricordava l'immenso Luca Boschi qui), e, a distanza di quattordici anni, ho avuto modo di ritrovarne menzione solamente nel libro Disney a fumetti di Alberto Becattini, pubblicato da ANAFI nel 2019.

Ciò di cui scrivo oggi, però, non riguarda strisce apocrife o semi-apocrife, ma vere e proprie strisce ufficiali realizzate nell'ambito delle produzioni sindacate firmate Walt Disney da nientemeno che Ken Hultgren, animatore già coinvolto nella realizzazione di lungometraggi animati come Biancaneve e i sette nani (1937), Bambi (1942) e La bella addormentata nel bosco (1959), nonché autore dell'adattamento a fumetti di Bambi (1942) e del suo "seguito" (1943). Nel settembre 1958, infatti, alla striscia quotidiana di Mickey Mouse, ormai da anni autoconclusiva, se ne affianca un'altra, senza dialoghi, intitolata Mickey Mouse and His Friends. Questa nuova produzione sperimentale prende il via il primo settembre 1958 e viene conclusa il 17 marzo 1962 e i suoi autori sono inizialmente Milt Banta (testi) e Ken Hultgren (disegni), seguiti da Roy Williams (testi), Riley Thomson (disegni), Manuel Gonzales (disegni) e Julius Svendsen (disegni). 

Se, nelle strisce pubblicate, i "friends" di Topolino sono gli stessi che appaiono regolarmente nella coeva produzione di Gottfredson (Minni, Pippo, Pluto, Clarabella e il nipotino Tip), sono recentemente "venute a galla" ben sette prove realizzate da Hultgren in cui figura invece Paperino, sostituito poi in alcune delle versioni definitive. Evidentemente, si è preferito non volere mescolare i due "mondi" dei principali standard character disneyani. D'altronde, come affermerà lo stesso Gottfredson in un'intervista a Malcolm Willits datata 1968: "le due strisce [quella di Topolino e quella di Paperino] venivano a volte vendute a quotidiani concorrenti, perciò se un giornale acquistava Paperino, non sarebbe stato corretto che apparisse nella striscia di Topolino pubblicata dal suo rivale" [trad. mia]. In ogni caso, questa scoperta dimostra quanto la ricerca sull'ingarbugliato mondo dei personaggi su carta possa ancora portare alla luce delle straordinarie perle anche a distanza di sessantasei anni!

Di seguito, riporto alcuni confronti tra le versioni con e senza Paperino. Per visionare la lista delle strisce finora riemerse, rimando a questo link.

4 settembre 1958


8 settembre 1958


11 settembre 1958


13 settembre 1958

© Disney per le immagini pubblicate.

martedì 9 luglio 2024

Si parla di Un trou... de mémoire (Mathias, Leloup/Baccinelli, 2024) assieme ai suoi autori

Nel corso dell'ultimo articolo, si è parlato della collana Glénat di produzioni originali con personaggi Disney. In quel caso, come si è detto, si tratta di fumetti "atipici", d'autore, di interpretazioni piuttosto creative, mentre le storie Disney "regolari" trovano la loro collocazione tra le pagine delle pubblicazioni francesi edite da Unique Heritage, con cui ho avuto il piacere di collaborare in un paio di occasioni.

Ebbene, per celebrare i festeggiamenti per il novantesimo compleanno di Donald (su cui ho scritto qualcosa qui), Picsou Magazine 579 sfoggia, in bella vista in copertina, la dicitura "Donald made in France". All'interno del numero, infatti, vi è un fumetto inedito, realizzato appositamente per la rivista, in cui Paperino, rinvenendo un buco nella sua prima giubba, si reca da amici e parenti per tentare di ricordare a quale evento risalga. Per comprendere il motivo della rilevanza di questa storia, bisogna fare un piccolo distinguo tra la situazione dei fumetti Disney in Francia e in Italia. Nel nostro paese, come si sa, vengono realizzate ogni settimana storie nuove, pubblicate su Topolino; in Francia, invece, la produzione di fumetti disneyani (iniziata negli anni Cinquanta) ha cominciato ad arrancare nei primi anni Dieci del Duemila. Difatti, a partire dal 2011, gli unici materiali a fumetti inediti prodotti per le riviste d'Oltralpe sono storielle da una o due tavole delle serie Les p'tits boulots (con protagonista Paperino) e Énigme (con protagonista Topolino). Le uniche, ambiziose, eccezioni sono rappresentate da Pas de repos pour les héros (Augereau, Chamblain/Pérez, Fernández, 2017), L'idole sacrée de l'île aux cent volcans (Chamblain/Pérez, Fernández, 2018) e Enquête en pleine tempête (Chamblain, Lichten/Pérez, Fernández, 2018), tre insolite avventure corali da quarantotto tavole l'una, pubblicate a episodi su Le Journal de Mickey.

Particolare dalla copertina di Picsou Magazine 579

Ora, nel 2024, Un trou... de mémoire (espressione idiomatica traducibile come "Un vuoto... di memoria", che, in questo caso, gioca con il significato letterale di "trou", "buco") interrompe la lunga assenza di produzioni originali e propone una lettura apprezzabile su più livelli, che strizza l'occhio ai lettori più esperti attraverso citazioni e riferimenti a grandi classici donaldisti. Ma chi sono i suoi autori? Ai testi, abbiamo Hugo Mathias e Alban Leloup, che da anni si occupano della redazione di introduzioni e articoli per le pubblicazioni francesi; ai disegni, invece, ritroviamo un certo Emmanuele Baccinelli, nome ben noto in Italia, artista e illustratore di punta delle testate Panini. Con simili natali, questo breve racconto celebrativo non può che promettere bene! Come, ormai, è diventata consuetudine, mi sono prodigato per ottenere commenti preziosi dai diretti interessati. Buona lettura!

SC: Simone Cavazzuti
HM: Hugo Mathias
AL: Alban Leloup
EB: Emmanuele Baccinelli

SC: Hugo, Alban... cominciamo da voi! Da lettori di fumetti Disney a redattori dei magazine Disney a sceneggiatori. Quale è la vostra storia?

HM: Ciao, Simone! Io ho iniziato a leggere i fumetti di Paperone e Paperino nel luglio 2004, quindi esattamente vent'anni fa! Il mio fumetto "Numero Uno" è stato Super Picsou Géant 122 e sono diventato subito un appassionato. Compravo tutte le riviste che potessi trovare nelle librerie e visitavo mercatini dell'usato e inserzioni eBay alla ricerca dei vecchi numeri.

Dopo essere diventato un grande fan di Don Rosa, ho iniziato a leggere i suoi fumetti in inglese... e mi sono reso conto di moltissimi errori di traduzione. Perciò, nel 2017, ho deciso di redigere una tabella con tutti gli errori che riuscissi a trovare — si aggirava attorno al migliaio di righe — e nuove traduzioni fatte da me. Ho contattato il direttore di Picsou Magazine (che, all'epoca, era ancora quello storico, Pascal Pierrey) ed era interessato, ma alla fine non siamo riusciti a farci nulla. Però, abbiamo iniziato a entrare in confidenza e, quando un paio di mesi dopo mi ha detto che stava lavorando a una nuova formula per Picsou Magazine e che stava cercando nuovi giornalisti, ho immediatamente colto l'occasione al balzo! Lavorare per questa rivista è un sogno diventato realtà!

In seguito, Jean-Baptiste Roux è diventato direttore e, quando ci ha detto che aveva in mente di rilanciare la produzione di storie francesi, gli ho inviato con frequenza alcune idee, ma sempre per storie troppo lunghe. Alla fine, scorgendo il novantesimo compleanno di Paperino all'orizzonte, ho pensato: "Ok, questa è un'occasione perfetta, pensiamo a qualcosa di breve e convinciamolo!" Ho portato Alban con me in questa missione e, questa volta, Jean-Baptiste ha detto di sì... e gliene siamo eternamente grati!

AL: Non ho mai pensato che un giorno avrei lavorato per una rivista che ha plasmato la mia infanzia (e quella di così tante altre persone)! Ma non ho nemmeno mai pensato che avrei realizzato un cortometraggio come tributo a Telecat (un programma di pupazzi incredibilmente bizzarro degli anni Ottanta) o che avrei scritto un romanzo storico. Eppure, sono riuscito a fare queste cose perché persone incredibili me ne hanno data la possibilità e mi hanno concesso le loro energie e il loro sapere. Jean-Baptiste Roux mi ha dato questa possibilità e sembra che sia venuto fuori qualcosa di buono! 

Ovviamente, sognavo di fare fumetti quando ero un bambino, ma penso che sia così per tantissimi piccoli belgi. Dopotutto, il Belgio è IL paese dei fumetti. Sono ovunque intorno a noi: nelle nostre case, nei nostri musei, sui muri delle nostre strade... Ma, parlando specificatamente di fumetti Disney, credo di essere molto più appassionato ora di quanto non lo fossi da bambino. Non mi fraintendere: adoravo i vecchi volumi di Mickey Magazine degli anni Cinquanta che trovavo in soffitta, e amavo leggere Picsou, ma non avevo accesso ai numeri più recenti. Quando sei un bambino, devi chiedere il permesso (e i soldi!) ai tuoi genitori per poter comprare una rivista. Quando sei adulto, invece, sei finalmente libero di affrontare la tua coscienza... e il tuo portafoglio.

Titolo e prima vignetta di Un trou... de mémoire

SCUn trou... de mémoire è la prima storia Disney prodotta in Francia da un po' di tempo... Che sensazioni avete provato nel poter portare avanti questa lunga tradizione?

HM: È un incredibile onore e gioia, un sogno divenuto realtà! Avere una nostra storia su una rivista di cui abbiamo letto e amato così tanti numeri nel corso degli anni... Ma è stata anche una bella responsabilità, perché si tratta della prima storia francese da un po' di tempo! Volevamo fare il miglior lavoro che potessimo, perciò, siccome siamo ancora alle prime armi nel settore, ci abbiamo passato sopra tantissimo tempo, soprattutto sulla suddivisione in vignette, che è stata una delle parti che ho preferito! Ho letto la meravigliosa guida di Scott McCloud, Capire il fumetto, un fumetto sui fumetti e su cosa li renda un'arte speciale, molto di più della semplice somma di scrittura e illustrazione, un'arte con la propria unica grammatica. Ho provato a usare le formidabili possibilità che solamente il fumetto è in grado di offrire attraverso lo storyboard ed è stato molto interessante e stimolante! Ho particolarmente apprezzato come Emmanuele ha rappresentato l'idea di Paperino che "cammina tra le vignette"!

AL: Ci è stata concessa un'opportunità rara e preziosa, che ad altri, con ben maggior talento ed esperienza di noi, è stata rifiutata in passato, perciò l'abbiamo presa molto seriamente. Ci abbiamo lavorato instancabilmente, senza contare le ore e la cosa più grandiosa è che OGNI SINGOLA persona coinvolta nel progetto ha fatto lo stesso. Se questo dovesse essere il nostro unico fumetto, almeno ci abbiamo messo il cuore. Vedere la nostra sceneggiatura portata in vita da un artista così talentuoso come Emmanuele Baccinelli è stato quasi irreale. Quando abbiamo ricevuto le tavole, sembrava di vedere una di quelle storie italiane che ogni tanto ci capita di tradurre! Faccio ancora fatica a realizzare che abbiamo "creato" un giorno nella vita di Paperino.

HM: Abbiamo davvero avuto dei compagni d'eccezione! Jean-Baptiste ci ha affidato delle persone di talento! Siamo stati molto onorati di avere Emmanuele come disegnatore della nostra prima storia, ci ha veramente riempito di felicità! E che emozione quando ci ha inviato la sua prima bozza "fatta molto velocemente"... Ricordo di aver urlato dalla gioia! 

È stato un vero piacere anche lavorare con Christian Lerolle, il nostro eccezionale colorista, specialmente perché siamo riusciti ad avere una comunicazione efficiente con lui; e Pierre Delort, il letterista (che lavora per la redazione francese), ha fatto un incredibile lavoro, aggiungendo un sacco di piccoli dettagli e idee e creando un titolo simil-italiano!

Vorrei, infine, ringraziare anche Jean Chaffard-Luçon (uno sceneggiatore francese di film e programmi televisivi), che ci ha aiutati con il nucleo della storia e ha trovato l'idea del buco nella prima giubba. 

AL: Vorrei solamente aggiungere che penso che Hugo e io costituiamo una bella squadra, perché i nostri punti di forza si completano a vicenda. Hugo ha un'intelligenza visiva e spaziale che a me manca, mentre io ho più un'intelligenza concettuale e verbale. Dobbiamo ancora solamente imparare a non essere eccessivamente pignoli sui piccoli dettagli. Questa volta, abbiamo avuto il tempo per potercelo permettere, ma non sarà sempre così. Dateci nuove opportunità e troveremo il giusto ritmo!

HM: Sono d'accordo... Anche se ogni tanto ci ho messo del mio, come nel caso della vignetta con il riflesso del cucchiaio. Per valutarne la fattibilità, ho letteralmente preso un vero cucchiaio e l'ho "provato".

"Prova" per valutare il riflesso del cucchiaio e prima bozza di Emmanuele Baccinelli

SC: Credete che ci sia la possibilità di vedere altri fumetti originali nelle riviste francesi in futuro? È qualcosa che vorreste?

HM: Certamente! Picsou Magazine è parte dell'infanzia di tantissime persone francesi, perciò mi spiace che, diversamente da ciò che accade in Italia, non ci sia una forte tradizione nel creare fumetti come ce ne è nel leggerne. O, almeno, che non ci sia ancora! Sono sicuro che ci siano un sacco di autori e artisti francesi che amerebbero creare storie di Paperi per Picsou Magazine. Quindi, se riusciamo a incentivarlo, forse in qualche anno o in qualche decennio, la Francia diventerà un grande polo di produzione. Almeno, questo è il piano! Per quanto ci concerne, abbiamo così tante storie in mente, dunque saremmo più che pronti a ripetere l'esperienza.

AL: Confermo! Personalmente, conosco diverse persone che hanno già scritto per Disney in passato che lo farebbero nuovamente in un batter d'occhio. Ovviamente, quando si parla di disegni, non esiste più una "scuola francese". Intendo dire che esiste uno stile italiano e uno scandinavo per disegnare i fumetti Disney, ma la Francia non ha (o non ha più) un'impronta chiaramente identificabile. I nuovi artisti potrebbero dargliela, ma non succederà improvvisamente!

SC: Questa storia dura solo quattro pagine, ma è riempita di riferimenti a classiche avventure dei Paperi e un sacco di personaggi vi ci fanno capolino. Come avete deciso quali riferimenti e menzioni inserire? C'è qualcosa o qualcuno che avete dovuto lasciare fuori vostro malgrado?

HM: L'idea base della storia era che dovesse apparire il maggior numero di parenti e amici di Paperino. Abbiamo iniziato a elencare quelli che ci sembrava assolutamente logico che lui andasse a visitare (essenzialmente, i personaggi a pagina 2) e, per quanto riguarda gli altri, la decisione è stata fatta in merito alle gag che avremmo potuto raccontare. Nella prima versione della sceneggiatura, non figurava né Paperoga né Gastone. Mi pare che siano stati aggiunti quando abbiamo suddiviso il tutto in vignette e ci siamo accorti che c'era spazio per altri due personaggi. Non direi che abbiamo lasciato fuori qualcuno, a parte forse gli amici di quando Paperino era "Paperotto". Volevamo includere un loro ritratto alla fattoria di Nonna Papera, ma non c'è stato abbastanza spazio.

A proposito dei riferimenti, abbiamo stilato un'esaustiva lista di easter egg che potessimo nascondere (da Don Rosa, Carl Barks, cartoni animati classici, fumetti francesi, italiani...) e poi abbiamo ragionato se ci fosse o meno lo spazio per poterle inserire. Perciò, alcuni elementi non ce l'hanno fatta, ma quelli a cui tenevamo di più (come la targa dell'auto della polizia) ci sono, ed è fantastico! A noi piace particolarmente l'illustrazione sul gioco da tavolo a cui stanno giocando Qui, Quo e Qua... una sorpresa speciale per gli appassionati italiani!

AL: Per la cronaca, il riferimento più oscuro in questa storia è probabilmente il presentatore a pagina 3. Si tratta di un personaggio creato dagli olandesi negli anni Dieci del Duemila per la loro app di quiz. Era già apparso in due storie, ma solamente in Olanda, siccome era stato aggiunto dalla redazione  all'interno di storie provenienti da altrove, in sostituzione di personaggi anonimi. Perciò, tecnicamente, il suo cameo in Un trou... de mémoire rappresenta la sua prima autentica apparizione!

Vorrei anche sottolineare il fatto che le scelte cromatiche che abbiamo compiuto (e che sono state implementate dal talentuoso Christian Lerolle, che saluto) sono importanti tanto quanto i riferimenti. Per esempio, i Bassotti sono colorati come lo erano stati in alcune illustrazioni di Don Rosa per Picsou Magazine alla fine degli anni Novanta e a Paperoga abbiamo dato sfumature verdi sul berretto e sul collo del maglione perché era colorato così in COUAC !, un inserto pubblicato sul mensile Super Picsou Géant negli anni Duemila. 

Chris Quiz (Kris Kwis) nella versione olandese di Boss Lady (a sinistra) e in Un trou... de mémoire (a destra)

SC: Ciao, Emmanuele! Da un paio di anni, realizzi illustrazioni e copertine per i magazine Disney francesi. Come è nata questa collaborazione? 

EB: Ciao, Simone! In occasione della ristampa in Francia de Gli italici paperi, storia di Matteo Venerus che ho disegnato qualche tempo fa, sono stato contattato da Jean-Baptiste Roux, il curatore di Picsou, per una intervista a tema, uscita poi su Picsou Magazine 560. Da lì, è nata la proposta di realizzare una cover di PM, che è stata la prima che ho realizzato per una testata francese! Il disegno era una doppia cover per Picsou 562 che si sviluppava su prima e quarta di copertina. Da quel momento, ho iniziato a collaborare con grande piacere con la redazione francese per altre illustrazioni e disegni, anche per altre pubblicazioni, come Le Journal de Mickey, Mickey Parade Géant e altri albi fuoriserie.

SC: Noti un approccio o delle esigenze diverse rispetto a quando lavori per il mercato italiano?

EB: Il mio approccio per le cover francesi è a grandi linee identico a quello per la produzione di copertine italiane: bisogna studiare la richiesta, preparare due o tre bozze da presentare ai redattori e, poi, dopo la scelta del disegno, lavorare al definitivo, curando i dettagli, prima per la matita definitiva e poi nell’inchiostrazione.

Due copertine realizzate da Baccinelli per le pubblicazioni francesi

SC: In Un trou... de mémoire, convivono personaggi provenienti dalle fonti più disparate e assenti dalle storie di produzione italiana. Ti sei divertito nel disegnarla?

EB: Ringrazio Jean-Baptiste, Alban e Hugo che mi hanno dato la possibilità di lavorarci. Si tratta di una storia di totale produzione francese dopo parecchi anni dall’ultima e ho sentito un po’di responsabilità, ma mi sono divertito moltissimo a disegnarla! I due sceneggiatori mi hanno fornito uno storyboard molto dettagliato, che ho cercato di seguire il più fedelmente possibile. Da grande fan di Carl Barks e Don Rosa, nonché di Paperino, ovviamente, ho adorato i rimandi e le citazioni presenti nello script, e credo che saranno molto apprezzate dai lettori affezionati. La sceneggiatura di Hugo e Alban ha un bel ritmo e una ottima regia nella scansione degli eventi. Conoscevo bene personaggi come Meo Porcello, José Carioca e Panchito, quindi è stato un piacere disegnarli per la prima volta in questa breve storia celebrativa.

SC: Al momento, a cosa stai lavorando?

EB: In questi giorni, ho consegnato la nuova cover di Almanacco Topolino e una copertina di un -issimo. Sto poi lavorando a una storia a puntate italiana, per Topolino, sto per mettermi al lavoro su nuove copertine per il mercato francese e ho un paio di progetti avviati con Disney/Panini per gadget e illustrazioni.

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