giovedì 29 agosto 2024

Sergio Asteriti more geometrico demonstrato (di Simone Voci)

La spiacevole notizia degli ultimi giorni è che Sergio Asteriti, una delle colonne portanti del fumetto disneyano in Italia (nonché ammirevole illustratore), è venuto a mancare, all'età di 94 anni. Per ricordare e commemorare il suo importante contributo a questo settore, ho deciso di ospitare sul blog un saggio inedito alquanto singolare che mi è stato proposto qualche tempo fa, in cui l'arte di Asteriti viene attentamente analizzata, decomposta e restituita in maniera meticolosa e senza dubbio originale, offrendo spunti di riflessione e chiavi di lettura certamente interessanti. Quanto segue è frutto di riflessioni e suggestioni del suo autore, che mi hanno colpito per la dedizione e la passione rivolte al disegnatore veneziano e alla sua arte, e sono sicuro che siano, almeno in parte, condivisibili. Senza ulteriori indugi, dunque, richiudendomi in un rispettoso silenzio, lascio la parola al corposo scritto di Simone Voci. Buona lettura!

SERGIO ASTERITI MORE GEOMETRICO DEMONSTRATO
di Simone Voci

Anzitutto, una confessione. Chi scrive ama Sergio Asteriti. Questo è abbastanza scontato. Chi mai scriverebbe un articoletto intero — e pure lunghetto — su un autore che non apprezza? Ecco. Il segno grafico del Veneziano ha attirato il sottoscritto fin dalla più tenera età, e continua a farlo ancora oggi.  Mi sono domandato il perché e da ciò ne è venuta una analisi, più o meno dettagliata, delle dinamiche interne dello stile asteritiano: di questa gioia barocca raggiunta tramite un inno al realismo e alla gommosa e bombata pesantezza delle forme.  Un'analisi che si pone come fine quello di "vivisezionare" le palpitanti meccaniche di questo particolarissimo stile e tracciarne un quadro — per così dire — more geometrico, ovvero teso a individuarne gli elementi portanti e la fisica delle loro interazioni e dei conseguenti effetti. Anche quegli elementi che, di solito, incontrano le critiche dei "detrattori" non saranno taciuti. Anzi, verranno messi ben in risalto e sarà mostrato perché questi siano una precisa scelta artistica voluta dall'autore e come essi siano sensati e necessari nell'insieme e negli equilibri del suo modo di disegnare.

Chi è Sergio Asteriti?

Un'ulteriore precisazione d'intenti: il presente scritto non vuole essere una biografia dello storico disegnatore. A tal proposito, ci basterà ricordare che esordisce nel 1963, sul n. 420 di Topolino, con Pippo e la vacanza culturale, sceneggiata da Giampaolo Barosso. Ha realizzato oltre 350 storie e, di queste, sono solo 7 quelle dedicate ai Paperi. Ai topi è rivolta, invece, anche Tip e Tap e lo straordinario mondo del Toc, ultima sua collaborazione con Topolino, scritta da Augusto Macchetto e pubblicata — nel 2017 — sul volume Topolino Classic Edition a lui intitolato. Inoltre, ha vinto anche il Premio Papersera nel 2008. Evento immortalato in video.


Questo, però, non dice quasi niente della poetica dell'artista, appena scomparso all'età di novantaquattro anni. Non dice nulla del mondo grafico asteritiano, dei suoi equilibri, delle sue interne meccaniche e di quanto esso sia stato una specie di contrazione, compressione, ma — al contempo — un rigonfiamento rispetto all'estetica gottfredsoniana e scarpiana (e vedremo perché).

La rivoluzione senza apparenti eredi

È nel disegno che Asteriti pone una personale rivoluzione. In breve: uno scombinamento totale della forza di gravità del mondo Disney, trasformato in un pianeta sul quale quest'ultima viene aumentata per infinite volte. Una rivoluzione silenziosa, chiaramente. Asteriti, infatti, viene (spesso) definito come un disegnatore dal tratto ricco, ma classico. Piacevolmente classico. C'è quasi qualcosa di diabolico nel fatto che un tale scardinamento venga percepito come un ritorno a "ciò che è stato" (anche se, come vedremo, in realtà e in un certo senso, è proprio così). Una rivoluzione garbata, forse nemmeno ragionata, ma venuta fuori da un amore sconfinato per Mickey Mouse e la sua epoca d'oro in calzoni corti, unito a un'elaborazione stilistica personale. Una rivoluzione, in ogni caso, nata come privatissima, senza potenziali eredi e che — invece — ha piantato dei semi duraturi. Da essi, sono nati (più o meno consapevolmente) alcuni eredi, ancorché mai totali. Ognuno di essi ha assorbito questo o quell'aspetto del Maestro, magari senza accorgersene. I più evidenti: Camboni e Mottura; i più scalmanati: Celoni e Lavoradori. Tutti successori — anche se in modo differente — dello sgangheramento barocco dei pesi e delle forme provocato da Asteriti. 

Mottura e Celoni hanno raccolto il "barocchismo" del grande fumettista veneziano: il primo sfociando in una sorta di rococò fatto di giocosi riccioli; il secondo portandolo alle sue più estreme ed espressionistiche conseguenze. Camboni, invece, ne ha raccolto alcuni gusti grafici, pur lavorandoli di fino. Un discorso a parte, infine, andrebbe fatto per Lavoradori: apparentemente, il meno asteritiano a livello estetico, ma — in realtà — colui che ne ha raccolto la lezione in modo più trasversale, compiendo una personale rivoluzione su quella base, sostituendo alle pesanti masse del Maestro un effetto carta o "lastra di metallo". Permane la gravità che schiaccia, che appiattisce i personaggi al suolo, che li gonfia, ma se in Asteriti essa si applica a corpi compatti (già pesanti e corposi di per sé), in Lavoradori — invece — viene a interagire con ambienti e figure accartocciabili, dotati di una pieghevolezza che, in prossimità della soverchiante forza, li costringe a modificarsi e distorcersi con facilità. 

Lavoradori presenta alcune somiglianze con Asteriti, ma modificandone — anche considerevolmente — i connotati: se quest'ultimo prevedeva solo un appesantimento costante verso il basso, l'opera lavoradoriana stabilisce una gravità a sbalzi, che sale e scende di livello. A un appesantimento si sostituisce un improvviso alleggerimento, poi il processo contrario e così via. I corpi lavoradoriani, come se fossero fatti di carta o metallo, si trovano schiacciati e poi stirati, in espansione e compressione (in modo simile a ciò che avviene nelle opere dello scultore César Baldaccini), seguendo i cambi della forza di gravità. E questo, più volte in una sola tavola. Ciò regala un dinamismo inedito rispetto a quello presente nei lavori asteritiani. 

Asteriti e gli asteroidi

I personaggi di Asteriti sono tutt'altro che "dinamici". Sono pesanti e compatti masse schiacciate da una poderosa forza che attrae verso il basso. Non si deformano in maniera dinamica, ma — anzi — rallentano nei movimenti, si premono a terra. Il peso sembra deformarne anche le scarpe, che divengono più grosse del normale, clownesche, quasi come se intralciassero i movimenti. La gravità curva le schiene, e i busti si proiettano in avanti, in una specie di tentativo di aggrapparsi a qualcosa, di trovare un sostegno, per trascinarsi a fatica. 

Le scarpe risultano parecchio importanti nella resa grafica complessiva. Tondeggianti, piuttosto che affusolate; grosse e bombate, gonfiate da uno schiacciamento proveniente dall'alto; di maggiorate dimensioni, anche per un fumetto Disney. Come se i corpi fossero simili a statuette instabili, pesanti, e perciò dotate di una base atta a non farle cadere. Ogni scarpone appare nelle fattezze d'un gravoso oggetto a cui è radicato il corpo di ciascun personaggio; che si tratti di un protagonista, d'un comprimario, d'un antagonista o di una mera comparsa, essi paiono (sempre) camminare con lentezza, per via dell'impedimento causato dalla zavorra. Anche Minni sembra indossare dei pesanti e ingombranti zoccoli, piuttosto che delle eleganti scarpe col tacco. Ogni personaggio è dotato di piedi "sproporzionati" (elemento che l'autore pesca dagli albori del Mickey Mouse dei cortometraggi), quasi che Asteriti voglia piantarli sul terreno, immobilizzarli, impedire loro di muoversi.


Un mondo, quello asteritiano, che esprime una sorta di costante mancanza d'equilibrio dalla quale solo la gravità e la pesantezza dei corpi (o delle calzature) possono salvare, ancorando verso il suolo, in modo che non si possa fluttuare, pericolosamente, per aria. Ogni personaggio è come un asteroide attratto dalla forza esercitata dalla massa abnorme d'un pianeta alieno. Essi sembrano pronti a schiantarsi, ma (assurdamente) iniziano a rallentare, sempre di più, fino ad appiattirsi al terreno, senza riportare alcun danno. Questa è la "grazia" che il disegnatore concede loro, perché possano entrare nel suo calderone magico. 

La cacofonia immobile

Altro elemento peculiare di questo autore è un voluto e realistico disordine. Una rinuncia a tavole essenziali e minimali, ma non realistiche. La gravità attrae e inchioda alla tavola molti "asteroidi". Sono vignette ricche di elementi, quelle di Asteriti, ma tale molteplicità è costretta a una apparente disarmonia, come se ogni cosa venisse obbligata ad atterrare sulla tavola, alla rinfusa. Molti oggetti, personaggi, particolari negli sfondi o sulle cose in scena, ma ognuno di essi segue la sua personale storia. Nel mondo asteritiano, Leibniz ha ragione e anche una banale pianta da ufficio è composta da foglie difformi l'una dall'altra; queste, inoltre, puntano (di solito) verso direzioni diverse per ciascuna, come se la luce cercata fosse differente per ognuna di esse. 

Asteriti decide di non costruire una tavola che sia un oggetto d'arredo o di design, in cui le cose o i personaggi giochino il ruolo di forme eleganti, accordate tra loro come in una scala armonica. Il realismo s'impone. Alla sinuosa sinfonia di Scarpa o del Gottfredson maturo, Asteriti preferisce la cacofonia della realtà, in cui ogni elemento segue i suoi propri tormenti, le sue proprie pieghe imposte dall'essere stati scaraventati nella vignetta. Un mondo che appare come fatto di cose sgualcite, usate. Le scarpe, le vesti, persino le tende, non sono pescate dal pennino e disposte in scena, come se si trattasse di una finzione teatrale in cui tutto è nuovo, mai realmente utilizzato o indossato. No. Tutto è vivo. Asteriti ci catapulta in un cosmo reale, in cui ogni oggetto è stato indossato per ore o per giorni (nel caso di vesti e calzature) e, quindi, risulta spiegazzato, costretto — dal tempo — a forme piene di grinze. Ho scritto che "tutto è vivo", ma dovrei correggermi e scrivere che "tutto è stato vivo". Perché — cosa molto importante — il mondo asteritiano ha i connotati di una diapositiva che ferma le cose e i personaggi, presentandoli (per l'eternità) con le pieghe assunte nel momento in cui la "foto" è stata scattata. 

Laddove Scarpa mira a un arrotondamento liscio, ben stirato, che esprima la costante dinamicità e il continuo serpeggiare delle forme in scena, Asteriti preferisce il rigonfiamento che immobilizza l'azione, con figure inamidate. Come se una tovaglia venisse lanciata in alto; questa si gonfia, per effetto dell'aria, e poi inizia a scendere. Il disegnatore le urla: "Altolà!" ed essa si arresta, per l'eternità, nell'atto dello sgonfiarsi. La forma è arrotondata, "cicciosa", ma — al tempo stesso — colma di pieghe causate dal contemporaneo afflosciarsi.


Un realismo che, paradossalmente, proprio nel suo inseguire la realtà, nel suo volerla fermare, inchiodare al foglio, finisce per rinunciare all'elemento del tempo. Esso è ciò che c'era e che ha prodotto le forme. Il disegnatore ne prende atto e accetta il dono che la successione temporale (ormai giunta a termine) gli ha fatto. Ne celebra le gesta, senza rappresentarlo. Anche qui, gioca il suo ruolo l'abnorme gravità asteritiana che — come impone la relatività generale — distorce il tessuto del tempo, rallentandolo, fino ad arrestarlo definitivamente e farlo morire. Sembra di essere nell'ultima surreale storia da lui ideata e disegnata: Tip e Tap e lo straordinario mondo del Toc. In essa, i due fratelli scoprono che, tra il "Tic" e il "Tac" dell'orologio, esiste una dimensione di mezzo: il "Toc". Ecco. Anche Asteriti ha scoperto un "Toc", in mezzo al ticchettio del tempo. Un'eternità fatta di grinze e pieghe. 

La "grinzosità" (seppur "arrotondata" e non tagliente), infatti, è un elemento spesso criticato dello stile di Sergio Asteriti, ma consegue dal realismo del disegnatore. Un realismo non cinematografico, ma da "copia dal vero" o da "natura morta". I personaggi e gli oggetti, gli ambienti stessi, sono trattati come tendaggi e frutti disposti — frettolosamente — su di un tavolino. Immobilizzati, senza alcuna volontà di simmetria o di composizione armoniosa. Asteriti vuole la realtà morta, perché quella viva — se disegnata — dovrebbe essere rappresentata in modo irreale, attraverso forme non veritiere, per fare un semplice piacere al dinamismo filmico e al minimalismo grafico. E il procedere asteritiano non lo ammette. Gli sembra una violenza nei confronti della verità, la quale deve essere colta così com'è, senza aggiustarle il colletto o il bavero. È come se Sergio Asteriti giocasse a "Un, due, tre, stella!". Si gira, senza preavviso, e tutto deve arrestarsi, in qualunque posizione si trovi, anche se questa dovesse risultare scomoda o — nel nostro caso — non sinuosamente dinamica e cinetica. Ovviamente, anche il già citato Scarpa aggiunge pieghe e spiegazzamenti, ma lo fa in modo più minimale, mirando a un tratto maggiormente "pulito", essenziale, e perciò capace di flettersi in movimento. Asteriti, al contrario, le pieghe le tratta come oggetti reali, le prende sul serio e le rappresenta in modo plastico e asimmetrico, dando un senso di realismo superiore. 

All'eccesso di gravità, dunque, s'accompagna un eccesso di realtà. Gli elementi in scena non sono solo pesanti come oggetti reali, ma sono anche fermati in tutta la loro sgraziata concretezza. La forza gravitazionale asteritiana costringe tutto quanto a immobilizzarsi, pure se non sistemato o sgualcito. Asteriti, in breve, non si dota di un immaginario ferro da stiro attraverso cui eliminare le pieghe, ma — anzi — lascia ogni cosa "raggrinzita" così come l'ha trovata. Gonfiare, iniziare a sgonfiare e fermare tutto, prima che il processo si sia completato. Cogliere il momento di mezzo tra i due punti, immobilizzare la dinamica: in questo sta la rinuncia consapevole al dinamismo. Un mondo fatto di grinze, di pieghe. Si parla di oggetti di stoffa spiegazzati. Una stoffa che appare trattata con l'amido, assumendo i connotati del marmo modellato per apparire come un tendaggio. Con Asteriti, siamo in pieno Barocco. 

La cacofonia dei molti mondi

Suggerivo — qualche paragrafo sopra — che, nelle vignette di Asteriti, ogni oggetto segue la sua propria storia. Le mura si lasciano trascinare dal flusso della propria privata narrazione, disinteressate al resto, riempiendosi di particolari e crepe che sembrano non notare nemmeno ciò che sta loro attorno. Anche una banale tenda viene disegnata come "assorta" nei suoi tormenti, nelle sue pieghe, nella sistemazione storta che il disegnatore le ha imposto per aumentare il realismo degli elementi in scena. Lo stesso accade con arnesi e tegole. I primi, non sono semplici rappresentazioni idealtipiche di uno strumento (che si tratti d'un martello o d'un innaffiatoio). Vengono dotati di storture, ombre, parti leggermente rovinate. Le seconde, vengono disegnate una diversa dall'altra; anche quando sono appena accennate con un veloce gesto grafico, ognuno di essi è tracciato in modo difforme. Nel mondo asteritiano, ogni oggetto — innanzitutto — è necessario che funzioni da solo. Addirittura gli alberi devono fare — prima di ogni cosa — gli "alberi, in quanto "alberi". Non gli alberi di una scena complessiva, bensì devono mantenere il proprio ruolo anche se estratti dalla vignetta e posti nel vuoto. Ed è per questo che Asteriti, se deve raffigurare le loro fronde, non lo fa (quasi mai) delineandone solo i contorni. Aggiunge, entro di essi e qua e là, alcune foglie, disegnate una a una, con cura, oppure qualche tratto sparso, sì minimale, ma ognuno differente dall'altro. Come se l'impeto del realismo vincesse ogni moto alla semplificazione. 


Gli elementi della vignetta vivono di una vita propria, particolare, privata, individuale. Questo intendevo quando mi riferivo a tende assorte nelle pieghe dei propri tormenti. Porte, aste di legno, vasi, cespugli, vestiti o tovaglie devono essere — potenzialmente — sfilabili dalla tavola e permanere, intatti, nella propria immobile credibilità. Un mondo assemblato, in cui ogni cosa viene disegnata in sé e per sé, offrendo una ricchezza di particolari, pieghe, incrinature, sgualcimenti. Un puzzle di vite singole e di storie isolate: ogni oggetto è una narrazione assorta in sé stessa e dimentica di ciò che la circonda. L'interdipendenza non è data dall'accordo armonioso tra le parti, ma dalla convivenza forzata, senza scambio di "buongiorni": elementi che si ignorano tra loro, costretti a soffrire lo stare in bilico e l'usura, ma in totale silenzio e in apparente solitudine.

Una cacofonia fatta di molti mondi, mai in reale collisione tra loro. Il disordine, ma senza schianti e urti. La tempesta della realtà e la potenziale, ma mai espressa, belligeranza delle cose molteplici, ognuna chiusa in sé medesima. Eppure, una forma di rapporto tra di esse esiste: quel rinchiudersi ognuna nel proprio privato bunker avviene — che lo si voglia o no — in una scena visivamente colta con un solo sguardo. È questa coesistenza ottica obbligata a portare a un'inevitabile relazione reciproca, ovvero quella rappresentata dall'intralcio vicendevole a un compiuto isolamento.

La sinfonia nella cacofonia

Asteriti è l'artista delle parti e non del tutto. Sbatte in faccia al lettore una cruda realtà: il tutto è fatto di parti ed esse sono — innanzitutto — sistemi isolati, mondi a parte, che s'intralciano a vicenda. Ma questo non significa che il disegnatore veneziano dimentichi l'intero, a favore del singolo particolare. Semplicemente, ci arriva in maniera tortuosa, diversa. La sinfonia sorge dalla cacofonia, non per annullare quest'ultima, ma, piuttosto, per rendere possibile un'armonia che sia (per quanto assurdamente) disarmonica. Il cosmo grafico asteritiano è pervaso da un equilibrio instabile donato da due caratteristiche già citate: 

1) Come enunciato poc'anzi, il fatto che ogni elemento sia costretto a coesistere in un solo sguardo fa sì che essi entrino in una relazione di tipo negativo: ogni cosa intralcia l'isolamento dell'altra, le grida "non sei sola!". Proprio il fatto che ogni oggetto tenti di isolarsi in sé stesso o, per meglio dire, provi a mettersi in risalto, attraverso una ricchezza di particolari inusuale, proprio questo impedisce a ciascuno degli elementi di apparire come realmente isolato: lo sguardo si posa sulla vignetta e nota un albero, poi una casa, poi una veste, poi un muro, e così via; viene catturato da questo o quel segno grafico e gli è impossibile fermarsi su uno solo di essi. Ognuno di questi pare dire: "Guardami! Ci sono unicamente io!", ma lo stesso fanno tutti gli altri e il lettore non sa cosa scegliere e dove arrestarsi. Il tentativo di isolamento è intralciato dallo stesso tentativo di isolamento: il porsi in isolata evidenza, in quanto condotto da ciascuno degli elementi in scena, intralcia quello di tutti gli altri. E anche questa, seppur negativa, è una forma di rapporto. 

2) La gravità che schiaccia tutto, indifferentemente; le case o le porte, gli animali parlanti come gli animali non parlanti. Tutto viene compresso verso il basso, curvato, a volte in modo più percettibile e — altre volte — in modo meno palese. Questa gravosa condizione comune regala alle scene una specie di rumore di fondo unitario, testimoniato dalla generalizzata curvatura. Ma non solo. Dà anche l'idea di una sorta di equilibrio sempre pronto a rompersi. Le figure asteritiane sembrano anelare a una stabilità individuale e totale irraggiungibile, ma che — nell'atto stesso di essere, perlomeno, tentata — regala al tutto una tensione che gli permette di reggersi in piedi, nonostante il peso. Le forme, premute al suolo, paiono muoversi controcorrente o controvento. L'impedimento gravitazionale regala loro una tormentosa ricerca di punti saldi che le accomuna, le rende parte di una medesima impressione generale. 

Il "tutto" esiste in Asteriti, ma si dà nella misura in cui contrasta con le "parti", nella misura in cui le costringe a una convivenza forzata e a una gravosa tortura comune. Non è la pace universale, ma un condominio di eremiti o prigionieri. 

Barocchismo e bomboniere bombate

Che descrizione tetra! Certo, messa così, il quadro del Nostro sembra essere quello d'un freddo realista, creatore di scene asfissianti, soffocanti, tragiche... Nulla di tutto questo! 

Asteriti, infatti, compie un vero e proprio miracolo. Questa costrizione all'immobilità senza tempo e a una comune gravità si ricopre di forme, sì spiegazzate, ma — come si diceva — rigonfie. Un rigonfiamento da bomboniera. Ecco l'opera alchemica asteritiana: unire la pesantezza e il realismo a una festa estetica fatta di bomboniere barocche, accompagnate da tratti spessi, pesanti quanto gli elementi di cui sono contorno, ma — proprio per questo — morbidi. Il disegnatore si diverte e gioca come un bambino e il prodigio sta proprio in questo: la gravità si trasforma in un elemento giocoso e festoso, fanciullesco. "Giocattoloso".

Ed è il connubio di questa con il realismo — la ricchezza dei particolari, delle figure in scena, il disordine voluto e l'immobilità da pittura di natura morta — a formare lo stile asteritiano nel suo complesso. Proprio il realismo (così adulto e serioso, all'apparenza), dal momento che aumenta i particolari da disegnare sulla tavola, accresce il numero delle occasioni, delle forme, cui applicare quella gommosa e giocosa pesantezza. Insomma: proprio dalla matura attenzione realista al particolare, sorge l'allegria bambina, fatta di un profluvio di figure tondeggianti e arricchite di dettagli dal contorno spesso e cartoonesco


Evoluzione dello stile

Bisogna dire che questo aspetto dei contorni spessi inizia palesarsi, sempre di più, attorno alla fine degli anni '80, per poi esplodere negli anni '90 e 2000. A molti non piaceva e non piace. Chi scrive, al contrario, lo apprezza molto e ritiene doveroso notare alcuni elementi di questa lenta (e decennale) trasformazione grafica. 

Negli anni '60 e '70 (e buona parte della prima metà degli anni '80), Asteriti ha la tendenza a inchiostrare le figure attraverso contorni di spessore pressoché uguale, senza troppe differenze tra le parti inchiostrate. Per capirci, Scarpa presenta una maggiore varietà di spessori, andando ad alleggerire il tratto o a inspessirlo, regalando tavole dall'aspetto meno visivamente pesante o corposo. Le tavole di Asteriti, al contrario, già in questi primi decenni, vedono una forte presenza del nero, cosa che regala loro una discreta pesantezza (di cui si è detto sopra): elemento che può essere amato (come dal sottoscritto) o no, a seconda dei gusti. 

Quale sia il motivo della scelta asteritiana, non è facile capirlo fino in fondo e si possono abbozzare almeno due piste: 

1) È tutt'altro che una semplice impresa quella di raccogliere materiale dell'Asteriti pre-Disneyano, ma è necessario guardare a esso, dato che il Nostro compie un'indipendente gavetta di quasi un decennio, prima di approdare sul Topo. Nelle riviste per cui lavora (di cui è possibile consultare appena qualche scorcio, sul web), si può notare un particolare interessante: contorni dal tratto che varia, ma di qualità ben più spessa rispetto a quello che era il canone del giornalino targato Disney. Chi scrive fa una serie di ipotesi: forse, Asteriti è stato "costretto", nel suo passaggio su Topolino, ad alleggerire il tratto che si portava dietro dalle riviste su cui aveva lavorato per quasi un decennio? E, forse, questo costretto alleggerimento è rimasto un elemento estraneo per l'autore, il quale non riusciva sempre ad applicare una variazione di tratti, proprio perché non abituato a lavorare con inchiostrature così sottili? Se si prende per buona tale pista, Asteriti avrebbe avuto un tratto poco vario proprio perché non abituato a lavorare con contorni troppo sottili. Questo gli avrebbe reso assai scomodo lo scendere troppo di spessore, ma — al tempo stesso — i canoni Disney imposti all'epoca gli avrebbero impedito di controbilanciare con spessori più grossi. E, da qui, l'effetto finale: poca varietà negli spessori. Poi, passati i decenni e — forse — acquisita una maggiore libertà professionale (magari, anche legata ai gusti estetici cambiati), ecco riapparire l'antico stile asteritiano delle riviste degli anni '50/60: un inspessimento generale del tratto e, così, una riacquista varietà di spessore. Questo è l'Asteriti fine anni '80 e anni '90. Tra gli anni 2000 e 2010, un'ulteriore trasformazione: diminuisce la varietà di spessore, ma rimane il tratto pesante. Come se Asteriti, abituato (ormai), da decenni, a un tratto senza variazione, fosse tornato a quella comoda soluzione, pur mantenendo l'altrettanto comodo spessore della sua formazione extra-disneyana. Un'ultima ipotesi conclude tale prima pista: forse, anche la ricerca della ricchezza di particolari e il realismo vengono da quelle esperienze di gavetta e dagli incontri con Faustinelli, Ongaro e Pratt? Da questa intervista, apprendiamo che Asteriti si riteneva non in grado di darsi al fumetto realistico: forse questa convinzione tradisce una sorta di desiderio che si esprimerà, negli anni a venire, nella ricerca di una commistione tra cartoonesco e realistico?

2) E arriviamo alla seconda pista (non per forza alternativa alla prima; potrebbero benissimo convivere e creare un quadro complessivo): l'elemento del tratto "grosso", unito alla poca varietà dello spessore, potrebbe essere una preferenza estetica del disegnatore, forse presa dai cortometraggi Disney con protagonista Mickey Mouse e da quel Gottfredson primissima maniera che sempre ha ispirato e appassionato il Nostro (il quale, sempre nella succitata intervista, ha a dire di avere il desiderio di tornare al Topolino scanzonato, e in calzoni corti, della sua infanzia e adolescenza). Infatti, specie nei primi cortometraggi, si era soliti utilizzare contorni spessi e uguali per gli elementi protagonisti e coprotagonisti in scena, per staccarli rispetto allo sfondo, reso con toni di grigi più sfumati. Lo stesso Gottfredson prima maniera, per quanto utilizzasse una discreta varietà di spessori, tendeva a una grandezza del tratto maggiore rispetto ai canoni successivi. Se si osserva una tavola del geniale autore, non si potranno non notare delle forti somiglianze con l'Asteriti del periodo extra-disneyano: contorni grossi, ma varietà di spessori. Cosa che potrebbe portare a ipotizzare un'ispirazione stilistica, poi rimasta negli anni, nonostante le "imposizioni" del nuovo canone a tratto più sottile. 

Scarpa e Asteriti: due diverse interpretazioni di Gottfredson

Se volessimo usare una metafora presa in prestito dalla storia dell'arte, dovremmo dire che Scarpa è stato classicista, mentre Asteriti barocco. Abbiamo già accennato alle differenze di stile tra i due nei precedenti paragrafi. Inutile ripetersi. C'è, però, un aspetto del loro stile che va indagato, anche se brevemente, e che mette ancora più in luce il classicismo del primo e il barocchismo del secondo. Entrambi, infatti, si rifanno a Gottfredson, sia implicitamente che esplicitamente. Eppure, presentano due stili tanto differenti. Quindi, la diversità di interpretazione dello stile del comune Maestro da cosa dipende, principalmente? Penso di avere una risposta, per quanto non definitiva. Essa viene dal diverso periodo (considerando l'intera produzione del grande autore e disegnatore americano) preso come ispirazione cardine: il primo Gottfredson per Asteriti e il Gottfredson maturo per Scarpa. 

La cosa è abbastanza evidente in quest'ultimo: il suo modo di disegnare ricalca (pur con delle ovvie variazioni) lo stile dell'ultimo Gottfredson delle continuity a strisce, quello degli anni ‘50. Per Asteriti, la questione è più complessa: non c'è un ricalco completo, ma una specie di reinterpretazione del primo Gottfredson attraverso lo stile della fase più matura. La fase primordiale rimane la principale ispirazione, ma è rivisitata attraverso le fasi degli anni successivi, quasi come necessario correttivo dovuto ai tempi. Pare di vedere una specie di linea temporale alternativa nella quale Gottfredson, anziché andare verso una progressiva razionalizzazione del segno, si sia spinto a maturare l'aspetto "gommoso" dei suoi primi disegni. Certo, viene perso l'aspetto filiforme ed esile dei personaggi ed essi guadagnano massa come nel Gottfredson anni ‘50, ma conservando la gommosità. 


Da qui, ecco il perché della gommosità pesante o della pesantezza gommosa (così barocca, affascinante, e così diversa dalla linearità di Scarpa). Che sia questo il motivo di quel gioco gravitazionale asteritiano di cui ho scritto diffusamente? Forse. In effetti, è probabile che il dover buttare lo sguardo su due così differenti periodi gottfredsoniani abbia spinto necessariamente il Nostro a "esagerare" con le masse dei personaggi, in modo da non cadere in un effetto troppo old style

Ma, chiaramente, si tratta solo di una ipotesi che non vuole esaurire lo spazio del dibattito.

Una narrazione gravitazionale

Giungiamo, finalmente, a un ultimo punto della questione Asteriti: il rapporto tra il suo inconfondibile stile e la narrazione nelle vignette; la relazione, insomma, tra disegno e sceneggiatura. Il Nostro, infatti, utilizza quella pesantezza più volte citata per far recitare i personaggi in scena: la gravità, spesso, li piega in avanti, proiettando braccia e mani in varie direzioni, producendo una gestualità molto forte e che serve per narrare gli stati d'animo dei personaggi. 

In realtà, qualcosa di simile lo si può trovare anche nella rappresentazione che Scarpa fa di Mickey e Minnie: entrambi risultano deformarsi e schiacciarsi — quasi come in Asteriti — verso il basso e gesticolare di conseguenza. Questo deve essere un retaggio della comune scuola gottfredsoniana e dei primi cortometraggi con protagonista Topolino, ma una differenza distingue i corti dalle strisce di Gottfredson: mentre nei primi vediamo che questo fenomeno dello schiacciamento — in pieno stile espressionista, quasi come un fossile del cinema muto — riguarda tutti i personaggi in scena, è con Gottfredson che le cose cambiano. A deformarsi verso il basso, comprimersi ecc. sono, in particolare, i personaggi maggiormente antropomorfi (Topolino, Minni, Pippo, principalmente). Quelli più umani, invece, tendono a presentare pose più dritte e anatomicamente realistiche. Pare quasi che Gottfredson abbia pensato il mondo Disney in maniera differente rispetto a come esso era stato concepito nei cortometraggi: Topolino, Pippo e co. vengono concepiti quali elementi cartooneschi inseriti in un mondo, tutto sommato, realistico. Elementi estranei e, per tale motivo, capaci di produrre un effetto comico per via del moderato contrasto rispetto all'ambiente. In Scarpa questo rapporto si mantiene. 

Asteriti, invece, torna alla concezione pre-Gottfredson, recuperando la deformazione generalizzata dei cortometraggi e tornando, quindi, a un espressionismo tipico della transizione dal muto al sonoro nel cinema. Ogni personaggio in scena, infatti, è costretto a recitare, per via di una gravità soverchiante che piega ognuno di essi, quasi contro la loro volontà, verso il basso, costringendoli a tentare di trovare spazio per gli arti in altre direzioni, come se il soffitto stesse piombando loro in testa ed essi si ritrovassero schiacciati, in un gesticolare che ha più l'aspetto di una necessità che di una effettiva scelta di chi gesticola. Uno spazio che sembra esser ridotto anche dalla ricchezza degli elementi di contorno in scena, i quali paiono obbligare i personaggi a scappare dalla vignetta, a cercare una via di uscita. Tale ricchezza, d'altra parte, è connotata da un'espressiva tattilità, quasi che si riuscisse a toccare quelle masse, quei corpi, a sentirne la solidità, forse proprio per via delle loro reazioni a un'immaginaria forza di gravità generale; reazioni che mettono alla prova la loro matericità e regalano un'idea più precisa di quale debba essere la loro consistenza. 

Questa espressività tutta fisica e tutta gravitazionale interagisce con la sceneggiatura mettendo in risalto ciò che accade o viene detto, funzionando da fisicissimo punto esclamativo o materica sottolineatura. Cosa molto azzeccata in un medium i cui fruitori — in maggioranza — si posizionano in un'età preadolescenziale. Asteriti è un maestro dell'interazione tra espressioni facciali e gesticolazione corporea, ma in un modo ben preciso: le prime sono moderate, per quanto molto azzeccate. Una semplicissima variazione nel tratto o nella forma degli occhi, infatti, basta e avanza, dato che viene immediatamente soccorsa da una gesticolazione — invece — radicalmente accentuata. La non dinamicità da fermo-immagine (di cui si scriveva sopra) convive con una dinamica prodotta da una ricchezza di espressioni e gesti, per quanto realisticamente immobilizzati a mo' di natura morta. Realismo da diapositiva e cartoonesco convivono perfettamente nello stile del Nostro. 


Un calibrato gioco di elementi che permette (provare per credere!) di seguire le storie anche senza leggerne i dialoghi. Questi ultimi pare quasi che vengano integralmente riprodotti dal segno grafico: non semplicemente aiutati dai disegni, ma totalmente reinterpretati, resi in china e forme. Ci si trova davanti, dunque, a due elementi (disegno e sceneggiatura) che convivono non nel completarsi a vicenda in modo organico, ma nel loro essere l'uno la copia dell'altra. Due gemelli. Convivenza, insomma, nella perfetta uguaglianza. Una scommessa audace, quella di Asteriti, dato che in una soluzione del genere potrebbe palesarsi il rischio di una ridondanza che riesce perfettamente a evitare, sapendo esattamente quanto spingere nell'espressività grafica e quando fermarsi. 

Conclusione

Che dire ancora? È stato un lungo viaggio dentro la china e il pennino di questo incredibile autore. Personalmente, si è trattato di un percorso istruttivo, perché mi ha costretto a pensare ai "perchè" e "per come" del suo stile, oltre che ai "come mai" della mia fascinazione verso di esso. Questi ultimi non li ho, chiaramente, inclusi nel corpo degli scorsi paragrafi, ma credo di poterli riassumere qui, poiché sono abbastanza convinto che siano condivisi da molti: il suo stile richiama epoche che generano immediata nostalgia. Lo si collega, istantaneamente, a quella che è stata l'epoca d'oro della produzione Disney italiana.

Certo, ho riferito (all'inizio di questo scritto) che esiste qualcosa di diabolico nel fatto che uno scalmanato rivoluzionario come Asteriti — il quale ha rivoluzionato tutto, non solo andando avanti, ma anche tornando indietro, fino al pre-Gottfredson, pure se sempre a modo proprio, seguendo vie inedite — sia percepito come un classico che più classico non si può. Ma un motivo c'è. Anzi, due. Il primo è che, effettivamente, Asteriti (come abbiamo visto) coi classici ci gioca parecchio, addirittura recuperando dinamiche da cortometraggio in bianco e nero. E il secondo è molto semplice: questo autore ha fatto, letteralmente, la storia del fumetto Disney in Italia, costituendo una linea alternativa, dissidente se si vuole, rispetto a quella "vincente" di Scarpa. Sempre con garbo, senza sgomitare, tanto da stupirsi di essere ricordato e amato da così tanti "bambini" ormai cresciuti (come alla premiazione del Papersera). 

© Disney per le immagini pubblicate.
L'Eco del Mondo non ha in alcuna maniera partecipato al concepimento o alla stesura dell'articolo pubblicato se non nella fase finale di revisione e editing. Ogni tesi e ipotesi avanzata è, pertanto, da considerarsi frutto di riflessioni personali ed esclusive dell'autore e il testo viene qui proposto per il suo valore di approfondimento e spunto per futuri dibattiti.

martedì 13 agosto 2024

[ESCLUSIVA] Copertina ufficiale e data di pubblicazione di Un travail pour Fantomiald

In queste calde giornate di agosto, Nicolas Pothier (con cui si è fatta una bella chiacchierata il mese scorso a proposito della sua Mickey contre l'Alliance Maléfique, tra le altre cose in arrivo in Italia per Panini Comics a settembre) mi segnala data di pubblicazione e copertina ufficiale della sua prossima fatica targata Disney/Glénat, Un travail pour Fantomiald, disegnata da Batem, già autore della serie Marsupilami.

Durante la nostra chiacchierata, aveva dichiarato a riguardo: 

Nella nostra storia, Paperino deve assolutamente trovare un lavoro per poter pagare l'affitto a Zio Paperone, che altrimenti rientrerebbe in possesso della sua casa e scoprirebbe il nascondiglio sotterraneo di Paperinik. Il volume è composto da quattro racconti che sviluppano questa idea iniziale, ma che allo stesso tempo possono essere letti separatamente.

Una storia, dunque, dal sapore classico, che riecheggia le prime imprese del diabolico vendicatore martiniano, prima che egli si prestasse a paladino di Paperopoli. D'altronde, lo stesso Pothier ha affermato di essere "partito dall'idea iniziale del personaggio, ovvero che Paperino si mascheri prima di tutto per risolvere i propri problemi."

Ebbene, questo nuovo volume, il diciottesimo della prestigiosa collana Disney by Glénat, verrà distribuito in Francia a partire dal prossimo 9 ottobre, una data da non perdere! La copertina ufficiale, che riporto qui sotto (oserei dire in esclusiva), mostra Paperinik alle prese con alcuni personaggi discutibili, come il miliardario Rockerduck e un Bassotto.


© Disney/Glénat per l'immagine pubblicata.
Si ringrazia Nicolas Pothier per avere condiviso le informazioni riportate nell'articolo e l'artwork ufficiale della copertina del volume.

lunedì 29 luglio 2024

Riemergono strisce inedite di Ken Hultgren con Paperino!

Sin dalla sua creazione, questo blog riporta nel suo sottotitolo tre parole che possono in qualche modo essere considerate le categorie degli articoli in esso pubblicati: "ricerche, interviste e curiosità". Se, negli ultimi anni, le ricerche e le interviste hanno rappresentato la maggior parte degli scritti, ritengo che ogni tanto sia utile dare spazio anche a qualche curiosità. Ebbene, l'articolo odierno ha, a mio avviso, la stessa intenzione e lo stesso scopo di certi vecchi post, come questi, in cui pubblicavo le rarissime strisce di Topolino di Fred Spencer per il cordone DeMolay (restaurate nel 2011 dallo storico Paul F. Anderson), oppure questi, in cui contestualizzavo le curiose strisce di Lars Bylund realizzate negli anni Trenta per promuovere il dentifricio Vademecum, mettendole a confronto con i disegni originali di Floyd Gottfredson che erano stati utilizzati come riferimento dall'artista svedese. In entrambi i casi, si trattava di materiali per lo più inediti e in larga parte ignoti, soprattutto in Italia (come ricordava l'immenso Luca Boschi qui), e, a distanza di quattordici anni, ho avuto modo di ritrovarne menzione solamente nel libro Disney a fumetti di Alberto Becattini, pubblicato da ANAFI nel 2019.

Ciò di cui scrivo oggi, però, non riguarda strisce apocrife o semi-apocrife, ma vere e proprie strisce ufficiali realizzate nell'ambito delle produzioni sindacate firmate Walt Disney da nientemeno che Ken Hultgren, animatore già coinvolto nella realizzazione di lungometraggi animati come Biancaneve e i sette nani (1937), Bambi (1942) e La bella addormentata nel bosco (1959), nonché autore dell'adattamento a fumetti di Bambi (1942) e del suo "seguito" (1943). Nel settembre 1958, infatti, alla striscia quotidiana di Mickey Mouse, ormai da anni autoconclusiva, se ne affianca un'altra, senza dialoghi, intitolata Mickey Mouse and His Friends. Questa nuova produzione sperimentale prende il via il primo settembre 1958 e viene conclusa il 17 marzo 1962 e i suoi autori sono inizialmente Milt Banta (testi) e Ken Hultgren (disegni), seguiti da Roy Williams (testi), Riley Thomson (disegni), Manuel Gonzales (disegni) e Julius Svendsen (disegni). 

Se, nelle strisce pubblicate, i "friends" di Topolino sono gli stessi che appaiono regolarmente nella coeva produzione di Gottfredson (Minni, Pippo, Pluto, Clarabella e il nipotino Tip), sono recentemente "venute a galla" ben sette prove realizzate da Hultgren in cui figura invece Paperino, sostituito poi in alcune delle versioni definitive. Evidentemente, si è preferito non volere mescolare i due "mondi" dei principali standard character disneyani. D'altronde, come affermerà lo stesso Gottfredson in un'intervista a Malcolm Willits datata 1968: "le due strisce [quella di Topolino e quella di Paperino] venivano a volte vendute a quotidiani concorrenti, perciò se un giornale acquistava Paperino, non sarebbe stato corretto che apparisse nella striscia di Topolino pubblicata dal suo rivale" [trad. mia]. In ogni caso, questa scoperta dimostra quanto la ricerca sull'ingarbugliato mondo dei personaggi su carta possa ancora portare alla luce delle straordinarie perle anche a distanza di sessantasei anni!

Di seguito, riporto alcuni confronti tra le versioni con e senza Paperino. Per visionare la lista delle strisce finora riemerse, rimando a questo link.

4 settembre 1958


8 settembre 1958


11 settembre 1958


13 settembre 1958

© Disney per le immagini pubblicate.

martedì 9 luglio 2024

Si parla di Un trou... de mémoire (Mathias, Leloup/Baccinelli, 2024) assieme ai suoi autori

Nel corso dell'ultimo articolo, si è parlato della collana Glénat di produzioni originali con personaggi Disney. In quel caso, come si è detto, si tratta di fumetti "atipici", d'autore, di interpretazioni piuttosto creative, mentre le storie Disney "regolari" trovano la loro collocazione tra le pagine delle pubblicazioni francesi edite da Unique Heritage, con cui ho avuto il piacere di collaborare in un paio di occasioni.

Ebbene, per celebrare i festeggiamenti per il novantesimo compleanno di Donald (su cui ho scritto qualcosa qui), Picsou Magazine 579 sfoggia, in bella vista in copertina, la dicitura "Donald made in France". All'interno del numero, infatti, vi è un fumetto inedito, realizzato appositamente per la rivista, in cui Paperino, rinvenendo un buco nella sua prima giubba, si reca da amici e parenti per tentare di ricordare a quale evento risalga. Per comprendere il motivo della rilevanza di questa storia, bisogna fare un piccolo distinguo tra la situazione dei fumetti Disney in Francia e in Italia. Nel nostro paese, come si sa, vengono realizzate ogni settimana storie nuove, pubblicate su Topolino; in Francia, invece, la produzione di fumetti disneyani (iniziata negli anni Cinquanta) ha cominciato ad arrancare nei primi anni Dieci del Duemila. Difatti, a partire dal 2011, gli unici materiali a fumetti inediti prodotti per le riviste d'Oltralpe sono storielle da una o due tavole delle serie Les p'tits boulots (con protagonista Paperino) e Énigme (con protagonista Topolino). Le uniche, ambiziose, eccezioni sono rappresentate da Pas de repos pour les héros (Augereau, Chamblain/Pérez, Fernández, 2017), L'idole sacrée de l'île aux cent volcans (Chamblain/Pérez, Fernández, 2018) e Enquête en pleine tempête (Chamblain, Lichten/Pérez, Fernández, 2018), tre insolite avventure corali da quarantotto tavole l'una, pubblicate a episodi su Le Journal de Mickey.

Particolare dalla copertina di Picsou Magazine 579

Ora, nel 2024, Un trou... de mémoire (espressione idiomatica traducibile come "Un vuoto... di memoria", che, in questo caso, gioca con il significato letterale di "trou", "buco") interrompe la lunga assenza di produzioni originali e propone una lettura apprezzabile su più livelli, che strizza l'occhio ai lettori più esperti attraverso citazioni e riferimenti a grandi classici donaldisti. Ma chi sono i suoi autori? Ai testi, abbiamo Hugo Mathias e Alban Leloup, che da anni si occupano della redazione di introduzioni e articoli per le pubblicazioni francesi; ai disegni, invece, ritroviamo un certo Emmanuele Baccinelli, nome ben noto in Italia, artista e illustratore di punta delle testate Panini. Con simili natali, questo breve racconto celebrativo non può che promettere bene! Come, ormai, è diventata consuetudine, mi sono prodigato per ottenere commenti preziosi dai diretti interessati. Buona lettura!

SC: Simone Cavazzuti
HM: Hugo Mathias
AL: Alban Leloup
EB: Emmanuele Baccinelli

SC: Hugo, Alban... cominciamo da voi! Da lettori di fumetti Disney a redattori dei magazine Disney a sceneggiatori. Quale è la vostra storia?

HM: Ciao, Simone! Io ho iniziato a leggere i fumetti di Paperone e Paperino nel luglio 2004, quindi esattamente vent'anni fa! Il mio fumetto "Numero Uno" è stato Super Picsou Géant 122 e sono diventato subito un appassionato. Compravo tutte le riviste che potessi trovare nelle librerie e visitavo mercatini dell'usato e inserzioni eBay alla ricerca dei vecchi numeri.

Dopo essere diventato un grande fan di Don Rosa, ho iniziato a leggere i suoi fumetti in inglese... e mi sono reso conto di moltissimi errori di traduzione. Perciò, nel 2017, ho deciso di redigere una tabella con tutti gli errori che riuscissi a trovare — si aggirava attorno al migliaio di righe — e nuove traduzioni fatte da me. Ho contattato il direttore di Picsou Magazine (che, all'epoca, era ancora quello storico, Pascal Pierrey) ed era interessato, ma alla fine non siamo riusciti a farci nulla. Però, abbiamo iniziato a entrare in confidenza e, quando un paio di mesi dopo mi ha detto che stava lavorando a una nuova formula per Picsou Magazine e che stava cercando nuovi giornalisti, ho immediatamente colto l'occasione al balzo! Lavorare per questa rivista è un sogno diventato realtà!

In seguito, Jean-Baptiste Roux è diventato direttore e, quando ci ha detto che aveva in mente di rilanciare la produzione di storie francesi, gli ho inviato con frequenza alcune idee, ma sempre per storie troppo lunghe. Alla fine, scorgendo il novantesimo compleanno di Paperino all'orizzonte, ho pensato: "Ok, questa è un'occasione perfetta, pensiamo a qualcosa di breve e convinciamolo!" Ho portato Alban con me in questa missione e, questa volta, Jean-Baptiste ha detto di sì... e gliene siamo eternamente grati!

AL: Non ho mai pensato che un giorno avrei lavorato per una rivista che ha plasmato la mia infanzia (e quella di così tante altre persone)! Ma non ho nemmeno mai pensato che avrei realizzato un cortometraggio come tributo a Telecat (un programma di pupazzi incredibilmente bizzarro degli anni Ottanta) o che avrei scritto un romanzo storico. Eppure, sono riuscito a fare queste cose perché persone incredibili me ne hanno data la possibilità e mi hanno concesso le loro energie e il loro sapere. Jean-Baptiste Roux mi ha dato questa possibilità e sembra che sia venuto fuori qualcosa di buono! 

Ovviamente, sognavo di fare fumetti quando ero un bambino, ma penso che sia così per tantissimi piccoli belgi. Dopotutto, il Belgio è IL paese dei fumetti. Sono ovunque intorno a noi: nelle nostre case, nei nostri musei, sui muri delle nostre strade... Ma, parlando specificatamente di fumetti Disney, credo di essere molto più appassionato ora di quanto non lo fossi da bambino. Non mi fraintendere: adoravo i vecchi volumi di Mickey Magazine degli anni Cinquanta che trovavo in soffitta, e amavo leggere Picsou, ma non avevo accesso ai numeri più recenti. Quando sei un bambino, devi chiedere il permesso (e i soldi!) ai tuoi genitori per poter comprare una rivista. Quando sei adulto, invece, sei finalmente libero di affrontare la tua coscienza... e il tuo portafoglio.

Titolo e prima vignetta di Un trou... de mémoire

SCUn trou... de mémoire è la prima storia Disney prodotta in Francia da un po' di tempo... Che sensazioni avete provato nel poter portare avanti questa lunga tradizione?

HM: È un incredibile onore e gioia, un sogno divenuto realtà! Avere una nostra storia su una rivista di cui abbiamo letto e amato così tanti numeri nel corso degli anni... Ma è stata anche una bella responsabilità, perché si tratta della prima storia francese da un po' di tempo! Volevamo fare il miglior lavoro che potessimo, perciò, siccome siamo ancora alle prime armi nel settore, ci abbiamo passato sopra tantissimo tempo, soprattutto sulla suddivisione in vignette, che è stata una delle parti che ho preferito! Ho letto la meravigliosa guida di Scott McCloud, Capire il fumetto, un fumetto sui fumetti e su cosa li renda un'arte speciale, molto di più della semplice somma di scrittura e illustrazione, un'arte con la propria unica grammatica. Ho provato a usare le formidabili possibilità che solamente il fumetto è in grado di offrire attraverso lo storyboard ed è stato molto interessante e stimolante! Ho particolarmente apprezzato come Emmanuele ha rappresentato l'idea di Paperino che "cammina tra le vignette"!

AL: Ci è stata concessa un'opportunità rara e preziosa, che ad altri, con ben maggior talento ed esperienza di noi, è stata rifiutata in passato, perciò l'abbiamo presa molto seriamente. Ci abbiamo lavorato instancabilmente, senza contare le ore e la cosa più grandiosa è che OGNI SINGOLA persona coinvolta nel progetto ha fatto lo stesso. Se questo dovesse essere il nostro unico fumetto, almeno ci abbiamo messo il cuore. Vedere la nostra sceneggiatura portata in vita da un artista così talentuoso come Emmanuele Baccinelli è stato quasi irreale. Quando abbiamo ricevuto le tavole, sembrava di vedere una di quelle storie italiane che ogni tanto ci capita di tradurre! Faccio ancora fatica a realizzare che abbiamo "creato" un giorno nella vita di Paperino.

HM: Abbiamo davvero avuto dei compagni d'eccezione! Jean-Baptiste ci ha affidato delle persone di talento! Siamo stati molto onorati di avere Emmanuele come disegnatore della nostra prima storia, ci ha veramente riempito di felicità! E che emozione quando ci ha inviato la sua prima bozza "fatta molto velocemente"... Ricordo di aver urlato dalla gioia! 

È stato un vero piacere anche lavorare con Christian Lerolle, il nostro eccezionale colorista, specialmente perché siamo riusciti ad avere una comunicazione efficiente con lui; e Pierre Delort, il letterista (che lavora per la redazione francese), ha fatto un incredibile lavoro, aggiungendo un sacco di piccoli dettagli e idee e creando un titolo simil-italiano!

Vorrei, infine, ringraziare anche Jean Chaffard-Luçon (uno sceneggiatore francese di film e programmi televisivi), che ci ha aiutati con il nucleo della storia e ha trovato l'idea del buco nella prima giubba. 

AL: Vorrei solamente aggiungere che penso che Hugo e io costituiamo una bella squadra, perché i nostri punti di forza si completano a vicenda. Hugo ha un'intelligenza visiva e spaziale che a me manca, mentre io ho più un'intelligenza concettuale e verbale. Dobbiamo ancora solamente imparare a non essere eccessivamente pignoli sui piccoli dettagli. Questa volta, abbiamo avuto il tempo per potercelo permettere, ma non sarà sempre così. Dateci nuove opportunità e troveremo il giusto ritmo!

HM: Sono d'accordo... Anche se ogni tanto ci ho messo del mio, come nel caso della vignetta con il riflesso del cucchiaio. Per valutarne la fattibilità, ho letteralmente preso un vero cucchiaio e l'ho "provato".

"Prova" per valutare il riflesso del cucchiaio e prima bozza di Emmanuele Baccinelli

SC: Credete che ci sia la possibilità di vedere altri fumetti originali nelle riviste francesi in futuro? È qualcosa che vorreste?

HM: Certamente! Picsou Magazine è parte dell'infanzia di tantissime persone francesi, perciò mi spiace che, diversamente da ciò che accade in Italia, non ci sia una forte tradizione nel creare fumetti come ce ne è nel leggerne. O, almeno, che non ci sia ancora! Sono sicuro che ci siano un sacco di autori e artisti francesi che amerebbero creare storie di Paperi per Picsou Magazine. Quindi, se riusciamo a incentivarlo, forse in qualche anno o in qualche decennio, la Francia diventerà un grande polo di produzione. Almeno, questo è il piano! Per quanto ci concerne, abbiamo così tante storie in mente, dunque saremmo più che pronti a ripetere l'esperienza.

AL: Confermo! Personalmente, conosco diverse persone che hanno già scritto per Disney in passato che lo farebbero nuovamente in un batter d'occhio. Ovviamente, quando si parla di disegni, non esiste più una "scuola francese". Intendo dire che esiste uno stile italiano e uno scandinavo per disegnare i fumetti Disney, ma la Francia non ha (o non ha più) un'impronta chiaramente identificabile. I nuovi artisti potrebbero dargliela, ma non succederà improvvisamente!

SC: Questa storia dura solo quattro pagine, ma è riempita di riferimenti a classiche avventure dei Paperi e un sacco di personaggi vi ci fanno capolino. Come avete deciso quali riferimenti e menzioni inserire? C'è qualcosa o qualcuno che avete dovuto lasciare fuori vostro malgrado?

HM: L'idea base della storia era che dovesse apparire il maggior numero di parenti e amici di Paperino. Abbiamo iniziato a elencare quelli che ci sembrava assolutamente logico che lui andasse a visitare (essenzialmente, i personaggi a pagina 2) e, per quanto riguarda gli altri, la decisione è stata fatta in merito alle gag che avremmo potuto raccontare. Nella prima versione della sceneggiatura, non figurava né Paperoga né Gastone. Mi pare che siano stati aggiunti quando abbiamo suddiviso il tutto in vignette e ci siamo accorti che c'era spazio per altri due personaggi. Non direi che abbiamo lasciato fuori qualcuno, a parte forse gli amici di quando Paperino era "Paperotto". Volevamo includere un loro ritratto alla fattoria di Nonna Papera, ma non c'è stato abbastanza spazio.

A proposito dei riferimenti, abbiamo stilato un'esaustiva lista di easter egg che potessimo nascondere (da Don Rosa, Carl Barks, cartoni animati classici, fumetti francesi, italiani...) e poi abbiamo ragionato se ci fosse o meno lo spazio per poterle inserire. Perciò, alcuni elementi non ce l'hanno fatta, ma quelli a cui tenevamo di più (come la targa dell'auto della polizia) ci sono, ed è fantastico! A noi piace particolarmente l'illustrazione sul gioco da tavolo a cui stanno giocando Qui, Quo e Qua... una sorpresa speciale per gli appassionati italiani!

AL: Per la cronaca, il riferimento più oscuro in questa storia è probabilmente il presentatore a pagina 3. Si tratta di un personaggio creato dagli olandesi negli anni Dieci del Duemila per la loro app di quiz. Era già apparso in due storie, ma solamente in Olanda, siccome era stato aggiunto dalla redazione  all'interno di storie provenienti da altrove, in sostituzione di personaggi anonimi. Perciò, tecnicamente, il suo cameo in Un trou... de mémoire rappresenta la sua prima autentica apparizione!

Vorrei anche sottolineare il fatto che le scelte cromatiche che abbiamo compiuto (e che sono state implementate dal talentuoso Christian Lerolle, che saluto) sono importanti tanto quanto i riferimenti. Per esempio, i Bassotti sono colorati come lo erano stati in alcune illustrazioni di Don Rosa per Picsou Magazine alla fine degli anni Novanta e a Paperoga abbiamo dato sfumature verdi sul berretto e sul collo del maglione perché era colorato così in COUAC !, un inserto pubblicato sul mensile Super Picsou Géant negli anni Duemila. 

Chris Quiz (Kris Kwis) nella versione olandese di Boss Lady (a sinistra) e in Un trou... de mémoire (a destra)

SC: Ciao, Emmanuele! Da un paio di anni, realizzi illustrazioni e copertine per i magazine Disney francesi. Come è nata questa collaborazione? 

EB: Ciao, Simone! In occasione della ristampa in Francia de Gli italici paperi, storia di Matteo Venerus che ho disegnato qualche tempo fa, sono stato contattato da Jean-Baptiste Roux, il curatore di Picsou, per una intervista a tema, uscita poi su Picsou Magazine 560. Da lì, è nata la proposta di realizzare una cover di PM, che è stata la prima che ho realizzato per una testata francese! Il disegno era una doppia cover per Picsou 562 che si sviluppava su prima e quarta di copertina. Da quel momento, ho iniziato a collaborare con grande piacere con la redazione francese per altre illustrazioni e disegni, anche per altre pubblicazioni, come Le Journal de Mickey, Mickey Parade Géant e altri albi fuoriserie.

SC: Noti un approccio o delle esigenze diverse rispetto a quando lavori per il mercato italiano?

EB: Il mio approccio per le cover francesi è a grandi linee identico a quello per la produzione di copertine italiane: bisogna studiare la richiesta, preparare due o tre bozze da presentare ai redattori e, poi, dopo la scelta del disegno, lavorare al definitivo, curando i dettagli, prima per la matita definitiva e poi nell’inchiostrazione.

Due copertine realizzate da Baccinelli per le pubblicazioni francesi

SC: In Un trou... de mémoire, convivono personaggi provenienti dalle fonti più disparate e assenti dalle storie di produzione italiana. Ti sei divertito nel disegnarla?

EB: Ringrazio Jean-Baptiste, Alban e Hugo che mi hanno dato la possibilità di lavorarci. Si tratta di una storia di totale produzione francese dopo parecchi anni dall’ultima e ho sentito un po’di responsabilità, ma mi sono divertito moltissimo a disegnarla! I due sceneggiatori mi hanno fornito uno storyboard molto dettagliato, che ho cercato di seguire il più fedelmente possibile. Da grande fan di Carl Barks e Don Rosa, nonché di Paperino, ovviamente, ho adorato i rimandi e le citazioni presenti nello script, e credo che saranno molto apprezzate dai lettori affezionati. La sceneggiatura di Hugo e Alban ha un bel ritmo e una ottima regia nella scansione degli eventi. Conoscevo bene personaggi come Meo Porcello, José Carioca e Panchito, quindi è stato un piacere disegnarli per la prima volta in questa breve storia celebrativa.

SC: Al momento, a cosa stai lavorando?

EB: In questi giorni, ho consegnato la nuova cover di Almanacco Topolino e una copertina di un -issimo. Sto poi lavorando a una storia a puntate italiana, per Topolino, sto per mettermi al lavoro su nuove copertine per il mercato francese e ho un paio di progetti avviati con Disney/Panini per gadget e illustrazioni.

© Disney per le immagini pubblicate.

martedì 2 luglio 2024

Si parla di Mickey contre l'Alliance Maléfique (Pothier/Pilet, 2024) assieme al suo autore


Dopo un anno e mezzo dalla pubblicazione di Le dragon de Glasgow (Chamblain/Petrossi, 2022), l'editore francese Glénat propone un nuovo titolo appartenente alla sua collana di fumetti Disney reinterpretati da noti fumettisti franco-belgi, Mickey contre l'Alliance Maléfique (Pothier/Pilet, 2024), disponibile a partire dallo scorso 15 maggio. 

Si tratta del diciassettesimo volume di questa serie, che ha finora dato spazio all'immensa creatività di artisti d'Oltralpe, come Bernard Cosey, Lewis Trondheim, Nicolas Keramidas, Tebo, Régis Loisel, Denis-Pierre Filippi, Dab's, Alexis Nesme, Pieter De Poortere, Frédéric Brrémaud, Jean-Luc Cornette, Thierry Martin e Joris Chamblain, ma anche di artisti italiani "adottati" dal fumetto francese,  come Silvio Camboni, Fabrizio Petrossi e Federico Bertolucci, unici nel gruppo ad avere precedentemente maturato una lunga esperienza nei fumetti disneyani "regolari".

Ma di cosa parla Mickey contre l'Alliance Maléfique? Se il titolo può fare presagire una sfida tra Topolino e una banda di criminali,  quello che non ci dice è che l'ambientazione è in realtà la futuristica città di New Mickeyville (Nuova Topolinia), che sembra uscita direttamente da qualche film di fantascienza del secolo scorso, come Il quinto elemento (dir. Luc Besson, 1997). E, così, Mickey è uno space ranger alle prese con pericolosi rivali tratti dalle sue avventure classiche più iconiche, come Macchia Nera, il Capitan Orango, Pietro Gambadilegno, ma anche i Bassotti, Spennacchiotto... e Spectrus! Per poter risolvere questa faccenda delicata, Topolino si avvarrà dell'aiuto dei suoi fidati amici e compagni, Pippo, Paperino, Minni e Pluto.

L'intera storia è ottimamente confezionata, il ritmo scorre molto bene, le battute sono brillanti, e i disegni, la composizione delle tavole e i colori sono un piacere per gli occhi. A mio avviso, Glénat sta davvero facendo un lavoro certosino con questa collana, la carta dei volumi è pregiata, le dimensioni sono importanti (24x32 cm), le costine sono telate e, in questo caso, vi è persino una specie di effetto metallizzato sull'illustrazione in copertina. Cosa si potrebbe chiedere di più?

Per accompagnare al meglio la lettura di questa bella storia, ho pensato di raccogliere qualche dichiarazione direttamente dal suo autore, Nicolas Pothier. Vi lascio, perciò, senza indugiare oltre, alla nostra chiacchierata.

SC: Simone Cavazzuti
NP: Nicolas Pothier

SC: Dopo avere scritto tre gag da una pagina (disegnate da Batem, Johan Pilet e Jean-Christophe Chauzy) per il volume collettivo Mickey All Stars (2019), la tua nuova pubblicazione Disney/Glénat è il volume Mickey contre l'Alliance Maléfique, in cui hai nuovamente unito le forze con Johan Pilet per espandere l'universo che avevate brevemente rappresentato nella vostra precedente collaborazione. Come avete deciso di trasformare quella singola pagina in una storia a tutti gli effetti, con un cast così variegato?

NP: Con Johan, abbiamo realizzato cinque volumi assieme (tre di Ratafia e due di Caktus) e ci conosciamo bene. È stato lui a portare l'idea del retro-futurismo nella pagina che abbiamo creato per Mickey All Stars. Quando Glénat ha accettato la nostra pagina, ci siamo detti che forse avremmo potuto sviluppare una storia con la stessa prospettiva. Ci abbiamo pensato e Johan ha realizzato diverse illustrazioni per mettere insieme un progetto che potesse piacere inizialmente a Glénat e successivamente alla Disney. Per quanto riguarda il cast, sono stato io a pensare di mettere insieme tutti i cattivi contro tutti i buoni. Volevo una squadra in stile Avengers, con personaggi dotati di superpoteri, ma la Disney ha rifiutato perché hanno già una serie simile. Abbiamo, quindi, optato per una squadra di space ranger ed è così che è stata accettata Mickey contre l'alliance maléfique. Eravamo contenti perché la collana inizialmente era riservata ad autori molto conosciuti, ma siamo riusciti a farci strada proponendo un concept e una storia accattivanti.


SC: Parlando del cast... La maggior parte dei personaggi deriva dalle strisce classiche di Floyd Gottfredson o dai fumetti di Carl Barks (che hai pure omaggiato dando il suo nome a un lago), ma hai inserito anche Spennacchiotto... e Spectrus! Quali sono gli autori e le storie che ricordi più vividamente e che ti hanno divertito di più come lettore di fumetti Disney?

NP: Ti sorprenderò, ma non ero un grande lettore di fumetti Disney quando ero piccolo. Leggevo principalmente fumetti franco-belgi e sono cresciuto a pane e Tintin, Spirou, Gaston, Lucky Luke, ecc... Ho letto qualcosa di Disney, come tutti, ma senza mai essere abbonato a una rivista. Tuttavia, ho bei ricordi di un volume in particolare, Il Manuale delle Giovani Marmotte. Non includeva fumetti, ma trucchi e suggerimenti illustrati. Devo avere avuto meno di 10 anni e ho adorato questo libro. Solo di recente ho letto molti dei racconti di Carl Barks, grazie all'edizione integrale che Glénat ha pubblicato nelle librerie negli ultimi anni.

Per la nostra storia di Mickey, abbiamo ovviamente dovuto usare dei cattivi molto conosciuti, come Pietro Gambadilegno e i Bassotti, ma sono andato a cercarne anche altri meno noti. Dopodiché, ho ideato un piano in cui tutti questi cattivi avrebbero avuto un ruolo da svolgere. Spectrus, ad esempio, era perfetto per ipnotizzare un'intera popolazione. Per i cattivi e il loro piano di conquista, avevamo in mente il personaggio di Zorglub dallo Spirou di Franquin, che era un cattivo quasi commovente nella sua stupidità e nei suoi piani per conquistare il mondo.


SC: Anche se l'alleanza è davvero minacciosa e Topolino e la sua banda vivono momenti di reale pericolo, l'intera storia è meravigliosamente accompagnata da un grande senso dell'umorismo... e da numerosi giochi di parole! Come è stato bilanciare lo storytelling e gli elementi divertenti?

NP: I giochi di parole sono un po’ il mio marchio di fabbrica. Ne ho fatto uso in diversi volumi, in Ratafia in particolare. Non ho una tecnica particolare, ma mi vengono naturalmente. In effetti, però, è una questione di dosaggio: ho la tendenza a usarne molti, ma fortunatamente Johan è lì a frenarmi! Un accumulo di giochi di parole può risultare indigesto. Mi piace anche rivolgermi ad un pubblico vasto: i bambini devono poter seguire questa storia anche se non sempre capiscono il secondo livello di lettura che i genitori dovrebbero trovare divertente. Il mio maestro in questo campo è ovviamente René Goscinny.


SC: Pur con qualche differenza, i personaggi a New Mickeyville sono abbastanza simili a quelli a cui siamo abituati nei fumetti disneyani regolari... e poi c'è Robot-Pluto! Ti andrebbe di parlare della loro concezione?

NP: Non volevamo reinventare tutto, ma abbiamo apportato qualche piccola modifica qua e là. Topolino, per esempio, è meno ingenuo del solito e Minni non è mai ridotta solamente alla sua identità femminile. Per quanto riguarda Pluto, è stato Johan ad avere l'ottima idea di trasformarlo in un robot. La grande difficoltà è gestire così tanti personaggi contemporaneamente. Su 54 pagine, è molto difficile sviluppare così tanti personaggi e ce ne sono alcuni che inevitabilmente saranno solo delle comparse. D'altra parte, non possiamo nemmeno allontanarci troppo dall'essenza di questi personaggi, la Disney non lo accetterebbe. Esiste una via di mezzo tra il rispetto totale della licenza e la visione che gli autori franco-belgi come noi possono portare.


SC: Il prossimo ottobre, dovremmo finalmente poter leggere un nuovo volume Disney/Glénat scritto da te, Un travail pour Fantomiald (disegnato da Batem), un progetto che hai annunciato ufficialmente già ad aprile 2021! Come ti sei approcciato alla caratterizzazione del personaggio? Cosa dovremmo aspettarci da questo titolo in arrivo?

NP: Con Batem, abbiamo firmato Un travail pour Fantomiald all'inizio del 2020, una settimana prima del primo lockdown! Ho scritto la sceneggiatura durante il lockdown ed è stata convalidata alla fine del 2020. Devi sapere che le convalide richiedono molto tempo e, in quel momento, Batem non poteva dedicarsi immediatamente al volume e si è concentrato su uno nuovo Marsupilami. Nel 2022, il progetto è stato nuovamente rinviato perché era il settantesimo anniversario di Marsupilami e Batem era estremamente richiesto. Nonostante i diversi impegni, ha lavorato regolarmente allo storyboard, ma è stato solo nel 2023 che ha iniziato effettivamente a consegnare le tavole.

Per Paperinik, ho riletto molte delle storie di questo eroe (esiste attualmente un'edizione integrale da edicola in Francia, di cui sono già stati pubblicati 30 volumi!). Sono partito dall'idea iniziale del personaggio, ovvero che Paperino si mascheri prima di tutto per risolvere i propri problemi. Inizialmente, non utilizzava la sua identità segreta per proteggere i deboli e gli indifesi. Nella nostra storia, Paperino deve assolutamente trovare un lavoro per poter pagare l'affitto a Zio Paperone, che altrimenti rientrerebbe in possesso della sua casa e scoprirebbe il nascondiglio sotterraneo di Paperinik. Il volume è composto da quattro racconti che sviluppano questa idea iniziale, ma che allo stesso tempo possono essere letti separatamente. Devo avvisarvi: ci saranno ancora molti giochi di parole!


© Disney/Glénat per le immagini pubblicate.

mercoledì 19 giugno 2024

Si parla di Zio Paperone e la giocodenarite contesa (Stabile/Guerrini, 2024) assieme ai suoi autori

Sulle pagine di Topolino 3578, in edicola da oggi fino a mercoledì prossimo, si può leggere Zio Paperone e la giocodenarite contesa, una storia che tratta di una competizione alquanto peculiare e inedita. Curiosamente, si tratta della prima sfida tra i due paperi più ricchi del mondo tanto per Vito Stabile (ai testi) quanto per Francesco Guerrini (ai disegni) e, senza indulgere in anticipazioni, ho deciso di raccogliere testimonianze e impressioni dalla viva voce dei due autori (che ringrazio), per confezionare la prima doppia chiacchierata che questo blog abbia mai ospitato. Buona lettura!

SC: Simone Cavazzuti
VS: Vito Stabile
FG: Francesco Guerrini

SCCiao, Vito! In Zio Paperone e la giocodenarite contesa, metti in scena una sfida atipica tra Paperone e Cuordipietra. Se, infatti, siamo stati abituati a vederli competere in gare per misurare le proprie ricchezze o a caccia di tesori, la tua trama verte su temi ludici. Come ti è venuta questa idea?

VS: Avevo il desiderio di mettere in scena un confronto tra i due rivali che richiamasse un po' quelli originali di Barks. In quelle storie, si trattava appunto di competizioni a tema ricchezze, mentre in questo caso per non ripetermi ho voluto giocare sull'aspetto di Cuordipietra che più mi sta a cuore, quello del “gemello cattivo” che tenta di surclassare Paperone prendendo il suo posto in tutto e per tutto: e allora perché non andare a colpire la “vecchia tuba” su un aspetto unico della sua personalità? Mi sembrava una mossa abbastanza subdola per un personaggio come Cuordipietra e così la storia si è scritta da sola.

SC: Solitamente, nelle storie di produzione italiana, a rivaleggiare con Paperone è il paperopolese Rockerduck. Come mai hai deciso di “scomodare” il secondo papero più ricco del mondo? Quali sono, per te, le differenze principali tra i due personaggi?

VS: Come dicevo sopra, quello che mi colpisce di Famedoro è il suo essere un Paperone più spietato, disonesto e senza scrupoli. Non avrei potuto raccontare questa vicenda con Rockerduck: se quest'ultimo ha comunque interesse nel superare Paperone (anche con mezzi non proprio leciti), rimane un papero con una personalità quasi opposta, uno spendaccione che vive nel lusso e che non ha alcuna intenzione di somigliare al rivale, che lui considera miserabile e sorpassato. I giochi con il denaro, per Rockerduck, verrebbero visti come una stupidaggine da vecchi spilorci.


SCSe è vero che hai scritto diverse storie dove, appunto, compare Rockerduck, finora avevi rappresentato il miliardario sudafricano solamente in una storia del ciclo Pianeta Paperone. Hai altri progetti in serbo per lui? 

VS: Certo! C'è sicuramente qualcosa di interessante che bolle in pentola, anche se non posso spoilerare niente. Posso solo dire che Cuordipietra è il mio antagonista preferito e uno dei paperi che mi piacciono di più (anche per via del mio imprinting con DuckTales), per cui sono molto contento di poterlo utilizzare, spero in modo degno.

SCDopo Zio Paperone, Amelia e il patto della luna (ristampata più volte in ben quattordici paesi) e Zio Paperone e le ronfate consigliere (pubblicata addirittura negli States), torni a collaborare con Francesco Guerrini, un artista dallo stile molto riconoscibile. Come trovi la sua interpretazione delle tue sceneggiature?

VS: Francesco Guerrini è da sempre uno dei disegnatori che preferisco e non ne ho mai fatto mistero. Il suo stile apparentemente nervoso e caotico nasconde una grande capacità recitativa; i suoi paperi sono vivi, si muovono in maniera sempre originale e le sue tavole sono piene di soluzioni interessanti. È un artista che tende a voler mettere sempre del suo e, quando mi chiede qualche modifica per arricchire o rendere più dinamica una scena, io lo lascio fare volentieri, perché un disegnatore sa sicuramente come visualizzare al meglio la tavola rispetto allo sceneggiatore.


SCVerso la fine della storia, inserisci celatamente riferimenti a storie di Barks come Paperino e il torneo monetario (“una sterlina sudafricana del 1956”) e Paperino e il ventino fatale (“uno storico ventino del 1952”). Quale è la lezione più importante che hai assimilato leggendo le avventure realizzate dall'Uomo dei Paperi?

VS: Quelli che menzioni non sono gli unici riferimenti! L'intera storia è un omaggio spassionato all'aspetto di Paperone che più amo in assoluto: la sua passione giocosa per il denaro, che è proprio l'elemento cardine del Paperone di Carl Barks, presente in tutta la sua opera, a partire dalle bellissime copertine della testata Uncle $crooge. In tutta la storia, le attività “giocodenarifere” sono riscontrabili in quelle storiche cover, da Paperone che suona il registratore di cassa ai biscotti a forma di dollaro fino alle immagini presenti sulla rivista che Paperone legge al parco. Oggi, questo è forse un aspetto che tendiamo a dare per scontato, ma dove è riscontrabile altrove un personaggio a cui piace il denaro fino a questo punto, da ricavarne puro piacere ludico? Di personaggi avidi e spilorci ne siamo pieni dall'alba dei tempi, ma ne esiste uno solo che imbarattola le monetine come fossero conserve ed è Paperon de' Paperoni. Direi che la più grande lezione barksiana è proprio aver creato qualcosa che dopo quasi ottant'anni è ancora lì, irraggiungibile e irripetibile. 


SCCiao, Francesco! Questa storia è la prima in cui disegni il personaggio di Cuordipietra Famedoro. Quali sono stati i tuoi modelli di riferimento per rappresentarlo?

FG: Ciao, Simone! Il modello che ho cercato è l'originale di “the Maestro” Carl Barks, anche se ho controllato le ultime versioni italiane. Questo “Pietrino” (ho chiesto all'autore Vito Stabile di poterlo chiamare almeno una volta così, come nelle prime traduzioni) non è cattivo come l'originale, che non esitava a sparare e bombardare... cerchiamo però di non confonderlo con John D. Rockerduck!


SCOltre al deposito di Paperone e al parco di Paperopoli (Cornelius Park), ti sei trovato a raffigurare (egregiamente) la residenza paperopolese di Cuordipietra e la Banca del Calisota. Come ti sei documentato in questo caso?

FG: In sceneggiatura, erano già allegate dall'autore le bellissime illustrazioni dei palazzi importanti di Paperopoli, realizzate da Blasco Pisapia. Erano molto particolareggiate e mi sono attenuto per quanto ho potuto.

SCSi parlava, nella nostra ultima chiacchierata, della libertà del disegnatore di apportare modifiche a quanto scritto in sceneggiatura. In questo caso, c'è qualcosa di tuo?

FG: Nella sceneggiatura originale, l'autore aveva descritto un elemento che io non riuscivo a disegnare e a manipolare, così gli ho fatto presente la mia difficoltà e, dato che era un particolare che non influisce sullo svolgimento della storia, Vito Stabile gentilmente mi ha permesso di sostituirlo con una cosa che ho saputo disegnare. Per il resto, mi sono sforzato di seguire e rendere la storia come meglio potevo.


SCZio Paperone e la giocodenarite contesa rappresenta la terza collaborazione tra te e Vito Stabile. Come ti sei trovato a trasformare in disegni le sue storie?

FG: Mi sono trovato benissimo. Avevamo anche avuto modo di confrontarci di persona durante Lucca Comics e ho trovato una persona disponibilissima e paziente. Come autore mi piace, scrive cose divertenti e serrate; Il patto della luna è una delle storie più varie e divertenti che mi siano capitate ed è piena di spunti narrativi, come l'infanzia di Amelia, le tre Streghe Supreme e le vicende dei due nemici sull'isola (e ne sono ancora assai soddisfatto), ma anche Le ronfate consigliere è stata molto stimolante, per le prove inusuali che affronta Paperone

SCAbbiamo già discusso del tuo stile riconoscibile e della tua aderenza a modelli classici. Tuttavia, ritieni utile trovare soluzioni differenti e innovative nell'ambito del fumetto disneyano? Noti un'evoluzione nel tuo modo di approcciarti al tuo lavoro?

FG: Cerco sempre di guardare il lavoro degli altri disegnatori disneyani, come rileggo anche i maestri del fumetto realistico e comico, per la costruzione della tavola e il modo di raccontare con le immagini. Per qualcuno passo per “barksiano”, ma per quanto riguarda il tratto e il disegno vorrei essere anche “carpiano” e “hubbardiano”. Se c'è evoluzione, spero proprio che i lettori possano ravvisarla nell'insieme delle mie tavole. Io mi sto impegnando per imparare a usare bene il pennello, dato che continuo a pasticciare con carta e china.

SCA cosa stai lavorando al momento?

FG: In questi giorni, sto disegnando una storia piena di corse ciclistiche. Cercare di mettere un papero su una bicicletta da corsa in modo verosimile non è cosa da poco! Per il resto, è una storia con varie situazioni disneyanamente buffe (nessuna rissa, né burroni o torte in faccia), che spero di raccontare il meglio possibile.

© Disney per le immagini pubblicate.

domenica 9 giugno 2024

Tanti auguri a Paolino Paperino e...

Come è noto, oggi, 9 giugno 2024, ricorrono i 90 anni dalla prima apparizione sul grande schermo di Donald Duck, avvenuta nella Silly Symphony The Wise Little Hen (dir. Wilfred Jackson, 1934). Il giovane Paperino di questo cortometraggio è il degno vice-presidente dell'Idle Hour Club (Club dei Fannulloni), capitanato dall'amico Peter Pig (Meo Porcello). I due, infatti, rifiutano il loro aiuto alla chioccia titolare dell'episodio, fingendo di avere mal di pancia per evitare di dover lavorare. La gallinella saggia è qui raffigurata con nove piccoli e laboriosi pulcini gialli che la seguono e le forniscono l'ausilio necessario, guadagnandosi, infine, un ricco pasto.


Il successo di Paperino è qualcosa di insolito per un personaggio delle Silly Symphony. Il nostro riesce, infatti, a entrare presto nel novero degli standard character e a condividere la scena con Topolino e Pippo, per poi distaccarsene, avere una propria serie di tavole settimanali sui quotidiani, di cartoni animati, di strisce quotidiane, di vere e proprie avventure nei giornalini a fumetti di cui è unico e incontestabile protagonista... e il resto è storia. La fama di Paperino è oggi evidente e non sono pochi gli autori e i lettori che lo prediligono ai suoi compari. Non va dimenticato che gran parte del merito va ascritto a Carl Barks  che gli ha costruito un universo attorno (fornendogli amici, parenti e indicando uno stile ben preciso per i suoi comics e ai suoi colleghi che ne hanno raccontato le gesta fino ai nostri giorni.

Ma, se del papero con la giubba da marinaio sappiamo tutto e di più, che ne è stato dei suoi comprimari originali, che, a ben vedere, meritano di celebrare questo anniversario quanto lui? Nell'articolo odierno, vorrei ripercorrere, attraverso un rapido (ma più completo e preciso possibile) excursus, i percorsi paralleli intrapresi da Meo Porcello e dalla gallinella saggia.

MEO PORCELLO (PETER PIG)


Così come Paperino, Meo esordisce in The Wise Little Hen e nella tavola promozionale illustrata da Tom Wood. Le sue origini sono, però, contraddittorie: nei comunicati stampa pubblicati all'epoca sui vari quotidiani, si possono riscontrare diverse posizioni riguardo a una sua eventuale parentela con i tre porcellini ("the Three Little Pigs were greatly concerned over the safety of their distant cousin, Peter Pig"; "Peter Pig is no relation to the Three Little Pigs but comes of the Back Bay Pigs"). Nell'animazione, Meo affianca nuovamente Paperino in The Band Concert (dir. Wilfred Jackson, 1935), ma è su carta che avrà una vita più duratura. Esclusa la riduzione/rivisitazione a fumetti del corto d'esordio (Osborne/Taliaferro, 1934) e qualche fugace apparizione in gag pubblicate sui giveaway del Mickey Mouse Magazine, il primo ruolo importante che il simpatico porcello ricopre è quello di giornalista in Paolino Paperino inviato speciale (Pedrocchi, 1938). Qui, i due amici si ritrovano dopo anni e vengono assunti dal signor Linotipi come inviati speciali per il suo quotidiano, l'Altro Mondo. Il pericolosissimo compito affidato ai due fannulloni è quello di recarsi al confine tra due Stati in guerra per potere scattare fotografie inedite e, come se non bastasse, i loro tentativi sono ostacolati da un altro reporter senza scrupoli, Bartolomeo Circonlocuzioni, detto "il Gatto", che lavora per il quotidiano rivale, il Mondo Intero. Al termine dell'avventura, i nostri avranno la meglio sul concorrente e il signor Linotipi assegnerà loro un nuovo incarico in Paperino fra i pellirosse (Pedrocchi/Pinochi, 1939), dove saranno nuovamente contrastati dal Gatto, ora esattore delle tasse. L'ultima (breve) apparizione in una storia di Pedrocchi avviene in Paperino chiromante (Pedrocchi/Pinochi, 1939/40). In seguito a questi pionieristici racconti, Meo Porcello scompare dalle scene per ritornare brevemente nella storia di raccordo inclusa nel volume Walt Disney presenta Paperino (Boschi/Carpi, 1993), in cui lo scopriamo essere diventato impiegato dell'ufficio abbonamenti del giornale La Gazzetta del Mezzo Pomeriggio, e per venire ricordato in una vignetta della corale 60 anni insieme con Topolino (Boschi/Camboni, 1994). Le cose sono andate ben diversamente se prendiamo, invece, per buono quanto rivelato in una pagina del Diario di Paperina (Hasselaar, Beekman/Heymans, 1994) pubblicata sul numero commemorativo per i 60 anni di Paperino. Qui, infatti, una amica di Paperina (Cotelette Krul) le fa visita in compagnia di Meo, che rivela al vecchio compare di essere diventato ricchissimo grazie al business dei computer ("Ho quattro case e un castello, e non devo lavorare un solo giorno di più"). Altri dieci anni passano ed è il tempo di una nuova storia celebrativa, 70 jaar buikpijn! (Geradts/Alfonso, 2004). Da tempo, Paperino fa sempre lo stesso sogno: vive su una casa galleggiante e ha un forte mal di pancia, mentre il vicino suona la sua fisarmonica. Coincidenza: il club di Paperina sta ospitando una conferenza dell'esperto sognologo (dreamologist) Meo Porcello, che riesce a trovare le interpretazioni nascoste delle immagini oniriche. Paperino si presenta e scopre che l'esperto fa il suo stesso sogno ricorrente, solo che è lui a suonare la fisarmonica. La soluzione è fornita da Henriëtte Hen: un tempo i tre erano realmente vicini e loro non la avevano aiutata nel momento del bisogno, dimenticandosi poi l'accaduto. Tutta la storia è un omaggio ben riuscito al cortometraggio in cui i tre personaggi hanno debuttato. Un punto di svolta significativo si ha pochi anni più tardi, con Paperino e il certame del nipotame (Pesce/Gula, 2008). Infatti, qui  e nella successiva Paperino e la pigrizia... a doppio taglio (Ambrosio/Soldati, 2010) —, il nome del porcello diventa Pigeon Pig e apprendiamo che si tratta nientemeno che del nipote del sindaco di Paperopoli. Curiosamente, in questa storia, la casa galleggiante di Paperino funge da sede del "Club degli Oziosi". Interpellato a proposito del cambio del nome, lo sceneggiatore Riccardo Pesce mi ha così risposto: "Meo Porcello suonava molto datato... Pigeon Pig risultava più moderno. Non credo d'aver pensato all'originale Peter Pig. Nel nostro paese, i nomi originali dei personaggi sono sempre stati modificati". Meo compie anche un cameo come amico di Ciccio ("The editors asked for a little role for Peter Pig, so I proposed him as a friend of Gus, as they both are lazy sluggards", mi confida l'autore) in Een dag vol buikpijn (Geradts/Pérez, 2019) e appare nelle tavole (ambientate nel passato) De wijze hen (Geradts/Pérez, Fernández, 2019) e De taartfraude (Beekman/Pikula, 2019), realizzate in occasione degli 85 anni di Paperino, per poi comparire nella serie Young Donald Duck (2019-), che rivisita la gioventù del più famoso papero Disney.

LA GALLINELLA SAGGIA (THE WISE LITTLE HEN)


Come già segnalato, i pulcini della gallinella saggia sono nove nel cortometraggio d'esordio, così come nella tavola su Good Housekeeping e nel volume The Wise Little Hen (1937), che propone una versione in prosa del racconto corredata da illustrazioni, ma diventano dieci nella riduzione a fumetti disegnata da Al Taliaferro, ambientata a Barnyard Village. Il decimo pulcino ha le piume di colore nero e, perciò, è chiamato Blackie. Poco si sa del padre dei pulcini, ma, nel volume sopra citato, la chioccia introduce i vicini ai suoi figli come vecchi amici del loro defunto padre ("Your dear father, when he was alive, was Peter Pig's good friend and helped him often"; "Donald and your father were great friends"). In seguito, la gallinella compie brevissime apparizioni in fumetti apocrifi disegnati dall'artista jugoslavo Vlastimir Belkić e pubblicati nel 1936 su Мика Миш. Ritorna in La chioccia saggia fa da sé (?/Eisenberg, 1952), una rivisitazione della Sinfonia Allegra in cui Meo Porcello è sostituito dal porcellino Tommi e in cui vengono aggiunti Clarabella e Orazio. Qui, i pulcini sembrano essere solamente cinque. Vale la pena menzionare anche l'adattamento in prosa corredato da illustrazioni pubblicato nel libro Walt Disney's Story Land: 55 Favorite Stories Adopted from Walt Disney films (1962), intitolato "Mrs. Cackle's Corn" e scritto da Jean Ayer. Qui, la gallinella viene introdotta come una vecchia amica di Chiquita (Clara Cluck) e le viene dato un nome di battesimo: Katie Cackle. Per evitare di associare Paperino (che nel 1962 era già una star) al racconto, il papero viene rinominato "Daniel Duck" e Meo viene rinominato "Patsy Pig". Le ulteriori apparizioni a fumetti sono condivise con i due ex-vicini e, pertanto, sono le stesse riportate nel paragrafo precedente: 70 jaar buikpijn!, in cui le viene assegnato un altro nome, Henriëtte Hen, e la vediamo tra i membri di uno dei club di Paperina; Een dag vol buikpijn, in cui è, invece, chiamata Wies Liddelhen (gioco di parole che richiama il titolo della Symphony in cui debutta); e De wijze hen, ambientata ai tempi di Barnyard Village, in cui i pulcini sono dieci, ma tutti di colore giallo. A tale proposito, va notato che, in Een dag vol buikpijn, Wies diventa la nuova vicina di Nonna Papera e vive assieme alle sue tre identiche figlie ("her daughters gave a nice light romantic interest for Donald's nephews", spiega l'autore).

Non credo che sia difficile prevedere che ne sarà di questi personaggi: il modo in cui sono stati utilizzati nel tempo sembrerebbe escludere un loro improvviso recupero o una integrazione duratura nell'universo paperopolese. A ogni modo, ritenevo doveroso, in questa giornata, rendere loro omaggio e restituire una scheda che ne ripercorresse le gesta fino a qui narrate in maniera precisa e completa. Dunque, tanti auguri a Paolino Paperino, a Meo Porcello e alla gallinella saggia!


© Disney per le immagini pubblicate.
Si ringraziano gli sceneggiatori Evert Geradts e Riccardo Pesce per le dichiarazioni rilasciate sulle storie da loro scritte.